Le ideologie antiumane dell’occidente terminale
di Roberto Pecchioli - 21/05/2023
Fonte: EreticaMente
La logica antiumana dell’antispecismo, con la folle equiparazione di tutti gli esseri “senzienti”, ha in Pierre Singer il suo più influente banditore, colui che si è incaricato di spalancare la finestra di Overton della regressione animale della specie umana. Tuttavia, sono alcuni movimenti estremi – minoritari, ma assai rumorosi – a fornire la misura della confusione mentale che regna nel campo dell’animalismo radicale. Il partito spagnolo Pacma, in occasione dell’8 marzo, ha diffuso un manifesto in cui parifica le donne alle mucche, schierandosi per un “femminismo senza distinzione di specie” . L’immagine della campagna mostra da un lato una giovane donna, dall’altro una mucca, con lo slogan “ per un femminismo antispecista, di tutte e per tutte, senza distinzioni. “
L’egalitarismo portato alle conseguenze estreme, unito alla commistione con altre suggestioni culturali malamente masticate conduce a questo; niente di diverso, qualitativamente, da alcuni movimenti del passato, specie di ambito cristiano, come Catari, anabattisti, seguaci di Fra Dolcino, che tuttavia non si erano mai spinti a equiparare la creatura umana – anche per loro oggetto di un piano divino – all’animale. Tuttavia, oltrepassato l’umanesimo, l’esito obbligato dell’idea di uguaglianza è appunto l’equivalenza di ogni vivente in nome di un equivoco biocentrismo. Con buona pace di Singer, peraltro, è proprio il cristianesimo, da lui criticato per la morale che impedisce di uccidere i deboli (forse una lettura banalizzata della “morale dei signori e degli schiavi di Nietzsche) a porre le basi per la distinzione ferrea tra uomini e animali. Avvenne all’alba dell’avventura coloniale europea, allorché i conquistatori spagnoli tendevano a non considerare pienamente umani i popoli che stavano sottomettendo. Il grande filosofo e giurista Francisco de Vitoria (1483-1546), domenicano, fondatore del moderno diritto internazionale, nel saggio De Indis affermò vigorosamente l’umanità delle popolazioni indigene, negando che i conquistatori avessero il diritto di trarli in schiavitù. I cosiddetti “indios”, infatti, avevano coscienza piena di sé ed erano in grado di autogovernarsi, indipendentemente dalle credenze religiose e da ogni altra pratica e usanza.
Vitoria affermava che anche se anche fossero stati come bambini piccoli, avessero qualche ritardo mentale o fossero pazzi, dominarli sarebbe stata un’ingiustizia (iniuria) poiché immagini di Dio come ogni altro uomo. L’argomentazione di Vitoria è specista, ossia umanista, in quanto stabilisce che gli indios hanno i medesimi diritti degli spagnoli in quanto esseri umani. Il “dominio di sé” implica il possesso di diritti come la proprietà, diversamente dagli animali . “Privare un lupo o un leone della sua preda non implica un’ingiustizia”. Se gli animali avessero il dominio di sé, continua, “chiunque recinti un terreno di erba frequentato dai cervi commetterebbe un crimine, poiché ruberebbe il cibo senza il permesso del proprietario”.
L’esempio di Vitoria oggi sarebbe tacciato di antropocentrismo, un altro dei peccati capitali della specie umana secondo i vangeli apocrifi woke . Alcuni settori del femminismo più radicale lambiscono l’antispecismo: è il caso del cosiddetto xenofemminismo di Helen Hester, che contesta i limiti biologici dell’essere umano e si definisce alieno, a partire dal prefisso “xeno”, estraneo, straniero. L’approdo finale è il transumanesimo, l’ ideologia antiumana delle oligarchie. Caposcuola di questi filoni femministi è Donna Haraway, autrice del celebre Manifesto Cyborg, studiosa del rapporto tra scienza e “identità di genere”. Il messaggio esprime il rifiuto della condizione umana “normale”. La scelta cyberfemminista è la logica conclusione della teoria dei dualismi della Haraway: la cultura occidentale è caratterizzata da una struttura binaria ruotante intorno a coppie di categorie; uomo/donna, naturale/artificiale, corpo/mente. Un dualismo concettuale non simmetrico, basato sul predominio di un elemento sull’altro: sulle donne, sulla gente di colore, sulla natura, sui lavoratori, sugli animali. La figura del cyborg, da invenzione fantascientifica diventa metafora della condizione transumana: contemporaneamente uomo e macchina, individuo non sessuato situato oltre le categorie di genere, creatura sospesa tra finzione e realtà; un prodotto cibernetico, un ibrido di macchina e organismo, una creatura che appartiene tanto alla realtà quanto alla finzione. “ Il cyborg permette di comprendere come la pretesa naturalità dell’uomo sia solo una costruzione culturale.”
Le riflessioni della Haraway diventano profezia oscura nell’annuncio di un’era detta Chthulucene. Nella nuova epoca l’aumento della popolazione verrà bypassato in favore di un modello culturale teso “alla generazione di parentele in senso ampio, attraverso decisioni intime e personali per creare vite fiorenti e generose senza mettere al mondo bambini. “ Una delle tante declinazioni della cultura di morte da cui è pervaso l’Occidente contemporaneo. Il termine Chthulucene richiama il mostro Chthulu, personaggio dello scrittore Howard P. Lovecraft, un essere semi-divino che vive in un sonno simile alla morte, nell’attesa di una congiunzione astrale che ne consenta il risveglio. Chtulhu ha la radice di “ctonio”, sotterraneo, legato all’inquietante mondo del sottosuolo. Tutti i salmi finiscono in gloria: disprezzo per l’essere umano reale, rivolta contro natura e biologia, volontà di superare ogni limite, scatenamento di forze sotterranee.
Diverso, ma altrettanto antiumano è il biocentrismo, alla base dell’ideologia climatica, convinta che i cambiamenti del clima terrestre non siano dovuti all’azione di lungo periodo delle forze della natura, ma all’agire umano. L’obiettivo finale è passare dall’antropocene – il termine coniato dal chimico olandese Paul Crutzen per designare il tempo del dominio dell’uomo sulla natura – a una sorta di “biocene”, giacché gli esseri umani sono degenerati in una minaccia per il mondo naturale. La conseguenza è considerare opportuna la loro drastica diminuzione sino alla scomparsa della specie. La biodiversità non vale per l’homo sapiens. Se vuoi lottare contro il cambiamento climatico, non avere figli, è uno degli slogan. L’idea sottostante è che c’è natura solamente laddove non c’è l’essere umano. Strano che non venga rilevato che solo la nostra specie ha coscienza dei suoi stessi errori ed orrori, e che dunque ogni sistema di idee – anche il più antiumano – può sorgere e sussistere solo dentro l’uomo, che davvero è misura di tutte le cose, soprattutto se è respinta ogni ipotesi di trascendenza.
L’ideologia climatica è la forma più sofisticata di antiumanesimo. Lo dimostrano le conclusioni della ricerca The climate mitigation gap, elaborate dalla rivista Environmental research letters. Le misure suggerite per combattere il riscaldamento globale – dogma ripetuto sino allo sfinimento – si dividono in azioni a basso, medio e alto impatto. Le prime due sono sostanzialmente ragionevoli, da discutere entro la prospettiva umanista. Quelle ad alto impatto sono apertamente antiumane. Spicca la volontà di modificare le abitudini alimentari della specie – onnivora – imponendo il vegetarianesimo e il veganesimo, che da scelte individuali dovrebbero diventare obblighi. In questo caso si tratta di capovolgere un dato biologico naturale in omaggio … alla natura. Ancora più sconvolgente è la proposta di ridurre drasticamente il numero di esseri umani, allo scopo di diminuire le emissioni di gas con effetto serra. Ogni nuovo nato contribuisce all’atmosfera con cinquantacinque tonnellate di CO2 all’anno, scrive lo studioso Travis Rieder. “Procreando, non stiamo solo creando una nuova persona che emetterà gas serra, ma anche un essere che a sua volta potrà procreare.” La soluzione proposta è l’estinzione volontaria della specie. Non va dimenticato che le tendenze esposte sono variazioni sul tema di un altro dogma occidentale, l’evoluzionismo.
La teoria dell’evoluzione delle specie per selezione naturale elaborata nel XIX secolo da Charles Darwin – peraltro sugli studi precedenti di Alfred Russell Wallace – è stata imposta come verità cosmologica e scientifica senza che sia stata provata oltre ogni dubbio. Pensiamo ai vari “anelli di congiunzione “ tra la scimmia e l’uomo più volte annunciati e mai esibiti, come l’australopiteco scoperto nel 1925 o l’ipotesi dell’uomo di Pechino del bizzarro gesuita Pierre Theilhard de Chardin. Nessuno può negare le modificazioni – del clima, della natura, dei viventi – ma è sin troppo chiara l’utilità dell’evoluzionismo per giustificare teorie economiche ( il liberismo alla Adam Smith), pratiche eugenetiche, teorie filosofiche come il positivismo di Herbert Spencer, vero e proprio darwinismo sociale.
L’idea di selezione “naturale” è il potentissimo supporto teorico alle peggiori derive antiumane, costruzione ideologica ad uso di oligarchie che stanno plasmando il senso comune delle generazioni occidentali come senso di colpa e disprezzo per la specie umana, equiparata all’animale o considerata un male da estirpare. Selezionare significa scegliere; le classi dominanti lo stanno facendo per tutti, chiamando eccedenza, scarto, pericolo, gran parte dell’umanità. Non si perviene al transumanesimo – volontà prometeica delle élite – senza prima diffondere nella creatura umana, con le più varie giustificazioni ideali e perfino morali, l’odio di sé.
Senza identità, privato di amor proprio, convinto di incarnare il male, l’ex homo sapiens diventa un atomo alla deriva nemico di se stesso, a cui è impossibile ascoltare la lezione di Terenzio: “sono un uomo; nulla di umano mi è estraneo.”