Ma Chaucer era razzista? Al bando la letteratura
di David Nieri - 03/02/2021
Fonte: Franco Cardini
Si tratta di una notizia di questi giorni. L’Università di Leicester sta pensando di sostituire le opere di Geoffrey Chaucer, John Milton, John Donne, Christopher Marlowe e tanti altri colleghi di penna con programmi e corsi orientati a fornire un’educazione e una preparazione riviste e corrette secondo i canoni della modernità.
Il Dipartimento di Inglese dell’Università di Leicester, infatti, seguendo le disposizioni dell’amministrazione universitaria, ha deciso di escludere dal percorso di studio alcuni classici della letteratura a vantaggio di testi maggiormente in linea con le “aspettative” degli studenti.
Il passaggio di consegne prevederebbe l’esclusione, ad esempio, di The Canterbury Tales e Beowulf, insieme a molti altri testi di letteratura medievale.
Le autorità universitarie e gli stessi insegnanti hanno giustificato tale scelta con l’esigenza di modernizzare i piani di studio rendendoli più adeguati alla sensibilità e alle prospettive degli studenti di letteratura inglese. Queste sarebbero le motivazioni che l’Università di Leicester avrebbe addotto dopo che alcune illazioni – ma sono davvero tali? – avevano prospettato, nei giorni immediatamente precedenti, qualcosa di diverso. Ovvero, una sorta di “rogo virtuale” per far largo a un curriculum “decolonizzato” e a testi politicamente corretti che escludano dal loro orizzonte il “guardo” rispetto alla siepe dell’omologazione. Chaucer, secondo queste illazioni, sarebbe eccessivamente “filobianco”. Non si salverebbero Milton e il suo Paradiso perduto, ma anche il bardo per eccellenza, ovvero William Shakespeare, verrebbe vivisezionato (oppure “mondato” delle sue deviazioni “razziste”? Mi aspetterei, in tal senso, un taglio immediato de Il mercante di Venezia).
Troppa “diversity”? Una spiegazione convincente, almeno al momento e spulciando i quotidiani inglesi, ancora non c’è stata. E se a pensar male si fa peccato, qualche volta non è difficile azzeccarci: prova ne sia la furia iconoclasta che ha causato, nei mesi scorsi, qualche amputazione o menomazione alle statue di alcuni protagonisti della storia accusati di razzismo, omofobia, sterminio, genocidio. Motivazioni spesso non prive di fondamento ma decisamente fuori tempo massimo e non contestualizzate rispetto all’epoca storica di riferimento. Con gli inevitabili eccessi dettati talvolta dall’ignoranza e da un sistema educativo – a livello globale – ormai ostaggio senza diritto di riscatto dell’unico pensiero dominante.
Il tentativo di cancellare la storia e, insieme, i suoi errori rischia di generare l’effetto opposto, ovvero una cronica incapacità di scendere a patti con il proprio passato, dunque di farne tesoro. Sembra che lo stesso destino rischi di contaminare anche la letteratura e le diverse forme di arte popolare (il cinema, la musica), già seriamente depauperate dalla political correctness ormai imperante a tutti i livelli. La censura retroattiva non ha risparmiato, solo per limitarsi alle ultime settimane, un film come Grease (sessista), Omero (razzista), fino a una nota marca di pasta italiana (fascista). Non esiste, dunque, un angolo della nostra vita in cui la mannaia della riprovazione non abbia mietuto le sue vittime.
Veniamo ai “classici” rimossi dai piani di studio dell’Università di Leicester. Se si chiamano classici, significa innanzitutto che il tempo (spesso diversi secoli) non ne ha compromesso il valore e l’universalità. Decidere, sulla base di motivazioni discutibili e arbitrarie, di eliminare alcuni testi (straordinari) dai piani di studio significa negare agli studenti la possibilità di misurarsi con opere magistrali, frutto del genio dei loro autori. Opere ancora attualissime, modernissime e allo stesso tempo perfetta espressione del loro tempo e che al loro tempo rimandano. Con i se e i ma del caso. Quali sarebbero, secondo le disposizioni di Leicester, i testi da salvare e quali da escludere? Sulla base di quali parametri? Pochi sono i capolavori che si salverebbero, se si usasse il metro di una modernità che ormai sembra uscita dalla penna di Orwell (magari eliminiamo anche lui). Prendendo a riferimento il criterio di giudizio del politicamente corretto, limitandoci esclusivamente alla letteratura inglese e facendo un salto nel Novecento, toglieremmo per esempio Joyce (ci sono tracce di antisemitismo ben evidenti nel suo Ulisse) e cancelleremmo Hardy (Alec stupra Tess ed è evidentemente sessista); pure Dickens sarebbe da biasimare per i suoi strali all’indirizzo della neonata civiltà industriale, artefice e levatrice delle magnifiche nostre sorti; attenzione, poi, a non prendere alla lettera Jonathan Swift (sì, quello di Gulliver e dei suoi viaggi) e la sua “modesta proposta” per contenere il vertiginoso aumento della popolazione facendo mangiare ai ricchi i bambini dei poveri. E Kipling, quel colonialista razzista cantore dell’imperialismo britannico? Be’, c’è da dire che su di lui la scure è già calata, visto che qualche anno fa un collettivo di studenti ha sfregiato il testo dei versi forse più celebri del poeta vittoriano, quelli di “If”, affissi nel campus dell’Università di Manchester.
Da ex studente e in possesso di una modestissima laurea in letteratura inglese, mi piacerebbe che da Leicester giungessero motivazioni plausibili, contestualizzate e precise. Si potrebbe dissentire, magari essere (parzialmente) d’accordo, ma a giudizio del sottoscritto lo studio di quella straordinaria cultura letteraria non può assolutamente prescindere, per esempio, da Chaucer. A fare le spese di questo “filtro” educativo sarebbero le nuove generazioni: togliere The Canterbury Tales agli studenti inglesi sarebbe come bandire, qui da noi, Boccaccio. Già, Boccaccio, tornato prepotentemente di moda durante la pandemia. Chissà perché.