Logica e caos
di Livio Cadè - 12/12/2021
Fonte: Ereticamente
La società moderna si basa su percentuali e statistiche. Qualcuno potrebbe chiedersi se tali dati, più che mostrare la realtà, non la nascondano, o se sia possibile dare una rappresentazione fedele della realtà attraverso numeri e grafici. Cercherò di mostrare come il metodo statistico produca una società migliore, più ordinata e consapevole. Provate a immaginare un uomo medievale: ignorava quale fosse l’aspettativa media di vita, non conosceva gli indici di contagio della peste, non sapeva quante erano le probabilità che l’indomani piovesse etc. Per lui l’esistenza era un tunnel oscuro nel quale muoversi a tentoni, inciampando nella realtà attimo dopo attimo. L’incertezza lo costringeva a vivere in quel timore che trae origine dall’ignoranza.
Oggi, al contrario, la statistica ci permette di regolare ogni aspetto importante della nostra vita – medicina, economia, finanza etc. – su solide basi logiche. Le forme e i principi stessi della nostra democrazia crollerebbero senza il suo sostegno. I suoi benefici toccano ogni campo e nessuno li potrebbe contestare se non ricorrendo a dati statistici, il che sarebbe una palese contraddizione.
Eppure, a riguardo v’è ancora una discreta percentuale di scettici. C’è chi dubita della validità dei dati, chi mette in discussione la metodologia, chi critica il fatto che la statistica spersonalizzi etc. Ma privilegiare la generalizzazione e l’astrazione a scapito del particolare, riferirsi a numeri piuttosto che a individui specifici, permette una visuale più ampia e obiettiva.
Così, ad esempio, sapere che c’è un 4% di gravi reazioni avverse al vaccino permette di minimizzare il problema, relegandolo a una minoranza esigua di casi. “Ma se in quella percentuale rientra mio figlio, la mia percezione del dato statistico muta radicalmente” dirà qualcuno. Potrebbe esser vero. Tuttavia, questo è un dato di carattere soggettivo, quindi obiettivamente irrilevante. Non possiamo assecondare dinamiche irrazionali che trattengono l’uomo in condizioni di pensiero pre-scientifico.
Pensiamo alla foresta amazzonica e alle sue molte varietà di pappagalli. Ogni specie ha un nome, ma non esiste nella lingua degli indios la parola ‘pappagallo’. Manca loro un concetto unificante. Come se sapessimo cos’è un levriero o un bulldog ma non cos’è un cane. Questa peculiarità si può notare anche in altre civiltà, meno evolute della nostra. Il vocabolario di alcuni selvaggi abbonda di termini per designare le particolarità di un fenomeno – atmosferico, psicologico ecc. – ma difetta di termini generali. È una sorta di ingenuità logica.
Anche noi diciamo che “non bisogna generalizzare”, ma questa affermazione vieta solo le generalizzazioni basate su dati approssimativi o dubbi. In realtà, generalizzare è una necessità logica. La scienza, quindi il progresso dell’uomo, si basa su leggi generali. Una mela che cade da un albero, una pietra che rotola lungo un pendio, sono accomunate da una medesima legge di gravitazione universale. E se un tale si volesse suicidare buttandosi dal decimo piano, saprebbe di poter contare su una generalizzazione della fisica.
Ovviamente non basta raccogliere a tal fine una messe incoerente di osservazioni. I semplici fatti vanno collegati attraverso un processo di connessione o deduzione. “Gli italiani sono mafiosi, Piero è italiano, quindi Piero è mafioso” ha il pregio di unire esperienza empirica ed evidenza logica. Quel quindi ci consente di muoverci da una generalizzazione all’altra in modo logico e necessario, dimostrando un’infinità di cose.
Si può lamentare il fatto che generalizzare favorisca alcuni pregiudizi o trascuri alcune particolarità. Tuttavia, è un piccolo prezzo da pagare per l’economia di pensiero che otteniamo in cambio. Senza generalizzazioni resteremmo paralizzati in un caos di elementi accidentali. Perderemmo ordine, chiarezza, rapidità di giudizio.
Non serve esaminare tutti i gatti per sapere che ogni gatto ha la coda. Alcuni gatti sono bianchi, altri neri o rossi, e possono avere età o peso differenti, ma quando generalizzando noi diciamo ‘il gatto’ non gli assegniamo alcun colore, peso o un’età. ‘Il gatto’ in generale può avere qualsiasi colore etc., quindi non deve averne nessuno. Dunque, ‘il gatto’ è tutt’altra cosa che ‘un gatto’.
I sofisti cinesi dicevano che ‘cavallo bianco non è cavallo’. Infatti, un termine generale deve escludere ogni attributo specifico. Il cavallo in generale ha solo gli attributi essenziali della ‘cavallinità’; le sue qualità individuali non ci interessano. Potrebbe essere un cavallo al 50% e tuttavia restare un cavallo.
Il dato generale è un’astrazione e ogni generalità è divisibile all’infinito. Per converso, è sempre possibile includere una generalità ristretta in una generalità più ampia. Esiste una ‘città’, o esistono solo case, strade, giardini? Ma esistono ‘case’ o solo mattoni, porte e finestre? Esistono ‘giardini’ o solo erba e fiori? E via dicendo.
Così, termini come ‘società’, ‘civiltà’, ‘mondo’, esprimono astrazioni molto complesse. Racchiudono in un solo concetto una moltitudine di sotto-insiemi. L’uomo stesso rappresenta un’astrazione. Infatti, l’essere umano è un universo in sé stesso, scomponibile in parti sempre più minute e, nello stesso tempo, è un’unità atomica riducibile a un numero. Se così non fosse, non potremmo farne un oggetto statistico.
Non c’è un limite alle generalizzazioni. Il concetto di Essere (o Dio) è quello che meglio dimostra la possibilità di generalizzare all’infinito. L’idea di Essere, come quella di ‘gatto’, è puramente formale. Ma se del ‘gatto’ si può affermare qualcosa, se non altro che non è un cane, dell’Essere non possiamo dire nulla di sensato. Essendo una generalità infinita, insieme di tutti gli insiemi, rifiuta ogni definizione.
È insieme zero e infinito, una coincidenza di opposti. Questo crea difficoltà inconciliabili con la statistica e le percentuali. Infatti, le nostre generalizzazioni devono rispettare il principio di non contraddizione. L’alternativa è di cadere in una totale assurdità. Potremmo allora dire, come Walt Withman: “Forse che mi contraddico? Benissimo, allora vuol dire che mi contraddico, (sono vasto, contengo moltitudini.)”
Ma affermazioni del genere non servono a comprendere i fatti. Altrettanto irrazionale è dire, come Chesterton, che “si può trovare la verità con la logica soltanto se la si è già trovata senza di essa.” Come può esistere una verità senza logica? Sarebbe illogica, quindi contraddittoria, quindi falsa.
L’unica conclusione assennata è che la statistica, la logica, i dati percentuali non hanno bisogno dell’Essere (o Dio). Anzi devono rigorosamente escluderlo dal loro orizzonte. Questo è chiaro. Meno evidente è se l’Essere abbia bisogno della logica.
Se il mondo fosse retto dalla logica, e posto necessariamente che la verità sia una sola, dopo l’attento esame di un qualsiasi argomento dovremmo trovarci tutti d’accordo. L’infinità varietà e discordanza delle opinioni sembra invece dimostrare il contrario. Pare dunque che l’Essere sia indipendente dalla logica. Ma ciò dipende da un limite della logica o di chi la applica?
Osserviamo questo tipico sillogismo: “tutti i gatti hanno una coda, Socrate è un gatto, quindi Socrate ha una coda”. Pare ineccepibile. Però, ammettiamolo, come faccio a sapere che tutti i gatti hanno una coda? E chi mi assicura che Socrate sia un gatto? Per dire che è un gatto dovrei vederlo, e in tal caso saprei anche se ha la coda, senza bisogno di dedurlo.
In pratica, non possiamo trarre conclusioni valide da certe premesse senza prima aver dimostrato le premesse e le premesse delle premesse, all’infinito. Di conseguenza, la logica deve porsi dei postulati inamovibili per poter dispiegare le sue infinite potenzialità. Ciò nonostante, dicono i suoi detrattori, la logica non può spiegare tutto.
Molti, ad esempio, han tentato invano di capire se venga prima l’uovo o la gallina. Essendo l’uovo ciò che causa la gallina ed essendo la gallina ciò che causa l’uovo, sembra si debba cadere in un regresso all’infinito. Tuttavia, è possibile trovare una via d’uscita da questo secolare impasse.
Non dobbiamo però cercare una soluzione di natura empirica. Se ci basiamo sull’esperienza, continueremo a osservare uova da cui nascono galline e galline da cui nascono uova, senza poterci decidere. Occorre spostarsi sul piano dell’evidenza razionale. Vedremo allora che la questione è mal posta.
La difficoltà sta nella parola ‘prima’. Questo termine, come il suo opposto ‘dopo’, non ha senso se non come membro di una relazione. Non possiamo quindi chiedere cos’è venuto prima. Dobbiamo chiedere ‘prima di che?’. Questo ci permette di risolvere facilmente il problema. Chiedendo ‘chi è nato prima?’, se intendiamo ‘prima della gallina’ la risposta sarà ‘l’uovo’, se intendiamo ‘prima dell’uovo’ la risposta sarà ‘la gallina’.
Vi sono tuttavia casi, lo ammetto, che mettono in scacco la logica. La letteratura è ricca di tali paradossi. L’antinomia più nota è “io mento”. Se è vero non è vero e viceversa. Oppure c’è quel tale che cataloga libri, riempiendo vari elenchi che non comprendono sé stessi, che cioè non compaiono nell’elenco. Quando infine compila l’elenco degli elenchi che non comprendono sé stessi, deve metterlo in elenco? Se lo mette, comprende sé stesso e quindi non va messo. Se non lo mette non comprende sé stesso e quindi va messo.
E poniamo il caso di un referendum per abrogare i referendum: se vincesse, dovremmo abrogarlo, ma se lo abroghiamo vuol dire che non va abrogato e se non lo abroghiamo vuol dire che va abrogato. Questi esempi sembrerebbero dimostrare una debolezza del pensiero logico ma, di fatto, sono solo eccezioni che ne confermano la validità.
Il vero problema non è la logica ma la comune mancanza di logica. Per questo i meccanismi democratici hanno esiti infausti. La maggioranza delle persone direbbe che, se un gatto e mezzo mangia un topo e mezzo in un minuto e mezzo, tre gatti mangiano tre topi in tre minuti. I più sono infatti incapace di ragionare correttamente. A ciò contribuisce la natura sempre più distratta e frettolosa dei nostri pensieri. Prendiamo la recente emergenza sanitaria. Che la gente possa prender per vere proposizioni così evidentemente assurde e contraddittorie è certo da imputare alla sua scarsa attitudine per la logica.
È essenziale, se vogliamo salvare la società, imparare a ragionare, esercitarsi nell’arte della logica. “Il gatto è un animale che miagola quindi un animale che miagola è un gatto” alla gente sembra logico, ma non lo è affatto. “Tutti gli uomini sono mortali, Socrate è mortale, quindi Socrate è un uomo” può essere casualmente vero ma non è logico, perché “tutti gli uomini sono mortali” non vuol dire “tutti i mortali sono uomini”. Sarebbe come dire: “tutti i cerchi sono figure geometriche, il quadrato è una figura geometrica, dunque il quadrato è un cerchio”, oppure “le giraffe hanno il collo lungo, mia zia ha il collo lungo, mia zia è una giraffa”.
Tuttavia, in un mondo dove solo l’uomo è mortale, “tutti gli uomini sono mortali” coinciderebbe in pratica con “tutti i mortali sono uomini”. La frase “Socrate è mortale, gli uomini sono mortali, Socrate è un uomo”, illogica sulla Terra, potrebbe perciò sembrar logica su un altro pianeta.
Ma questa apparente incongruenza dipenderebbe da un errore di quei logici extraterrestri, dalla loro difettosa capacità d’astrazione. La logica è infatti una legge universale, valida in tutti i mondi possibili. Se fosse legata a condizioni soggettive e particolari vi sarebbero altrettante rispettabili opinioni quante sono le caratteristiche storiche, geografiche, psicologiche o biografiche di ognuno.
Il folle e l’idiota avrebbero una loro logica, coerente quanto quella di ogni altro. Si potrebbe dedurre che i vegetariani sono nazisti dal fatto che Hitler era vegetariano e, dato che Maometto amava i gatti, inferire che i mussulmani non sono cani, benché Otello dica di un turco “quel cane circonciso”. Se un discorso non ha né capo né coda e se ogni gatto si morde la coda, potremmo concludere che quel discorso non è un gatto. Ma un ragionamento che si morde la coda potrebbe essere un gatto.
La mia opinione varrebbe quanto la tua. E se chiamassimo un terzo a far da giudice, la sua opinione varrebbe quanto la nostra. Come potremmo mai arrivare alla verità? Dal che risulta evidente la necessità di affidarsi a dati logici e percentuali statistiche precise (quod erat demonstrandum). L’alternativa è lasciare che la nostra società ritorni a stadi primitivi, comportarsi come fanciulli irresponsabili e mettere a soqquadro ogni ordine razionale. Insomma, il caos.