Macché Repubblica, è la festa di una monarchia di guerra
di Daniela Ranieri - 03/06/2023
Fonte: Il Fatto Quotidiano
Ieri, guardando la cerimonia per la Festa della Repubblica, poteva venire il dubbio che la festeggiata fosse la Monarchia. L’effetto Cinegiornale Luce era dietro l’angolo: “Corrono i bersaglieri, col sole alto e gli applausi dalle tribune”, scriveva Repubblica in tempo reale; “Meloni è stata accolta con un applauso dei cittadini presenti in piazza Venezia”, per i brividini dei pro e degli anti. Ma più dell’enfasi retorica delle marcette e della consueta pacchianeria delle frecce tricolori, a concorrere all’effetto è stato il reiterato accenno alla Difesa, alle forze militari e alla guerra in Ucraina, decisamente il fil rouge della festa nonché del ricevimento al Quirinale del giorno prima, presente l’élite della Nazione, come riportano cronache piene di lazzi e frivolezze.
Il presidente Mattarella ha detto: “La difficile condizione internazionale sottolinea l’importanza dell’apporto offerto dalla Difesa alla causa della pace e della libertà dei popoli”. Non di tutti i popoli, com’è noto: di alcuni ci sta a cuore l’autodeterminazione (Kosovo), di altri ce ne freghiamo (russofoni del Donbass, curdi, yemeniti, sudanesi, etc.), alcuni li bombardiamo noi per portargli pace e democrazia (Serbia, Libia, Afghanistan, Iraq). Indi il presidente si è rivolto al ministro delle Armi Crosetto, per “far pervenire il mio apprezzamento a tutti i militari di ogni grado, specialità e categoria”, “patrimonio del nostro Paese”, poiché “la calorosa partecipazione dei cittadini alla Festa della Repubblica testimonia… l’affetto verso le forze armate”. Non il rispetto: l’affetto. Il famoso sentimento di tenerezza per i bersaglieri che alligna nelle case degli italiani, specie poveri e disoccupati. Del resto la prima parata dell’èra Crosetto è stata contundente: ai Fori imperiali “torna in grande stile la parata del 2 giugno: oltre ai muscoli sfila la difesa civile” (Repubblica).
Mattarella passa a ricordare “i valori della scelta del 2 giugno 1946, trasfusi nella Carta costituzionale di cui ricordiamo i 75 anni di vita”; solo che in quella Carta c’è scritto che l’Italia ripudia la guerra, e quindi per giustificare che “a oltre un anno di distanza, la Repubblica Italiana, insieme alla comunità internazionale, è ancora impegnata a contrastare l’aggressione condotta dalla Federazione Russa al popolo ucraino”, bisogna prodursi nel contorsionismo semantico che da un anno impegna i giornali padronali nel tentativo di fare amare agli italiani lo sforzo bellico che ci nobilita. Bisogna dire che la guerra è pace: “La Costituzione repubblicana indica il ripudio della guerra come strumento di risoluzione delle controversie”, giusto; e allora perché inviamo armi? “Si tratta di un principio attualissimo e profondamente sentito, di cui l’inaccettabile aggressione della Federazione russa ai danni dell’Ucraina rappresenta la più brutale ed evidente negazione”. La non-giustificazione si allaccia alla chiosa emotiva: “Si stanno cercando sentieri di dialogo per giungere alla pace”: come i 7 decreti governativi (senza passare dal Parlamento) per inviare armi sempre più offensive, o come il voto al Parlamento europeo per usare i soldi del Pnrr per le armi anziché per il welfare. “I principi di solidarietà e giustizia impongono la ricerca di una pace giusta, non di una pace raggiunta ai danni di chi è stato aggredito”. “Pace giusta” è una formula ormai nota: prevede la resa della Russia non come obiettivo, ma come primo passo per un negoziato. Pace giusta uguale guerra a oltranza. Ma quale articolo costituzionale prescrive il dovere di difendere la Patria altrui? Quale trattato ci impone la difesa di un Paese non Ue e non Nato? Perché persino la mediazione del Papa è stata respinta? Ci fossero ancora dubbi che siamo tempestati da una propaganda a canali unificati che romanticizza la guerra anche nel giorno che celebra la sua sconfitta e il suo ripudio, ieri sono stati dissipati. Quale Repubblica abbiamo festeggiato?