«Il paziente è affetto da una grave forma di edema polmonare tale da limitarne significativamente la capacità respiratoria. Si prescrive uno schema di percorso terapeutico a base di respirazione indotta con ossigeno e furosemide. Pur ritenendo plausibile una piena e completa guarigione, riteniamo opportuno prescrivere dosaggi tali da consentire un recupero della capacità respiratoria solo parziale».

Immaginatevi di leggere un referto del genere per un vostro familiare ammalato. Di quel medico cosa diavolo pensereste?

Più o meno quello che ha pensato e scritto il direttore Feltri nel leggere le risposte del Cavaliere alle domande che gli abbiamo fatto dalle colonne di questo giornale. E di cui ora si parla nelle redazioni di mezza Europa.

Noi però – a differenza del nostro direttore – siamo un filino meno carogne e riteniamo la risposta del Cavaliere estremamente significativa.

Sia messo agli atti: il Cavaliere ha esplicitamente scritto che dobbiamo recuperare la nostra sovranità monetaria. In maniera «parziale» a dire il vero. Ma soprattutto ha scritto nero su bianco che l’Italia non ha che da tornare alla situazione degli anni Ottanta e Novanta.  In cui avevamo la lira e l’Ecu. Mentre in Germania avevano il marco e l’Ecu. Una doppia moneta? Solo nominalmente. Qualcuno di voi aveva forse in portafoglio uno scomparto dove tenere gli Ecu? Quindi il messaggio ai naviganti è forte e chiaro. Nessuna doppia moneta. Ma solo la lira. Punto. Poco rilevano i successivi maldestri tentativi di annacquare la portata dell’annuncio dato a Libero. Il solito Brunetta che invoca più Europa in asse con la Merkel. Il solito Tajani lanciato nella corsa alla solita premiership ma con addirittura meno quid rispetto ad Angelino Alfano. Ed è tutto dire. La verità è una ed una sola. Forza Italia – per bocca del suo leader – ha scritto che dobbiamo tornare ad avere la nostra moneta. Ed una valuta continentale di riferimento cui agganciarci. Un tasso di cambio fissato ad una parità centrale. Ed una banda di oscillazione. Più o meno ampia. Entro cui la futura valuta nazionale potrà fluttuare. Questo dovremo negoziare al momento dell’uscita. Avremo infatti gli occhi addosso dei tedeschi. Sanno che questo è un Paese straordinario. Bellezze artistiche uniche nel suo genere. Cibo e vini come in nessun’altra parte del globo terraqueo (Chiedete a Becchi cosa si sta già mangiando in Brasile in questo momento). E soprattutto una potenza manifatturiera straordinaria. Terza in Europa. E quinta a livello mondiale.

Vogliono tenerci sotto controllo. Non vogliono veder oscillare troppo la lira. Condizione tale da avvantaggiare – secondo loro ed a ragione – il nostro export e il nostro turismo. Un pieno di benzina dentro una Ferrari nuova di pacca. Questo sarebbe la lira per il nostro Paese. Quella che ci attenderà non sarà certo un’immensa prateria argentina dove potremo pascolare allo stato brado. Ma sarà pur sempre come stare nell’immenso e meraviglioso giardino di Villa Certosa invece che in una cella del carcere di Rebibbia condivisa con altri diciotto partner. Pardon detenuti. Avremo insomma un cambio gestito. Imbrigliato. Ma da cui potremmo uscire unilateralmente se la situazione diventasse insostenibile.

Sia inoltre messa agli atti una seconda verità. Al momento Salvini non ha avuto alcun ripensamento. Caso mai, questo ripensamento lo ha avuto il Cavaliere. Ancorché sia chiaro. Saremmo pronti a scommettere il compenso di questo articoletto che il Cavaliere – da buon imprenditore qual è – sa meglio di chiunque altro -noi compresi – che l’Italia tornerebbe a volare con una sua moneta. Come ha dimostrato di saper fare nel secondo dopoguerra. Gli italiani hanno ricostruito un Paese in pezzi. E chi meglio di Berlusconi – che sulla crescita del nostro Paese ha costruito le sue meritate fortune – può sapere quanto bene possa fare una moneta nazionale all’economia italiana? Ma se così fosse, verrebbe da fare al Cavaliere una nuova ed ultima domanda. Ma faccia pure a meno di riscriverci. Perché noi la risposta la conosciamo già. Quanto a presunzione, ‘sto giro, rivaleggiamo col nostro direttore. «Perché si ostina, caro Cavaliere, a cercare l’appoggio di chi nel 2011 lo ha defenestrato senza troppi complimenti?».