Manifesto della Bellezza
di Marcello Veneziani - 20/08/2020
Fonte: Marcello Veneziani
I) La bellezza è amica della misura e nemica dello sconfinamento.
La bellezza è la gloria del mondo cantata dalla luce. Non esiste bellezza nell’oscurità. Anche la notte acquista splendore se è accesa dal lume delle stelle o dalla chiarità della luna. La luce dà vita e dà forma alla bellezza. E risalta i suoi contorni: perché bello è ciò che ha confini, misura. Nemico del bello è la smisuratezza, lo sconfinamento. Un confine può evocare una profondità ed un limite può far risaltare l’illimitato, come la luce della stella fa risaltare la grandezza infinita del cielo e l’armonia di una musica esalta la divina maestà del silenzio; lo smisurato, al contrario, è follìa degli elementi che pretendono di imitare l’illimitata grandezza di dio; l’hybris evoca il nero infinito del Nulla, il disfarsi delle cose nella loro orgogliosa sfrenatezza. Lo smisurato produce il deforme.
II) La bellezza è amica del mondo e nemica dell’utopia.
La bellezza è il profumo della realtà, la materia inseminata dalla forma. Il senso del bello è amicizia con il mondo, sposalizio con la natura, accordo con la vita nelle sue più intime fibre. Nemico del bello è il sogno di un mondo migliore che cambi radicalmente la natura umana e la città abitata dagli uomini presenti e reali. Chi sogna l’abolizione del mondo reale nel nome di un mondo futuro, condanna la bellezza del mondo e la sacrifica ad una bontà ventura. La bellezza abita nei luoghi della vita; l’utopia immagina un altrove fuori dai luoghi della realtà, della vita, della storia. Immagina una natura increata, una storia inviolata e nel miraggio di una purezza inespressa dal mondo, deflora e distrugge la bellezza hic et nunc.
III) La bellezza è amica del dono e nemica dell’utile.
La bellezza è manifestazione dell’essere e non dell’avere, la sua magnificenza non è mezzo né merce di scambio ma è gratuita ricchezza che si offre attraverso le porte dei sensi all’anima. La bellezza è dono, sperpero di energie, spreco di spazi e di tempi, effusione di grazia. La bellezza è sovranamente inutile, nasce nel segno gratuito del gioco e non del mercato, non è funzionale. La superiorità del suo rango è nell’eccedere dalla contabilità della vita; la sua essenzialità è nella sua superfluità. Da vera signora, la bellezza non serve a nulla; ma è servita da chi sa amarla.
IV) La bellezza è amica del genio e nemica della mediocrità.
La bellezza è universale e si offre a tutti, ma ciascuno coglie la bellezza secondo il suo rango. Perché la bellezza non scende le scale del mondo, ma da ogni postazione è possibile cogliere un aspetto del bello. Tutti possono fruire del bello ma non tutti ne colgono il segno allo stesso modo, nella stessa luce. Diversi sono i gradi di approssimazione alla bellezza, diretti e indiretti, mediati e immediati, attivi e passivi. C’è chi scolpisce il bello e chi ne gode la vista; c’è chi ne coglie il senso evidente e chi si addentra nel suo grembo più profondo; chi ne coglie gli effetti e chi risale alle origini. Il genio è colui che creativamente è agente del bello. La bellezza è una piramide puntata verso i cieli dell’eccellenza, non verso i bassifondi della mediocrità.
V) La bellezza è amica della leggerezza e nemica della gravità.
Il bello è anagogico, sale verso l’alto e conduce i suoi adepti verso l’alto. Il brutto invece è catagogico, trae verso il basso perché domina la pesantezza, la forza di gravità che del mondo mostra il lato venale, banale, profano. La bellezza è nostalgia dell’altezza, librarsi nell’aria, liberati dal gioco; la bruttezza, al contrario, è richiamo al basso, conato d’inferno, vincolati dal giogo.
VI) La bellezza è amica della varietà e nemica dell’uniformità.
Il bello esalta le differenze, la ricchezza delle diversità. Il bello non è ripetizione e tantomeno riproduzione seriale; ma soprattutto il bello non è omologazione, monotonia, uniformità. La bellezza prospera nella specificità, nell’irripetibilità, nella varietà sinfonica delle forme. L’uniforme invece è ripetizione infinita, esistenza come noia e catena di montaggio, primato dell’automatico.
VII) La bellezza è amica della distinzione e nemica della separazione.
Nell’indifferenziato non c’è bellezza, solo caos. Bello è ciò che si distingue, ha una sua identità. Ma distinto non vuol dire separato: il male nasce quando la parte si sottrae al tutto e si mette in proprio: da una cellula cancerogena ad una rivendicazione di atomismo, male è ciò che si nega all’armonia di un paesaggio comune, di una visione olistica, di una dimensione comunitaria; il disorganico è padre dell’inorganico, la separazione è madre dell’incomunicabilità. Il bello è un’apertura al mondo, un linguaggio simbolico per comunicare e per riconoscersi in una patria comune. La bellezza è simbolica, la separazione è diabolica.
VIII) La bellezza è amica del mito e nemica della dea ragione.
La bellezza non è figlia del proprio tempo, delle sue ragioni e delle sue miserie. La bellezza è una fuoruscita dal tempo profano, dalla ragione strumentale e dal quotidiano travaglio. Attinge le sue risorse da un evento primordiale, archetipico, originario. E genera a sua volta fuoruscite dal tempo e dallo spazio profano. La bellezza suscita (ed è suscitata) facoltà mitopoietica. La bellezza è la soglia tra la realtà e il mito.
IX) La bellezza è amica dello spazio e nemica del tempo.
Alla bellezza si addice l’istante e l’eterno, non la durata. Non c’è progresso nella bellezza; perchè la bellezza è un’armonia atemporale, è una visione e non una successione. Il tempo può corrompere la bellezza, deteriorarla, ma non può scalfire la sua rivelazione, l’intensità del suo svelarsi, del suo venire alla luce. La bellezza resiste al muro del tempo, si nega al divenire, per restare folgore di un istante e promessa di eterno.
X) La bellezza è amica dell’essere e nemica del niente.
Il bello e il buono non coincidono nella vita terrena; a volte perfino configgono. Ma l’origine trascendente del bello è la stessa origine trascendente del bene. La bellezza, infatti, è la vittoria dell’essere sul niente, della creatività sulla decreazione, del fondamento sulla decostruzione. La bellezza è nascita, a volte rinascita, e non morte; è passaggio dalla potenza all’atto e non dall’atto all’impotenza; perché il bello è fecondo, il suo contrario è sterilità. Nella bellezza il mondo diviene ciò che è, non segue la china alienante che viaggia dall’essere al niente. L’artista è maieuta dell’essere.
La bellezza sensibile evoca in noi una gioia che riempie i sensi ma raggiunge stati soprasensibili che noi chiamiamo spirituali. È come se attraverso i sensi la bellezza riuscisse a comunicare con l’anima e attraverso i luoghi e i tempi riuscisse a evocare l’origine. Nel suo senso più profondo la bellezza è ierofania, apparizione del sacro. La bellezza è il più vistoso presagio di beatitudine, l’accenno terrestre alla perfezione celeste, l’acconto di paradiso in terra. Perché il Bello nel suo senso più ultimo è il simbolo del Bene, ovvero la metà visibile della tessera. L’altra metà abita nei cieli.