Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Ma in Europa non è a rischio solo la libertà di parola

Ma in Europa non è a rischio solo la libertà di parola

di Marcello Veneziani - 17/02/2025

Ma in Europa non è a rischio solo la libertà di parola

Fonte: Marcello Veneziani

Ha ragione il vice presidente americano J.D.Vance a denunciare la perdita della libertà di parola in Europa e il mancato rispetto per quel che pensa la gente comune, il popolo. Certo, larga parte di questa censura ideologica è di matrice anglo-americana, anche se nell’Europa continentale si carica di motivi ulteriori e di resistenze minori. Ma ha ragione Vance a ricordarci che quella minaccia non proviene dall’esterno, dalla Russia e dalla Cina ma al nostro stesso interno. E si tratta di una rinuncia ai valori costitutivi dell’Europa, la libertà e la sovranità del popolo, dunque la democrazia.
Da politico, da americano e da trumpiano Vance ha detto quel che doveva dire. Ma c’è una questione più profonda e alla lunga più devastante, a proposito di quella censura e di quella libertà messa sotto sorveglianza. Non è solo in gioco la libertà di parola, dunque d’opinione, e non è solo una minaccia e una repressione del sentire comune della gente; ma è in atto un progressivo svuotamento e impoverimento della dignità del pensiero, e di tutto quel che un tempo chiamavamo cultura, circolazione delle idee, qualità, humanitas e intelligenza critica. La censura, certo, è più vistosa come più evidente e stridente è la divergenza tra i canoni imposti e quel che realmente dice, pensa, sente la gente. Ma c’è un nesso inquietante tra questo linguaggio censurato, questa libertà sorvegliata, questo sentire comune violentato e il declino veloce del pensiero, dell’intelligenza critica, il diradarsi delle idee e della dialettica tra posizioni divergenti. Quando metti alle parole, alle idee e alle opere la museruola, il guinzaglio, il busto ortopedico e correttivo dell’ideologia, quando non puoi fino confrontarti col pensiero radicalmente diverso o con l’esperienza storica passata decisamente divergente rispetto al nostro modo di vivere, quando cancelli la sensibilità religiosa dall’orizzonte pubblico e la riduci a un fatto intimo e privato mentre a livello sociale sopravvive solo la religione dei diritti umani, crei le condizioni per rendere superflui, impraticabili, clandestini il pensiero, la qualità della riflessione, la memoria storica, il senso religioso. E non si tratta di una pura petizione di principio: basta guardarsi intorno e osservare con quale velocità stanno sparendo dai discorsi pubblici, dal dibattito e dalla ricerca tutto quanto indicavamo come cultura, come civiltà letteraria, cammino della filosofia, capacità di ricordare e rivedere la storia, la tradizione.
Persino la ricerca scientifica è sottoposta a censure di questo tipo. Se gli esiti della ricerca sui bloccanti della pubertà, fatta coi soldi pubblici, contravvengono all’ideologia transgender o lgtbq+ perchè ne rivelano i danni, vengono cancellati, messi a tacere; ma questo, caro Vance, avviene già negli Usa, e solo di riflesso in Europa. La verità (e la salute) subordinata all’ideologia, come ai tempi del comunismo.
La velocità è impressionante di questa corsa alla deculturazione e alla dequalificazione del pensiero critico e della capacità di memoria. Tutto questo si è fatto più rapido, più diffuso e più automatico da quando impera il catechismo woke, la cancel culture, il politically correct e l’allineamento supino a quel canone. Ci sarà un nesso tra i due processi, se la loro parabola si intreccia e si espande in inquietante sincronia. Certo, ci sono anche altri fattori sistemici che collaborano a questo peggioramento dell’intelligenza critica e pensante rispetto all’intelligenza tecno-pratica: il dominio assoluto del mercato nella logica del capitalismo globale e dei consumi di massa, e il dominio assoluto della tecnologia nell’adorazione dell’Intelligenza Artificiale e di un mondo solitario e virtuale. Ma tutto questo è possibile perché le presunte élite, che meglio sarebbe chiamare le oligarchie intellettuali e i commissari della cultura, i vigilanti istituzionali europei, hanno adottato quel codice e quel reticolo di divieti, proibizioni, parole impronunciabili. Perché l’avanzata del mercato e della tecnologia sono fattori esterni alla cultura; ma quando anche dentro la cittadella della cultura, tra i suoi sorveglianti, c’è un cavallo di Troia che demolisce dall’interno la dignità delle idee, la loro circolazione e la qualità del pensiero, allora il declino è irreversibile.
Certo, un politico, un americano, un trumpiano non possono concentrarsi su questi aspetti più alti e più attinenti all’Europa, e si soffermano sulle premesse generali, la libertà di parola e il comune sentire della gente, ossia il senso della realtà. Ma noi europei, noi pensanti d’Europa e non politici, dobbiamo pensare non solo ai danni alla libertà, alla sovranità popolare e alla democrazia ma anche ai danni prodotti alla qualità, alle idee e alla civiltà europea, che si sta spegnendo e non ce ne rendiamo conto.
Non si può infatti tradurre il conflitto in atto solo attraverso la griglia libertà-illibertà e nemmeno élite-popolo, perché la deculturazione in atto colpisce anche, e forse soprattutto, le élite e non solo le masse, e non concerne solo una questione libertaria, ma investe il senso, il livello e la missione di una civiltà, l’eredità di tradizioni storiche, religiose e filosofiche, la visione del mondo. Chi è addetto ai lavori si rende conto di come e quanto si stia impoverendo il tessuto culturale della nostra epoca; si diradano i veri confronti sulle idee, spariscono già dai giornali riflessioni non legate soltanto alle grida dei giorni. Un senso di vuoto, di nulla, di solitudine, tutto viene ridotto al festival della Chiacchiera globale, all’evento clou, alla pantomima del giorno e non c’è affatto un piano ulteriore, più alto o retrostante. C’è sempre stato un livello mediatico pop, di politica, cronaca, spettacolo; ma poi c’era un piano di riflessione e cultura che oggi è praticamente scomparso, in parte marginalizzato, in parte mimetizzato nella quotidianità; in parte ridotto e banalizzato anch’esso all’aspetto del gossip.
Dopo la disubbidienza, anche l’ignoranza è diventata una virtù, un modo per stare al passo dei tempo e soprattutto non perdere tempo con quegli oziosi, inutili esercizi di pensiero; meglio chattare, comprare e stare alla larga da quel campo minato pieno di così tanti divieti. Insomma, non stiamo perdendo solo la libertà e la realtà, caro Vance, ma quel che davvero faceva dell’Europa e della nostra civiltà un altissimo punto di riferimento che dava un senso e un destino agli europei.