Mamma li turchi, ma «i dittatori ci servono»
di Alberto Negri - 11/04/2021
Fonte: Il Manifesto
La realtà è che Stati uniti ed Europa nel Mediterraneo e in Medio Oriente hanno lasciato in questi anni un vuoto riempito dal “reis” turco e dalla Russia ma adesso ci vuole un «ritorno all’ordine», alla nuova guerra fredda decretata dalla coppia Biden-Blinken. E Draghi esegue
Draghi, in sintesi, dice che Erdogan è un dittatore che ci fa comodo: tradotto significa che gli facciamo fare quel che vuole fino a quando ci serve. Una pericolosa e irrealistica illusione, del premier ma anche Usa ed europea. Erdogan fa quello che vuole con il nostro consenso e indignarsi perché non rispetta i diritti umani o il galateo diplomatico è assai ipocrita. Gli Usa e gli europei speravano che il golpe fallito del 15 luglio 2016 lo sbalzasse dal potere: da allora il “reis” preferisce mettersi d’accordo con Putin piuttosto che con l’Occidente atlantico, che lo vorrebbe manovrare in funzione anti-russa ma alla fine lo detesta e lo ammansisce, magari sulla pelle degli altri.
Qualche esempio? Trump, con il ritiro delle truppe Usa dal Nord della Siria nell’ottobre 2019, lasciò che Ankara massacrasse i curdi siriani, nostri alleati contro l’Isis, usando i jihadisti terroristi e tagliagole. In Tripolitania, di fronte alla incapacità italiana a sostenere il governo Sarraj, siamo suoi ospiti e le milizie filo-turche fanno la guardia all’ambasciata italiana mentre i suoi militari si sono fatti fotografare sulle motovedette donate dall’Italia. I turchi hanno la memoria lunga: l’Italia conquistò la Libia nel 1911 sottraendola all’Impero ottomano e l’anno dopo si portò via anche il Dodecaneso. Erdogan, il neo-ottomano sgarbato, è uno che gli insulti se li lega al dito.
La realtà è che Stati uniti ed Europa nel Mediterraneo e in Medio Oriente hanno lasciato in questi anni un vuoto riempito dal “reis” turco e dalla Russia ma adesso ci vuole un «ritorno all’ordine», alla nuova guerra fredda decretata dalla coppia Biden-Blinken. E Draghi esegue.
La sostanza è questa: gli Usa non vogliono un nuovo accordo tra Erdogan e Putin che possa incoraggiare la Russia a restare in Cirenaica e magari aprire un’altra base militare nel Mediterraneo dopo quelle in Siria.
Si tratta di una manovra che fa parte di una strategia più ampia con cui Washington vuole mettere pressione a Mosca: dallo schieramento dei missili ipersonici in Europa al blocco del gasdotto Nord Stream 2 tra Russia e Germania, all’eventuale ingresso dell’Ucraina nella Nato. Biden, sta per nominare l’inviato speciale incaricato di bloccare il gasdotto Nord Stream 2: è il suo uomo di fiducia in Ucraina, Amos Hochstein, già nel consiglio del colosso energetico ucraino Naftogatra, un passato nell’esercito israeliano, che durante l’amministrazione Obama fece saltare il South Stream con Mosca (2 miliardi di commesse Saipem) e si adoperò per attivare il Tap, il gasdotto alternativo con l’Azerbaijan.
Erdogan si oppone a Putin in Siria, in Azerbaijan e in Libia ma si è anche messo d’accordo con il capo del Cremlino: compra il suo gas e le batterie anti-missile S-400 ed è incline a una spartizione in zone di influenza che irrita gli americani, soprattutto Antony Blinken che nel 2011 era un sostenitore dei raid contro Gheddafi e ora vorrebbe cacciare i mercenari russi asserragliati con il generale Haftar su una “Linea Maginot|” nella sabbia della Cirenaica. La non guerra e la non pace è la situazione la Russia gestisce meglio, dal Medio Oriente al Caucaso, finché non si rompono gli equilibri.
Draghi, l’atlantista buono, ha orecchiato sul manuale Biden-Blinken che bisogna bacchettare Erdogan, l’atlantista ribelle, e ha fatto la sua uscita, un po’ alla carlona, durante una conferenza stampa. Fa parte di un’offensiva diplomatica che ha portato il premier a Tripoli- grazie ad Erdogan – nello stesso giorno in cui arrivava il greco Mitsotakis: mai si erano visti in Libia due capi di governo europei in un solo giorno – la stampa italiana non ha dato l’evento per non sminuire il «primato» italico nell’ex colonia. Poi subito dopo c’è stata la missione von der Leyen-Michel ad Ankara.
La crisi di poltrone e sofà, grave se fosse uno sgarbo e una offesa voluta al ruolo di rappresentanza delle donne in politica, non a caso esplode ora dentro l’Ue, sia per le priorità dei ruoli sia perché davvero il protocollo dell’incontro era stato approvato dalle due parti. Ma lo sgarbo ha oscurato il vero problema. La Turchia non ha nessuna intenzione di cedere su quattro dossier: i profughi, le frontiere marittime del Mediterraneo orientale, la Libia e i diritti umani. Erdogan fa valere la sua vittoria militare in Libia a Sarraj che aveva il generale Haftar e i russi alle porte di casa.
Il via libera a Erdogan è venuto da noi, come del resto in Siria quando fece passare 40mila jihadisti per combattere Assad: era questo che volevano gli Usa, «guidare da dietro» la caduta del regime di Damasco. Per questo si è preso in casa tre milioni di profughi, incassa miliardi da Bruxelles e ricatta gli europei sulla rotta balcanica, dove camminano alla disperata tante donne migranti senza sedia e senza speranza. Ma noi paghiamo il dittatore per tenerle lontane.
La Germania lo sa perfettamente e quindi impone soltanto sanzioni europee «cosmetiche» per le violazioni di Erdogan delle «zone economiche esclusive» del gas offshore di Grecia e Cipro, dove hanno interessi la Total francese, l’Eni italiana, le compagnie americane e Israele.
I «dittatori fanno comodo» anche per tacere: Draghi nel suo discorso d’insediamento non ha detto una parola su al-Sisi, Regeni e Zaki. Si capisce bene allora che una sedia non è solo una questione di arredamento diplomatico ma rappresenta cosa si muove davvero dietro la pace e la guerra nel Mediterraneo: una spasmodica lotta di potenze e una nuova guerra fredda, dove l’Italia ha il solito ruolo di penisola portaerei americana. E non basta dire che Erdogan “è un dittatore che ci fa comodo”.