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Libia, una partita strategica

di Alberto Negri - 03/06/2021

Libia, una partita strategica

Fonte: Il Manifesto

Ogni volta che un leader italiano incontra un capo libico c’è aria di presa di in giro, voluta o no che sia. Eppure la Libia potrebbe diventare il nostro maggiore fornitore di gas
Ogni volta che un leader italiano incontra un capo libico c’è aria di presa di in giro, voluta o no che sia. E’ accaduto anche ieri a Roma nel meeting, assai affollato, tra il premier Mario Draghi e Abdul Hamid Dbeibah, la sua prima visita ufficiale in Italia da quando ha assunto la carica di primo ministro, a meno di due mesi da quella del presidente del consiglio a Tripoli. 
Si parla di fermare i migranti ma che cosa dobbiamo constatare? Da settimane da Zuara salpano dozzine di barconi che nessuno ferma prima della partenza: eppure abbiamo la guardia costiera libica, da noi lautamente finanziata, una missione europea Irini davanti alle coste libiche, i droni, i satelliti, i radar, insomma una serie di apparati che dovrebbero aiutare a prevenire le partenze.
Poi c’è la questione dei campi profughi, diventati dei lager. I libici, a parole, dicono di volerli smantellare. Ma prima di tutto dovrebbero cambiare le loro leggi. La Libia non aderisce alle convenzioni internazionali sui rifugiati, da quella di Ginevra alle successive. In poche parole chiunque entri in territorio libico viene considerato un clandestino, quindi privo di diritti e che può essere trattato come si vuole, alla stregua di un criminale.
Premesso questo, nell’incontro di ieri oltre ai migranti si è parlato di rilancio economico. E anche qui c’è aria di presa in giro: la Libia produce gas e petrolio e potrebbe vendere molto di più se i libici si mettessero d’accordo tra loro invece di imbracciare le armi e darsi al brigantaggio e alle vessazioni decidessero di far funzionare le cose. Ma per farlo ci vorrebbe uno stato che dalla caduta di Gheddafi nel 2011 non si potuto ancora ricostruire. Il Paese è diviso tra Tripolitania e Cirenaica, la prima sotto protettorato di Erdogan, la seconda comandata dal generale Khalifa Haftar con il sostegno della Russia, dell’Egitto e degli Emirati. Per non parlare della vasta area del Fezzan dove le tribù giocano la loro partita autonoma. L’attuale governo di unità nazionale in realtà, come tutti sanno, scadrà con le elezioni di dicembre dove entreranno in lizza i veri pezzi grossi della politica e delle milizie libiche. Come si vede siamo ben lontani dalla stabilità e lo stesso governo che si è presentato ieri a Roma è un’entità precaria. 
Ma dobbiamo essere realisti e fare i conti con quello che abbiamo. E soprattutto con una Libia dove le influenze esterne sono preponderanti: né il leader turco Erdogan né Putin hanno intenzione di rinunciare alle loro posizioni strategiche. La Turchia ha vinto la guerra contro Haftar e l’Italia non dato alcun sostegno militare al governo di Tripoli di Sarraj, mentre la Russia è entrata sulla costa nordafricana dove nutre ambizioni di allargare la sua presenza militare. Quindi all’Italia, incapace di difendere i propri interessi nazionali e strategici, non resta che l’appoggio europeo e quello americano, senza però farsi troppe illusioni, perché il passato recente dimostra in abbondanza che gli interessi occidentali e quelli italiani non sempre convergono. Oggi, per esempio, la Francia di Macron mostra solidarietà al governo Draghi ma per anni proprio in Libia ha sabotato sistematicamente le iniziative diplomatiche di Roma.
Non dimentichiamo che l’attacco della Francia alla Libia di Gheddafi nel 2011, appoggiato da Usa e Gran Bretagna, significò la maggiore confitta italiana dalla seconda guerra mondiale e la perdita di 50 miliardi di accordi economici con il leader libico che appena sei mesi prima avevamo ricevuto a Roma in pompa magna.
Con Dbeibah ieri c’erano diversi ministri libici, da quello dagli Esteri all’Interno, dai Trasporti all’Economia. Alla Farnesina si è tenuto un Business Forum al quale, oltre a Di Maio e alla delegazione di Tripoli, ha partecipato una nutrita rappresentanza di imprese italiane: Snam, Saipem, Terna, Ansaldo Energia, Fincantieri, PSC Group, Italtel, Leonardo, WeBuild, Gruppo Ospedaliero San Donato, Cnh Industrial, Eni. In discussione c’è la riattivazione di alcuni macro-investimenti italiani in Libia, come la costruzione dell’Autostrada della pace inserita negli accordi siglati da Silvio Berlusconi e Muammar Gheddafi nel 2008, o il dossier energetico. La Libia è legata all’Italia dal gasdotto Greenstream di cui l’Eni vorrebbe, se possibile, raddoppiare o triplicare la portata. In un futuro prossimo l’Italia potrebbe contare per oltre un terzo dei suoi approvvigionamenti di gas su Tripoli. 
Si tratta di una partita strategica; i nostri concorrenti ma anche i nostri partner occidentali faranno di tutto per ficcarci il naso.