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«Lutero? Non sapeva quel che faceva» (Nietzsche)

di Francesco Lamendola - 28/04/2018

«Lutero? Non sapeva quel che faceva» (Nietzsche)

Fonte: Accademia nuova Italia

 

Una delle parole più acute e, secondo noi, più veritiere, sul significato complessivo della cosiddetta riforma protestante, e anche sulla psicologia di Lutero nella genesi di essa, è stata pronunciata da un filosofo tutt’altro che tenero verso il cristianesimo, tedesco come Lutero, e, proprio perché tedesco, straordinariamente acuto nel cogliere la mentalità di quel popolo, del quale vedeva con impietosa chiarezza i limiti di carattere intellettuale: Friedrich Nietzsche. Lasciamo perdere la diagnosi finale e complessiva, secondo cui Lutero sbagliò perché non comprese che, per reggersi, una Chiesa, in quanto struttura di potere, aveva e ha bisogno di quella “distanza”, di quell’aura, di quell’altezza che la pone al di sopra del normale livello dell’esistenza, e che, pertanto, distruggendo quella “distanza”, egli distrusse la Chiesa e inferse, al tempo stesso, un colpo decisivo, probabilmente mortale, all’edificio stesso del cristianesimo. Lasciamola perdere perché Nietzsche, quale erede dell’illuminismo, non vide né seppe vedere nel cristianesimo altro che una suprema forma di alienazione, e nella Chiesa una struttura di potere creata per stabilire e perpetuare quell’alienazione: qui la sua vista, tante volte così penetrante, rimase decisamente in superficie e non seppe andare oltre, rimase soffocata dai suoi stessi pregiudizi di matrice razionalista. Soffermiamoci, invece, sull’analisi del senso complessivo dell’opera di Lutero: una sedicente riforma che si trasformò in una rivoluzione e nel principio di un processo di disgregazione fatale, progressiva, inarrestabile del cristianesimo, in quanto volle togliere, uno ad uno, meticolosamente, con meticolosità tutta tedesca  e tutta “contadina”, quei puntelli sui quali la superba costruzione si reggeva da millecinquecento anni: qui l’analisi di Nietzsche è veramente profonda e originale. Pare che egli riduca il tutto a una pretesa di eccesiva chiarezza e semplificazione e, perciò, d’incomprensione della complessità e della sottigliezza sulle quali si fonda il cristianesimo; ma non è così. Lo sguardo di Nietzsche è straordinariamente acuto, come lo è quasi sempre: basterebbe una frase come questa: Consegnò a tutti le Sacre Scritture - esse finirono così nelle mani dei filologi, cioè dei distruttori di ogni fede che si fondi sui libri, per capire come egli abbia afferrato al volo, in un istante, il nocciolo di una questione già allora dibattuta e rovesciata più volte come un guanto, senza che se ne fosse venuti a capo, e come abbia preceduto di oltre cent’anni gli esiti di una discussione che perfino oggi non è stata compresa da molti, quando pur tante cose sono state chiarite dall’evoluzione dei fatti e persino un miope avrebbe dovuto capire quanto esatta fosse la sua intuizione.
Ci sembrano perciò più che mai di attualità le riflessioni contenute nel quinto libro de La gaia scienza, al § 358, intitolato La rivolta contadina dello spirito, opera pubblicata nel 1882 e, perciò, ormai vecchia di centotrentasei anni e tuttavia, come lo sono i veri classici, sempre eccezionalmente giovane (in: F. Nietzsche, la gaia scienza, traduzione dal tedesco di Francesca Ricci, Roma, Newton & Compton, 1996, pp. 213-215):

Noi Europei ci troviamo davanti a un immenso mondo di macerie, in cui alcune cose svettano ancora, alcune rimangono in piedi,  fatiscenti e inquietanti, ma la maggior parte sono già a terra, in modo abbastanza pittoresco – dove si sono mai date rovine più belle? – e ricoperte di erbacce grandi e piccine. Questa città del tramonto è la chiesa: vediamo la società religiosa del cristianesimo scossa fino al punto più basso delle sue fondamenta; la fede in Dio è precipitata, la fede nell’ideale ascetico-cristiano sta ancora combattendo la sua ultima battaglia. Un’opera come il cristianesimo, la cui costruzione fu lunga e accurata – si tratta dell’ultimo edificio romano! – non poteva andare distrutta tutta in una volta; doveva essere scossa da terremoti d’ogni genere; doveva contribuirvi ogni genere di spirito, che trivella, scava, inchioda, inonda. Ma la cosa più sorprendente è questa: i suoi distruttori sono divenuti proprio coloro che si sono impegnati per sorreggere e mantenere il cristianesimo, i Tedeschi. Sembra che i Tedeschi non capiscano l’essenza di una chiesa. Non sono abbastanza spirituali? La costruzione di una chiesa si basa comunque su una libertà e una liberalità di spirito tutte MERDIONALI, e parimenti su una diffidenza meridionale nei confronti degli uomini e un’esperienza degli uomini completamente diverse da quelle avute al Nord. La Riforma luterana fu, in tutta la sua estensione, l’indignazione della semplicità contro qualcosa di “molteplice”; per parlare con cautela, fu un’ingenua, grossolana incomprensione, in gran parte da perdonare: non si comprendeva l’espressione di una chiesa vittoriosa e si vedeva soltanto corruzione, si fraintendeva la nobile scepsi, quel LUSSO di scepsi e tolleranza che ogni potenza VINCITRICE e sicura di sé può concedersi... Oggi si ha una visione abbastanza chiara del fatto che Lutero, in tutte le questioni cardinali del potere, ebbe un’impostazione fatalmente superficiale, concisa, incauta, soprattutto in quanto uomo del popolo al quale mancavano l’eredità di una casta dominante e ogni istinto di potere: cosicché la sua opera, la sua volontà di ripristinare quell’edificio romano divenne, sena che egli lo volesse o lo sapesse, soltanto l’inizio di un’opera di distruzione. Egli disfece e lacerò, con ira sincera, laddove il vecchio ragno aveva tessuto con la massima cautela e lentezza. Consegnò a tutti le Sacre Scritture - esse finirono così nelle mani dei filologi, cioè dei distruttori di ogni fede che si fondi sui libri. Gettando alle ortiche ogni fede nell’ispirazione dei concili, egli distrusse il concetto di chiesa: questo concetto infatti mantiene la sua forza soltanto partendo dal presupposto che lo spirito ispiratore che l’ha fondata continui a vivere. Restituì al sacerdote il rapporto sessuale con la donna: ma tre quarti del timore reverenziale di cui il popolo e soprattutto la donna del popolo è capace si fonda sulla fede che un uomo eccezionale a questo riguardo sarà un’eccezione anche sotto altri punti di vista: è questo l’avvocato più fine e capzioso della fede popolare per cui nell’uomo ci sarebbe qualcosa di sovrannaturale, il miracolo del Dio redentore. Lutero dovette togliere al sacerdote, dopo avergli ridato la donna, la confessione auricolare, cosa questa psicologicamente giusta; così facendo smantellò però lo stesso sacerdote cristiano, la cui più profonda utilità risiedeva da sempre nel fatto di essere un orecchio santo, una fontana discreta, una tomba per i segreti.”Ciascuno sia sacerdote di se stesso” - dietro queste formule e la loro scaltrezza contadina, si nasconde in Lutero l’odio radicale per l’’uomo superiore” e il predominio dell’”uomo superiore” come l’aveva concepito la chiesa: egli distrusse un ideale che non sapeva raggiungere, anche se l’oggetto della sua lotta e del suo disprezzo sembrava invece la degenerazione di questo ideale. Di fatto questo monaco impossibile allontanò da sé gli “homines religiosi”, facendo così all’interno dell’ordinamento sociale ecclesiastico esattamente quello che combatteva così tenacemente all’interno dell’ordinamento civile, - una “rivolta contadina”. Quanto ai risultati emersi dalla sua riforma, buoni e cattivi, e che oggi possono essere calcolati con una certa approssimazione: chi sarebbe tanto ingenuo da lodare o biasimare Lutero soltanto in virtù di questi? Egli è innocente di tutto, non sapeva quel che faceva. L’appiattimento dello spirito europeo, soprattutto al Nord, il suo DIVENIRE MANSUETO, se preferiamo esprimerci in termini morali, ha fatto con la Riforma luterana un considerevole passo in avanti, non c’è dubbio; al contempo da essa sono nati la mobilità e l’inquietudine dello spirito, la sua sete di indipendenza, la sua fede nel diritto alla libertà, la sua “naturalezza”. Se vogliamo in ultima analisi attribuire alla Riforma il merito di aver preparato e favorito quanto oggi veneriamo col nome di “scienza moderna” occorre però aggiungere che essa è in parte colpevole anche della degenerazione dell’erudito moderno, della sua mancanza di timore reverenziale, pudore e profondità, di tutta l’ingenua cordialità e semplicità nelle cose della conoscenza, in breve di quel PLEBEISMO DELLO SPIRITO che è tipico degli ultimi due secoli e di cui neppure l’ultimo pessimismo è ancora riuscito a liberarci: anche le “idee moderne” fanno parte di questa rivolta contadina del Nord contro lo spirito più freddo, ambiguo, diffidente del Sud, che nella chiesa cristiana si era costruito il suo maggior monumento. Non dimentichiamo infine che cos’è una Chiesa, soprattutto in contrapposizione a ogni “Stato”: una Chiesa è soprattutto una struttura di dominio che assicura ai religiosi il rango supremo e crede tanto al potere della spiritualità da proibirsi ogni strumento di potere più rozzo: questo basta a fare della Chiesa, comunque sia, un’istituzione PIÙ NOBILE dello Stato.

Nietzsche odiava lo spirito plebeo e vedeva nello spirito aristocratico l’ultima traccia della vera anima europea; per questo, nonostante le suggestioni illuministe, era abbastanza lucido da misurare il disastro operato dalla riforma luterana, che giudicava una rivolta dello spirito plebeo contro ciò che è nobile e superiore. Anche se il suo punto di vista era quello di un ateo e di un materialista, ciò non toglie che avesse colto nel segno ben più di tanti pensatori “cristiani” e specialmente dei moderni cattolici progressisti, i quali, a questo riguardo, non hanno capito assolutamente nulla. Nietzsche è perfettamente nel giusto quando afferma che, togliendo la soprannaturalità della Scrittura e consegnandola nelle mani dei filologi, Lutero ha creato le condizioni perché l’Europa perdesse la fede, quella stessa fede che il monaco agostiniano, a suo modo, pensava forse di salvare. Ma ciò dimostra solo che non aveva capito che cos’è la Chiesa: ed è significativo che l’ateo Nietzsche, nonostante tutto, lo abbia compreso assai meglio di lui. Il filosofo tedesco non crede al soprannaturale, però vedere con chiarezza che la Chiesa non può assolutamente fare a meno della fede in esso; mentre la tendenza della riforma luterana è quella di abbassare il Regno di Dio alla dimensione dell’umano, del comprensibile, di ciò che si può spiegare razionalmente sino in fondo, senza residui: ma, così facendo, si distrugge l’invisibile, e quindi la spiritualità, che è il cuore e la sostanza della fede cristiana.
Con Lutero, per Nietzsche, lo spirito europeo si è ulteriormente abbassato e appiattito; pertanto Lutero appartiene di diritto ai padri fondatori della modernità, che di quell’appiattimento è la quintessenza. In tal senso, possiamo dire che Kant, Hegel e Marx, tutti e tre tedeschi (anche se l’ultimo è un ebreo tedesco) sono impensabili senza Lutero, meglio, sono suoi figli e nipoti legittimi: il primo, abolendo la metafisica e così, in pratica, la soprannaturalità della fede; il secondo, storicizzando ogni cosa, e quindi anche il cristianesimo, e compiendo così il passo decisivo verso la sua “umanizzazione”; il terzo, rovesciando la dialettica e riducendo la religione a sovrastruttura dell’economia, che è il vero fatto storico. Lo stesso Nietzsche, del resto, fa parte – anche se ciò lo avrebbe fatto inorridire - di questa marcia della modernità e, quindi, di questo progressivo trionfo dello spirito plebeo sullo spirito aristocratico: perché Nietzsche, che pure rispetta la Chiesa - bellissima e verissima la sua affermazione che essa è l’ultimo edificio costruito dalla romanità – parte dal presupposto che Dio è morto e che la Chiesa, quindi, non ha più nulla da fare, è divenuta simile a un guscio vuoto. Lutero, pieno di spirito plebeo, crede di odiare la degenerazione del cristianesimo, mentre odia la sua parte migliore: l’aspirazione alla santità. La sua abolizione del celibato ecclesiastico, e soprattutto la sua dottrina sul sacerdozio universale dei credenti, colpiscono al cuore la trascendenza, e riducono il cristianesimo a un fatto meramente umano. Ciò, allora, poteva anche passare quasi inosservato, perché il bersaglio dichiarato erano gli abusi del clero, e specialmente il commercio delle indulgenze; ma, nel tempo, la cosa si è fatta sempre più manifesta. Dalla riforma protestante nasce la teologia liberale, e dalla teologia liberale nasce la teologia negativa, ovvero la teologia del Dio che si nasconde, che vuole che noi facciamo come se lui non ci fosse, etsi Deus non daretur. Questo è già ateismo  pratico, anche se i teologi protestanti, tutti impegnati a smantellare le sovrastrutture mitologiche delle Scritture - la Tradizione, l’avevano già gettata nel cestino della carta straccia - non  se ne sono neanche accorti: strano, ma vero. Dalla teologia protestante della scuola liberale e dalla teologia negativa, ma soprattutto dall’erudizione filologica protestante, è passato nel cattolicesimo il virus modernista, che, a sua volta, ha condotto, in un secondo tempo – mezzo secolo dopo la repressione di Pio X – al riaffiorare delle tendenze panteiste e antropocentriche, prima con Teilhard de Chardin, poi con la malaugurata “svolta antropologica” di Karl Rahner, spacciata come una grandiosa novità, mentre è il concentrato di tutti i cascami della deriva teologica iniziata con Lutero e culminata con Bultnann, Tillich, Bonhoeffer. Ancora una volta, Nietzsche ha visto giusto, specie per quanto riguarda i tedeschi: ha visto che lo spirito tedesco è troppo “contadino”, troppo lineare, troppo razionale, nel senso più piatto del termine, troppo privo di sfumature e di profondità, per afferrare il mistero del cristianesimo; nelle mani dei tedeschi, il cristianesimo non poteva che venire abbassato. E così è stato. Dal protestantesimo, le tendenze antropocentriche sono passate alla Chiesa cattolica tedesca; e dalla Germania, l’infezione filologica e antropologica si è diffusa in ogni angolo del cattolicesimo. Ha trovato un terreno particolarmente favorevole in America Latina, dove le condizioni sociali erano estreme, simili a quelle che determinarono la guerra contadina tedesca del 1525. Solo che, in quel caso, Lutero ci mise pochissimo a scegliere da che parte stare: e non solo scelse di stare con i principi, ma maledisse i contadini e li consegnò alla corda del boia con una veemenza di cui non c’era alcuna necessità razionale, ma che nasceva dalla sua cattiva coscienza di monaco spretato, gonfio di rancore verso quanti gli ricordavano che, in base ai suoi stessi principi, egli avrebbe dovuto schierarsi con i contadini e non coi principi. I preti cattolici dell’America Latina hanno visto nella teologia della liberazione un mezzo per non ripetere l’errore di Lutero, per stare dalla parte dei contadini contro i poteri forti, i proprietari terrieri e i dittatori reazionari: e, così facendo, si sono spinti perfino più in là del protestantesimo, perché hanno compiuto il passo che Lutero si era rifiutato di compiere. Facendo ciò, di fatto sono entrati nella ”chiesa” marxista e sono divenuti degli apostati dal cattolicesimo, anche se, in genere, non lo sanno, così come Lutero non sapeva realmente quel che stava facendo, perché non comprendeva il significato profondo della sua stessa “riforma”; la sua mente era troppo semplice, troppo tedesca e troppo plebea, per capire quale fosse la vera posta in gioco.
Appare perciò in piena evidenza quanto sia politicamente furbesco, ma spiritualmente e intellettualmente inconsistente, il progetto di Bergoglio di rivalutare Lutero e di celebrarlo come un alfiere del rinnovamento cristiano. Lutero, quanto ai contenuti, è stato un teologo regressivo, ha voluto riportare il cristianesimo all’Antico Testamento, allo spirito di Yahvé più che a quello di Gesù Cristo, al senso della dannazione universale più che a quello della redenzione; ma quanto ai modi e alla prospettiva, è stato, sì, un uomo del Rinascimento, e dunque un teologo moderno, perché ha dato pieno mandato alla ragione e alla coscienza individuale di leggere la Scrittura e d’interpretarla a loro talento, cacciando via qualsiasi autorità pretenda di porne una interpretazione universale, e ciò per puro odio verso la Chiesa, della cui funzione storica e morale non aveva compreso assolutamente nulla – altro che riformatore e altro che celebrazione dei cinquecento anni del suo catastrofico scisma! Il signor Bergoglio, che si crede tanto moderno, solo perché le folle lo applaudono – ma sono folle sempre più smilze: i teleoperatori non osano riprendere tutta la Piazza san Pietro, all’Angelus, per non mostrarne i vuoti sempre più inquietanti – a quanto pare non sa, né sospetta, di essere in ritardo di centocinquanta anni; e non sa, né sospetta, che un pensatore ateo e anticristiano come Nietzsche aveva visto meglio di lui quel che Lutero ha fatto e i mali che avrebbe seguitato a provocare nella Chiesa, introducendovi lo spirito moderno, fatto di filologia, erudizione, scienza, insomma di ogni cosa tranne che la fede, e che ha fermentato per alcuni secoli e finalmente si è imposto fino ai vertici della gerarchia, stravolgendo la liturgia, la pastorale e, da ultimo, anche la dottrina. Quale impressionante verità nella frase di Nietzsche, riferita a Lutero: egli distrusse un ideale che non sapeva raggiungere (…); di fatto questo monaco impossibile allontanò da sé gli “homines religiosi”; e non è anche una sconcertante anticipazione di quel che sta facendo il signor Bergoglio? Di fatto, questo papa “impossibile” non sta facendo esattamente la stessa cosa che fece Lutero: con la pretesa di voler rinnovare tutto, non sta forse allontanando dalla Chiesa gli spiriti realmente religiosi? Infatti, si è circondato di uomini “politici”, machiavellici, calcolatori: Paglia, Galantino, Sosa, Maradiaga, Kasper, Marx, Viganò: persone senza un briciolo di spiritualità e, a quel che è dato vedere, senza un briciolo di carità e di vera fede.
Oggi stiamo assistendo alla vittoria postuma di Lutero dentro la Chiesa e alla sconfitta definitiva del Concilio di Trento e dello spirito tridentino; nello stesso tempo, stiamo assistendo all’atto finale del cristianesimo, e della Chiesa cattolica ormai in procinto di auto-liquidarsi e auto-sciogliersi, come fece l’Unione Sovietica quando il comunismo giunse al capolinea. Umanamente parlando, infatti, il cristianesimo è giunto al capolinea: se fosse solo una costruzione umana, sarebbe destinato a non risorgere mai più. Per fortuna, non è opera umana, ma divina: e Dio sa bene quello che fa. Non si è incarnato per nulla, non è venuto sulla terra per consentire poi al diavolo di disfare ogni cosa. L’ultima parola non sarà dell’anticristo, ma sarà quella di Gesù Cristo, nostro Signore, Salvatore e Redentore, il Figlio di Dio, il Buon Pastore che non si scorda delle sue pecorelle. Invece al mercenario non importa delle pecorelle, perché non è pastore, ed esse non riconoscono la sua voce...