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Le stragi dimenticate

di Marina Montesano - 03/03/2022

Le stragi dimenticate

Fonte: Franco Cardini

All’indomani dell’invasione russa in Ucraina, i media mostrano le tristi immagini della popolazione in fuga dal conflitto: sono le vittime inermi dinanzi alle quali ogni guerra non può che risultare più che ingiusta, oscena. La presidente della commissione europea, Ursula von der Leyen, ha ricordato i bambini, prime vittime, e accusato Putin di aver riportato la guerra in Europa dopo la seconda guerra mondiale. E tuttavia, la presidente ha la memoria corta: la guerra in Europa c’era già stata nei Balcani negli anni ’90, culminata con i bombardamenti della NATO su Belgrado, anch’essa una capitale europea. Come ricordava Luciana Castellina sul Manifesto: “Il 24 marzo, alle 20.25, il primo bombardamento su Belgrado; il 26 le ‘operazioni’, chiamate interventi umanitari, sono già 500. Dureranno 78 giorni e scaricheranno 2.700 tonnellate di esplosivo”.
Diverse migliaia di civili sono morti in quei “bombardamenti umanitari”, in largo numero partiti dall’Italia, inclusi pullman colmi di persone colpiti mentre attraversavano ponti, inclusi gli stessi kosovari per i quali in teoria si combatteva, massacrati dai bombardieri mentre fuggivano dalla guerra. Non c’erano bambini dei quali preoccuparsi, a Belgrado? C’erano, però i loro volti non sono comparsi sui nostri giornali; neppure anni dopo, quando hanno continuato a essere falcidiati dall’insolito picco di tumori infantili causati dall’uranio impoverito (umanitario?) con cui erano fatte le bombe della NATO. Continua Castellina: “È la prima volta che con tanta spudoratezza si è proceduto ad una applicazione selettiva dei diritti. In questo caso quello dell’auto-determinazione dei popoli, riconosciuto, in Europa, ai soli kosovari, che diventano quindi automaticamente ‘patrioti’, sebbene la risoluzione 1160 del 3 marzo 1998 del Consiglio di sicurezza dell’Onu avesse definito ‘terroristi’ gli attacchi dell’Uck. Contemporaneamente, e come conseguenza, contro ogni principio sancito dai trattati dell’Unione europea, secondo cui deve esser rifiutato il pericoloso nesso etnia-cittadinanza, si appoggia l’ipotesi di stati etnicamente fondati”.
Insomma, il precedente c’è, e l’abbiamo dato noi. E non parlo nemmeno delle guerre lontane, esterne all’Europa, come l’invasione dell’Iraq su basi che ormai tutti sappiamo essere state completamente pretestuose (le armi di distruzione di massa), sappiamo pure da chi tali mastodontiche bugie sono state costruite (i governi Bush Jr. e Blair), sappiamo che hanno causato almeno mezzo milione di morti, sappiamo che furono usate armi proibite dalle convenzioni internazionali (il fosforo bianco sui civili di Falluja), sappiamo che nessuno degli ideatori di tali colossali fake news (uso un termine che oggi va di moda) è mai stato perseguito (anzi vivono tutti ricchi e tranquilli), eppure non ricordo di aver visto in giro le foto dei profili sui social media con la bandierina irakena, così come ora vedo per l’Ucraina. Evidentemente non tutte le morti sono uguali; evidentemente i media hanno un peso nel condizionare le nostre reazioni. Oggi passano sui nostri schermi o sui social le foto di cittadini ucraini che mettono in salvo cani e gatti, oltre al classico delle incubatrici con i neonati, già un cavallo di battaglia della propaganda americana a proposito del Kuwait prima della guerra del Golfo del 1993[1]: per ogni guerra si reiterano le stesse immagini di propaganda e gli occidentali dalla memoria corta e dalla lacrima a comando tirano fuori i fazzoletti. Se le immagini non ci sono (vedi l’Iraq, l’Afghanistan, lo Yemen, Belgrado) nessuno si commuove.
I media, con poche eccezioni, in questa storia hanno un ruolo rilevante. Per quante giornate della memoria ci affanniamo a istituire, quelle dell’oblio mi paiono assai più frequenti. Nell’oblio sembrano essere caduti tutti i passi che sono stati compiuti da un’Ucraina che si è fatta forte del sostegno americano: ma le è servito? Non servì alla Georgia agli inizi degli anni ’00, passata dall’alleanza con la Russia (con la quale intratteneva ottimi rapporti economici e dove vendeva i suoi ottimi prodotti che ora nessuno compra più) a quella con gli Stati Uniti di Bush Jr.; anche lì era stato fatto credere che ospitare le armi americane e combattere le guerre al confine, ove la popolazione russa era più presente, sarebbe convenuto al paese, che adesso si ritrova con una popolazione immiserita, largamente diasporica, con le pensioni e gli stipendi da fame, con i vini pregiati e i prodotti alimentari invenduti, perché gli amici europei e americani non se ne fanno niente. E tuttavia, almeno fra i giovani, circola la convinzione che il nemico sia la Russia.
Il presidente che avviò questo processo virtuoso, Mikheil Saak’ashvili, in carica fra 2004 e 2013, nel 2014 è stato messo sotto accusa dalla magistratura del suo paese, per bazzecole che includono frodi e omicidi; naturalmente, Stati Uniti e Unione Europea si sono espresse contro la magistratura, ma intanto Saak’ashvili si è trasferito in Ucraina. Qui il governo del paese ha pensato bene di dargli il governo della regione di Odessa; ha anzi acquistato un pacchetto, con la mediazione del politico francese dell’UE Raphaël Glucksmann, che con Saak’ashvili ha scritto un libro su (indovinate?) “la libertà”, e che ha sposato in prime nozze Eka Zgouladze, vice ministro degli Interni in Georgia. Glucksmann si interessa dei diritti umani di tutti, fuorché dei georgiani, visto che prima della fuga di Saak’ashvili e Zgouladze, erano venuti fuori video delle torture subite dai prigionieri nelle carceri del paese; insomma, la bella coppia riceve la cittadinanza ucraina e va a governare Odessa. A causa del suo buon governo, Saak’ashvili viene espulso anche dall’Ucraina, divenendo apolide, poiché nessuno vuole ridargli il passaporto: fino a quando il nuovo presidente ucraino Zelenskyy, nel 2019, lo reintegra e lo nomina a capo del Consiglio nazionale delle riforme. Mentre era a Odessa, e con il suo avallo esplicito, dal momento che aveva accusato gli “elementi antisociali”, le milizie neonaziste insieme con la popolazione di Loshchynivka, hanno condotto un pogrom selvaggio contro la popolazione romanì dell’area, costretta ad abbandonare le proprie case e fuggire.
D’altra parte, le stesse milizie nel 2014 avevano massacrato decine di civili russi, ammazzati a sangue freddo mentre si erano rifugiati in un edificio per sfuggire ai disordini in strada. Peraltro, la guerra in Ucraina c’è stata dal 2014 in poi, visto che il conflitto nell’est del paese ha fatto migliaia di morti, con l’evidente volontà delle milizie neonaziste di condurre una pulizia etnica a danno dei russi, che in quell’area rappresentano una fetta consistente della popolazione. In questo caso, a quanto pare, la pulizia etnica non finisce alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja. C’è stato persino il caso di Andrea Rocchelli, il reporter-fotografo italiano ucciso dagli stessi miliziani ucraini, sempre nel 2014, nel Donbass: un’uccisione sulla quale ha indagato la magistratura italiana, che ha individuato responsabilità precise, ma che pure è stato negato e del quale evidentemente oggi non importa più a nessuno, tanto meno ai suoi colleghi giornalisti che oggi seguono gli eventi.
Così come non ha più eco la clamorosa strage del 20 febbraio 2014, quando nelle proteste contro il governo filorusso si dice che le forze governative spararono sulla folla, facendo vittime fra i civili e persino fra i poliziotti. Fu l’episodio che decretò la fine del governo e diede corso a tutto ciò che è avvenuto dopo, fino agli eventi contemporanei. Nel 2018, una puntata di Matrix, insieme alla stampa italiana (almeno il Manifesto e il Giornale ne parlarono ampiamente) e a quella israeliana, rivelarono come a sparare furono in realtà cecchini georgiani assoldati da un americano sotto copertura. Anche in questo caso, Mikheil Saak’ashvili è protagonista. Dal Manifesto: “Il movimento reazionario di massa della Maidan che scosse Kiev giusto 4 anni fa e che condusse al rovesciamento del governo Yanukovich, raggiunse il suo apice il 20 e il 21 febbraio del 2014 quando negli scontri a fuoco tra i poliziotti della Berkut (la guardia scelta del governo) e i dimostranti, morirono oltre cento persone. […] Uno dei due georgiani, intervistato qualche giorno fa da due televisioni europee e ieri anche dalla agenzia di stampa moscovita Interfax, Alexander Revazishvili ricorda: ‘Giunse alla nostra tenda sulla Maidan Mamulashvili (uno stretto collaboratore di Michail Shakashivili, ex presidente della Georgia, n.d.r.) con un ucraino che si faceva chiamare Andrea, ma soprattutto con un americano che indossava la mimetica, un ex soldato dell’esercito, che si presentò con il nome di Cristopher Bryan’. Il misterioso Bryan venne presentato come ‘istruttore di contractors’. La circostanza è confermata dall’altro ‘contractor’ georgiano, Koba Nergadze, che incontrò separatamente Bryan ma questa volta alla presenza proprio di Shakashivili. Racconta Nergadze: ‘Era presente all’incontro anche l’attuale capo della sicurezza nazionale Sergey Pashinsky. Gli ordini venivano dati da Bryan e a noi tradotti in georgiano da Mamumashvili. Un gruppo di contractors diretto da Pashinsky, e composto da lituani, polacchi e georgiani avrebbe dovuto recarsi all’edificio del Conservatorio ma non avevamo idea per far cosa’. […] ‘La mattina presto – ricorda ancora Nergadze – verso le 8, ho sentito spari provenienti dal Conservatorio. Dopo tre o quattro minuti il gruppo di Mamulashvili ha anch’esso iniziato a sparare dall’hotel Ucraina. I due gruppi di cecchini spararono in modo incrociato sia sulla polizia sia suoi dimostranti cercando di provocare più morti possibili’. ‘Pashinsky mi ha aiutato a scegliere le posizioni di tiro. Verso le 7.30 del mattino (o forse più tardi) Pashinsky ordinò a tutti di prepararsi ad aprire il fuoco. Avremmo dovuto sparare 2 o 3 colpi e poi cambiare posizione in modo che i colpi sembrassero casuali. Abbiamo continuato per circa 10-15 minuti. Successivamente, ci è stato ordinato di abbandonare le armi e lasciare l’edificio’”.
Se cercate sul web notizie sulla strage, troverete le smentite del gruppo “Stopfake”, nel quale militano ucraini filogovernativi[2]. Troverete anche le analisi di Ivan Katchanovski, uno studioso dell’Università di Ottawa, in Canada, che ha pubblicato in open access molte ricostruzioni di quegli eventi, traducendo le testimonianze dei sopravvissuti che parlano chiaramente dei cecchini sui palazzi circostanti (https://uottawa.academia.edu/IvanKatchanovski). Oppure consiglio, per farsi un’idea, la lettura di Western Mainstream Media and the Ukraine Crisis: A Study in Conflict Propaganda di Oliver Boyd-Barrett, dell’americanissima Bowling Green University del Kentucky, uscito per la casa editrice inglese Routledge nel 2016. Leggiamo dall’introduzione: “Questo libro esplora la propaganda contemporanea e i media mainstream occidentali, con riferimento alla crisi ucraina. Esamina le narrazioni dei media occidentali sulle cause immediate della crisi, i rispettivi ruoli di coloro che hanno partecipato o altrimenti sostenuto le manifestazioni del 2013-2014 – comprese le ONG sorrette dagli Stati Uniti e le milizie di destra – e la legittimità, o meno, della destabilizzazione del governo democraticamente eletto Yanukovich. Valuta i resoconti del ruolo della Russia e degli ucraini di etnia russa in Crimea, Odessa e nel Donbass e traccia come i media mainstream occidentali hanno fatto di tutto per demonizzare Vladimir Putin”.
Ricordiamo che, in seguito a quella strage, il governo di Yanukovich, un governo eletto, venne costretto a fuggire dal paese dopo che milizie armate invasero il parlamento: tutto ciò che segue ha le sue origini in un atto di profonda illegalità; come mai per l’assalto assai meno cruento di Capitol Hill ci si indigna (giustamente, vorrei aggiungere), mentre questo golpe spalleggiato da USA e UE, compiuto da miliziani con in mente un paese “etnicamente” ucraino, lo consideriamo una prova di democrazia? Appelli alla ragionevolezza erano arrivati già nel 2014 da politici difficilmente sospettabili di essere favorevoli alla Russia come Henry Kissinger, il quale diceva che presupporre un ingresso di Kiev nell’Unione europea e nella NATO avrebbe inevitabilmente portato alla guerra, ed auspicando per l’Ucraina una situazione simile a quella della Finlandia, che collabora economicamente con l’Europa occidentale, però si mantiene neutrale. E invece, ecco spuntare proprio oggi, ancora una volta, Raphaël Glucksmann, il consigliere francese di Mikheil Saak’ashvili, il quale firma un appello insieme a un centinaio di altri politici e “intellettuali” francesi per chiedere il riconoscimento ufficiale dell’Ucraina come Stato candidato dell’Unione Europea. È abbastanza, credo, per provare a farsi un’idea indipendente, che vada al di là della narrazione a senso unico che sta passando sui media occidentali in questi giorni. Che gli ucraini siano in larga parte, come i georgiani prima di loro, delle vittime, non c’è dubbio. Ma di chi?

[1] Il riferimento è a Nayirah al-Ṣabaḥ, una ragazza kuwaitiana di quindici anni, che sosteneva di aver assistito all’uccisione di infanti da parte dei soldati iracheni in Kuwait, in una testimonianza al Congresso degli Stati Uniti, nel periodo precedente la guerra del Golfo del 1991. La sua deposizione, considerata credibile all’epoca, è stata poi considerata come propaganda di guerra. La società di pubbliche relazioni Hill & Knowlton, che era alle dipendenze dell’associazione Cittadini per un Kuwait libero, aveva organizzato la testimonianza.

[2] Chissà cosa ne pensano dell’invasione di video falsi o decontestualizzati (per esempio presi dal conflitto in Siria) che vengono mostrati come prova delle azioni russe in Ucraina, alcune delle quali provengono dallo stesso Ministero della difesa ucraino (fonte: https://www.bbc.co.uk/news/60528276). La più bella è stata presentata dai nostri telegiornali RAI: mostra il bombardamento di una città tratto dal videogioco War Thunder. Si vede il tipico skyline di Kiev con i suoi grattacieli illuminati dall’interno (nella foto in alto), evidentemente per aiutare i bombardieri a mirare meglio.