Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Le sanzioni cambiano l'economia. Mosca dà lezioni a Bruxelles

Le sanzioni cambiano l'economia. Mosca dà lezioni a Bruxelles

di Giampaolo Rossi - 20/10/2016

Le sanzioni cambiano l'economia. Mosca dà lezioni a Bruxelles

Fonte: Il Giornale

 
 
Nel 2015 le esportazioni agricole russe hanno superato le esportazioni di armi. Il dato è di fondamentale importanza per capire la complessa trasformazione che Mosca sta provando ad attuare alla sua economia.
Secondo Der Spiegel, lo scorso anno la Russia ha prodotto più grano degli Stati Uniti: 110 milioni di tonnellate, una cifra mai raggiunta che la trasformano nel primo produttore mondiale
Il ministro dell'Agricoltura Alexander Tkachev ha recentemente detto di sperare che le sanzioni europee (e di conseguenza quelle russe di risposta) siano prolungate per altri cinque anni perché, come scrivono gli analisti di Eurasiatx: «Esse di fatto hanno permesso di cambiare in positivo lo status del comparto alimentare russo aumentando la produzione, implementando la tecnologia (...) e attuando quell'importsubstitution che oggi rende la Russia auto-sufficiente nel settore agricolo».
La questione non è limitata al solo comparto agricolo e non è legata al solo problema delle sanzioni. L'economia russa, in fase di acutarecessione, con il rublo svalutato e il prezzo del petrolio ai minimi storici, sta dimostrando una dinamicità inaspettata.
La crisi sta spingendo la classe dirigente russa a riflettere seriamente sulla possibilità di cambiare il proprio modello di sviluppo incentrato sulla mono-produzione energetica: la metà delle entrate dello Stato si basano sulla vendita di petrolio e gas e questo rende l'economia russa altamente vulnerabile alle crisi energetiche e alla dipendenza da risorse naturalmente limitate.
Herman Gref, già ministro dell'Economia e del Commercio nel governo Putin e oggi a capo della Sberbank, la più importante banca russa, ha recentemente lanciato un grido di allarme: «Di questo passo, entro il 2030 le risorse energetiche russe (petrolio e gas) si esauriranno e quindi occorre immediatamente spostare i driver dell'economia verso settori diversi». Secondo il banchiere non ci sarebbe molto tempo per trasformare un'economia basata quasi esclusivamente sulla produzione ed esportazione dell'energia.
L'avvertimento di Gref è in parte smentito dal Ministero dell'Energia russo per il quale gli idrocarburi rimarranno alla base del potere energetico mondiale dei prossimi tre decenni; e anche se la produzione di Mosca avrà una diminuzione la Russia ha giacimenti sufficienti a coprire il fabbisogno interno e le esportazioni per i prossimi 40 anni. D'altronde i colossi energetici di Mosca continuano la loro strategia di sfruttamento di petrolio e gas: Rosneft ha chiusoaccordi con società indiane per i giacimenti siberiani di Vankor; Lukoil ha annunciato l'aumento della produzione in Russia e operazioni in Iran; e il governo di Mosca pianifica lo sfruttamento dell'Artico dove la US Geological Survey ha stimato riserve a per 90.000 miliardi di barili di greggio e quasi 2.000 miliardi di piedi cubi di gas, ancora da sfruttare.
La Russia si trova quindi di fronte al dilemma tra il conservare il proprio modello di sviluppo e l'attuare una radicale trasformazione economica. Almeno nelle intenzioni la scelta sembra chiara: nello scorso Forum di San Pietroburgo, Vladimir Putin ha messo la «diversificazione dell'economia» come una priorità per il futuro della nazione.
In genere in Occidente abbiamo un'idea della Russia come un Paese monolitico, rigido, bloccato dentro un autoritarismo immutabile; quest'idea è in parte ereditata dalla vecchia immagine sovietica che ancora attraversa Europa e Usa, e in parte è frutto di una costante manipolazione costruita dai media occidentali e dai centri d'interesse che li controllano. In realtà a Mosca, il «dibattito sul cambiamento» appare molto più vitale di quanto lo sia nell'Europa degli anonimi tecnocrati custodi ottusi del fallimento dell'euro e di un modello che sta portando le economie europee al collasso. In questo la Russia sta dando una lezione a Bruxelles.