Léon Bloy, i buoni, i cattivi, i destri e i sinistri
di Francesco Lamendola - 24/10/2020
Fonte: Accademia nuova Italia
Ha ancora un senso parlare di destra e di sinistra, a partire dagli anni ’90 del secolo scorso, vale a dire dalla caduta del comunismo? E oggi, con la grande finanza che sponsorizza i partiti e le organizzazioni di sinistra, e la destra che si fa interprete della sofferenza dei ceti poveri e impoveriti dalla globalizzazione, ha ancora un senso? Non è una domanda oziosa: anche se può sembrare una questione puramente ideologica, e quindi interessante solo per gli esperti ai lavori, di fatto è una questione di massima rilevanza, perché coinvolge la vita e il futuro di centinaia di milioni di persone in tutto il mondo, orientando le loro simpatie e quindi spostando un flusso enorme di voti.
Osservava Norberto Bobbio, uomo dichiaratamente di sinistra, nel suo fortunato libretto Destra e sinistra. Ragioni e significato di una distinzione politica (Roma, Donzelli Editore, 1994, p. 13):
È scoppiata recentemente, a proposito della ripubblicazione di una nota opera sul problema ebraico, una dotta disputa per stabilire se la casa editrice che l’aveva riproposta fosse di destra. (…)
Si tratta della ristampa di Léon Bloy “Dagli Ebrei la salvezza”, preso l’editore Adelphi. Si veda ‘articolo di R. Calasso, “Uno scandalo al sole”, in “La Repubblica” del 2 agosto 1994, e il commento di F. Erbani, “Sulle macerie della sinistra”, con la didascalia: “Ma l’Adelphi è di destra. No, è solo un po’ snob, dicono Bernardini e Cases”. Si veda anche la risposta di Cesare Segre, che aveva provocato il dibattito:, “Per me Bloy è un miserabile”, in “La Repubblica”, 6 agosto 1994.
In queste poche righe vi è un prezioso concentrato di quanto di artificioso, di assurdo, di oziosamente lontano dalla realtà domina gran parte dei pretesi dibattiti politici italiani, ma al tempo stesso di quanto implacabile, capillare, onnipresente, sia la censura della cultura dominante, quella progressista, ogni qualvolta vi è anche solo un vago sentore di critica o di dissidenza nei confronti dei suoi sacri dogmi, e sia pure mediante la ristampa di un libro di più di un secolo prima (La Salut par les Juifs è del 1892). Nel 1994 discutere se una certa casa editrice è di destra o di sinistra significa discutere letteralmente del nulla, sia perché i concetti di destra e sinistra, a quella data, hanno già perso ogni significato pratico, sia soprattutto perché la questione non ha rilevanza culturale ma acquista un significato solo a livello di pettegolezzo da pianerottolo: che è appunto il nutrimento quotidiano di tanti sedicenti intellettuali italiani. Entrando poi nel merito, emerge il clima di furiosa intolleranza creato e mantenuto, dal 1945 a oggi, dai padroni della cultura nazionale, ovvero i signori della sinistra, abituati a muoversi in regime di monopolio e quindi a trattare da intrusi, da bracconieri e da ladruncoli o falsari quelli che non appartengono alla loro congrega o quelli che, pur ideologicamente schierati a sinistra, mostrano libertà di pensiero e onestà di giudizio. Valga per tutti il caso del socialista Carlo Silvestri, ignorato o calunniato a piene mani perché, dopo una lunga militanza antifascista, della quale aveva pagato il prezzo, nei mesi di Salò si era avvicinato a Mussolini, peraltro più sul piano umano che su quello strettamente politico. Colpisce sia lo scandalo provocato dalla ripubblicazione di un libro di fine Ottocento, che i signori della sinistra evidentemente vorrebbero consegnato al silenzio e al perpetuo oblio quanto il Mein Kampf di Hitler, sia, e ancor più, il livore e l’odio postumi che si sfogano contro la memoria dello scrittore francese, giudicato antisemita e perciò “miserabile”, mentre è vero che tutti i cattolici di tutto il mondo, fino al Concilio Vaticano II, erano, ed erano tenuti ad essere, antigiudei non in senso biologico o razziale bensì in senso religioso, come Cesare Segre senza dubbio non ignora, anche se dopo il Concilio, appunto, è venuto di moda rimuovere questo piccolo dettaglio. Il che basterebbe da solo a mostrare che il Concilio è stato una rottura nel magistero e perciò nella dottrina, e più ancora una ferita nella storia della Chiesa, non solo per quanto riguarda il giudaismo, ma anche l’islamismo e tutte le false religioni, nonché il concetto stesso di libertà religiosa, deformato e storpiato nella Dignitatis humanae fino ad assumere un significato del tutto in contrasto con la Tradizione.
La cosa però che merita la maggiore attenzione è il tono della disputa, iniziata, come al solito, da quei tali signori, come Bobbio onestamente riconosce, i quali si sono eretti da sempre a giudici e pubblici ministeri per liquidare su due piedi qualsiasi tentativo di riemersione della fangosa e immonda cultura reazionaria e “antisemita”, qualsiasi cosa loro, e loro soltanto, si riservino di significare allorché adoperano una simile espressione. Il succo del “ragionamento” di Cesare Segre – il quale, come filologo, forse non sarebbe stato la persona più adatta per impancare un processo postumo a Léon Bloy con l’accusa, appunto, di antisemitismo; ma tant’è, fanno tutto loro e decidono tutto loro, e guai a chi osa criticarli – è che lo scrittore francese è un miserabile. E si noti l’uso del presente storico, che pare scelto per consegnare a una perpetua damnatio memoriae il povero Léon Bloy: egli non è stato un miserabile, il che lo ridurrebbe alle modeste proporzioni di un uomo che si è macchiato di colpe spregevoli, sì, ma insomma che ormai giace morto e sepolto, ma è tuttora colpevole in senso ideale, perché quelle colpe, o meglio quella colpa, non cadono mai, non vanno in prescrizione, né conoscono perdono e quindi sono ascrivibili alla dimensione metafisica d’un eterno presente, ove nulla si dimentica e nulla s’impara di nuovo. Ma soprattutto: perché portare il discorso, subito, fin dal titolo, sul terreno morale, definendo Bloy “un miserabile”, e sottraendolo al terreno intellettuale, storico, filosofico, spiegando come e perché egli si sia macchiato di quelle tali colpe incancellabili? Semplice: perché così, e solo così – ed è il tipico modus operandi della cultura progressista – possono giocare al gioco che preferiscono più d’ogni altro: quello di vincere sempre perché hanno sempre ragione. Spostando il terreno della discussione dalla sfera culturale a quella etica, ed essendosi autonominati custodi unici dell’etica stessa, va da sé che vincono e stravincono tutte le partite, con l’assoluta certezza di non perdere mai. Come potrebbero perdere, infatti, loro che sono i Buoni, quando sono chiamati, o meglio si chiamano da se stessi, a giudicare i malvagi? Ecco perché Cesare Segre può dire impunemente che Léon Bloy è un miserabile (non rischia neanche una querela, visto che l’imputato è morto da parecchi decenni), mentre è semplicemente impensabile che qualcuno gli renda la pariglia e chiami lui un miserabile. I ruoli sono stabiliti in anticipo: I Buoni possono, anzi devono giudicare i cattivi, ma i cattivi non devono neanche sognarsi di giudicare i Buoni. Ciascuno al suo posto.
A questo punto ci sembra opportuno tornare al nostro tema principale, ossia se esistono ancora, propriamente parlando, una destra e una sinistra che abbiano dei caratteri ben riconoscibili e soprattutto che rispecchino le categorie storiche che hanno definito le loro rispettive identità. Citiamo ancora il volumetto di Bobbio (cit., pp. 94-95):
I due concetti di “destra” e “sinistra” non sono concetti assoluti. Sono concetti relativi Non sono concetti sostantivi o ontologici. Non sono qualità intrinseche dell’universo politico. Sono luoghi dello “spazio politico”. Rappresentano una determinata topologia politica, che non ha niente a che vedere con l’ontologia politica: “Non si è di destra o di sinistra, nello stesso senso per cui si dice che si è ‘comunisti’, o ‘liberali’, o ‘cattolici’” Revelli). In altri termini, destra e sinistra non sono parole che designano contenuti fissati una volta per sempre. Possono designare diversi contenuto secondo i tempi e le situazioni Revelli fa l’esempio dello spostamento della sinistra ottocentesca dal movimento liberale a quello democratico, a quello socialista. Ciò che è di sinistra è tale rispetto a ciò che è di destra. Il fatto che destra e sinistra rappresentino una opposizione vuol dire semplicemente che non si può essere contemporaneamente di destra e di sinistra. Ma non dice nulla sul contenuto delle due parti contrapposte. L’opposizione resta, anche se i contenuti dei due opposti possono cambiare.
A noi sembra che Bobbio, come Revelli e quasi tutti quelli che si sono occupati della questione, di destra o di sinistra che fossero, manchi largamente il bersaglio, per una ragione semplicissima, che non è di ordine filosofico e nemmeno ideologico, ma storico. Finché si rimane sul terreno dell’ideologia e della filosofia della politica, si perde di vista l’essenza del problema, che è di natura storica. In breve, si tratta di questo: destra e sinistra sono, e lo sono sempre state, fin dalle origini – non nella percezione della gente, ma nella loro essenza – creazione del solo potere che conta davvero, che da gran tempo ha dato la scalata al mondo intero, e che oggi è giunto vicinissimo alla meta: il potere massonico-finanziario, che controlla l’economia, i governi, l’informazione pubblica, la ricerca scientifica e tecnologica, la scuola, l’università e tutti i luoghi importanti ove si fa cultura. Se si studia la storia politica degli ultimi tre secoli, dall’illuminismo in poi, ci si rende conto che le stesse forze stanno dietro tutti i principali eventi, sia le rivoluzioni che le controrivoluzioni, e dunque sia la destra che la sinistra. Con la semplice ma infallibile strategia di finanziarie gli uni e gli altri, i rivoluzionari e i reazionari, i signori della grande finanza sono sempre riusciti a trovarsi dalla parte “giusta” della storia, vale a dire dalla parte dei vincitori: e come si potrebbe mai perdere, quando si è avuta l’astuzia di puntare su entrambi i cavalli in corsa? A ciò si aggiunga che la parte uscita vittoriosa ha comunque sopportato gravi sacrifici, mentre quella uscita sconfitta ha visto distrutta la propria economia: e chi potrà mai prestare i capitali a questi e a quelli, se non gli stessi soggetti che hanno manovrato nell’ombra, spingendo i contendenti allo scontro? Doppio guadagno, dunque: perché il mondo avrà sempre bisogno di essere finanziato, mediante il sistema dei prestiti internazionali, da chi ha i capitali, visto che qualsiasi azione politica, dalle riforme interne alle guerre esterne, richiede il dispendio di grosse somme di denaro. Se poi a tutto questo si aggiungono i finanziamenti necessari ai governi per risalire verso la normalità dopo aver proclamato una pandemia mondiale, infliggendo un colpo mortale ai ceti medi produttivi e facendo lievitare la spesa sanitaria oltre ogni limite ragionevole, ad esempio per l’acquisto di vaccini (mentre i farmaci a basso costo, per quanto efficaci, anzi proprio perché efficaci, vengono eliminati: strana coincidenza, vero?, ma è proprio il caso della idrossiclorochina e dell’A.I.F.A., l’Agenzia Italiana del Farmaco), il quadro diventa ancor più chiaro ed attuale. Uno dei casi più evidenti, comunque, resta quello della Seconda guerra mondiale, con le forze della grande finanza impegnate a erogare prestiti massicci sia ai nazisti, sia agli stati democratici; così come, vent’anni prima, esse avevano finanziato sia il governo russo (zarista prima, provvisorio poi), sia i bolscevichi che si apprestavano ad abbatterlo. E non sono gli stessi ambienti che hanno finanziato Saddam Hussein per dotarsi di un esercito sovradimensionato (per abbattere l’Iran degli ayatollah, obiettivo mancato), e poi lo hanno spinto ad invadere il Kuwait, lasciandogli intendere che il governo americano si sarebbe limitato alle proteste diplomatiche, e poi hanno finanziato il fronte dell’intervento occidentale contro l’Iraq? E che ora stanno fornendo i capitali necessari per la ricostruzione di quel Paese, dopo tanti anni di guerra e distruzioni?
È questa la vera ragione per cui non ha senso parlare di destra e sinistra come di due realtà politiche contrapposte e alternative. E si noti che la stessa terminologia, coi relativi concetti ideologici, di “destra” e “sinistra” fa la sua comparsa con l’avvento della piena modernità: nel caso dell’Italia, addirittura negli anni del Risorgimento e dell’Unità. Prima non c’erano, per la semplice ragione che il potere finanziario aveva a che fare coi sovrani assoluti: è solo a partire dalle rivoluzioni liberali e democratiche del XVIII e XIX secolo che si rende necessario, per essa, elaborare un castello ideologico mediante il quale ipnotizzare le masse, entrate nell’agone a partire dalla Rivoluzione industriale. In altre parole, il grande potere finanziario ha sfruttato l’umanità in maniera relativamente semplice fino a che sono esistite le monarchie assolute, mettendo il capestro del debito attorno al collo dei sovrani; poi ha fatto entrare sulla scena i popoli, trasformandoli in cittadini-elettori per poterli meglio sfruttare e manipolare, e a quel punto ha avuto bisogno dello specchietto per le allodole di creare due ideologie apparentemente alternative, l’una a favore delle masse, l’altra a favore dei “ricchi”. In realtà, erano entrambe create e controllate da esso, a sua volta padrone delle banche centrali. In questo senso, la Repubblica di Venezia, dopo un millennio di buon governo, doveva sparire, perché non accettava di privatizzare la banca di stato. Più chiaro di così…
P.S.
Volete sapere perché questo discorso è di estrema attualità e di estrema urgenza? Perché non più tardi di un mese fa un editore francese, Alain Soral, diciamo un liberale di destra, è stato condannato da un tribunale a pagare 134.400 euro alla Lega Internazionale contro il Razzismo e l’Antisemitismo. La sua colpa? Aver ripubblicato proprio il libretto che a suo tempo suscitò il furore di Cesare Segre, La salut par les Juifs, di Léon Bloy. Nel 2013 un tribunale francese aveva ordinato a Soral di espurgare il libro, eliminando quindici “proposizioni antisemite”. Ma nel 2018 Soral lo ha ripubblicato senza ottemperare all’ingiunzione. Risultato: denuncia, processo, condanna. E così, mentre noi ci trastulliamo a discettare se destra e sinistra esistono ancora, posto che siano mai esistite, le cesoie del Politicamente Corretto si abbattono implacabili sulla cultura e sulla libertà di pensiero. A quando l’espurgazione della Divina Commedia, orribile concentrato di antisemitismo, anti-islamismo e omofobia? E quando verrà espurgato Il mercante di Venezia, sordido esempio di pregiudizio antiebraico?