Memoria viva
di Alain De Benoist - 19/01/2023
Fonte: Il Borghese
Irregolare, proscritto, imperdonabile, Alain De Benoist è uno dei maestri sconvenienti, e per questo fondamentali, del nostro tempo. Teorizzatore della Nouvelle Droite, intellettuale, saggista, studioso, pensatore scomodo ed incatalogabile, De Benoist è tra i maggiori critici della modernità globalitaria, dell'utopia progressista di una società corretta a tutti i costi e transumana imbevuta di miti razionalisti e tecnocratici, che con le sue opere prefigurò la nascita di una nuova cultura antagonista, ispirata dall'idea di "nuove sintesi" e di un "gramscismo di destra", capace di costruire un nuovo canone culturale comunitario ed eroico che nel suo pantheon include Von Salomon e Junger, Spengler e Heidegger, cercando di incarnare la kultur, l'antica dignità del mondo, contro le seduzioni della Zivilization. Idee che hanno incarnato i miti e le coordinate di un grande itinerario culturale raccontato da De Benoist nel suo "Memoria viva" (Bietti edizioni), un lungo cammino spirituale e filosofico che indaga le tappe e le idee che hanno animato e caratterizzato il pensiero di uno dei più irriverenti e spregiudicati maestri del novecento filosofico un una autobiografia culturale fatta di incontri, svolte e immersioni nei luoghi sacri dell'io e dell'uomo. Per meglio comprendere il pensiero di De Benoist abbiamo deciso di intervistarlo per conoscere i segreti e dettagli del suo Memoire vive.
Come valuta la disfatta del populismo sul campo europeo e la sua riproposta sagoma sotto il profilo liberale ed atlantico?
Il populismo è definito soprattutto come uno stile, questo stile può essere combinato con le più svariate ideologie. Detto questo, un populismo liberale è una contraddizione in termini poiché il liberalismo riguarda solo gli individui mentre il populismo implica la difesa e la sovranità del popolo. Ma non direi che oggi assistiamo alla “sconfitta del populismo sulla scena europea”. Il populismo è una conseguenza di una rabbia sociale che, al contrario, è destinata a crescere. Le stesse cause producono gli stessi effetti.
Nel suo pensiero spesso ricorre una visione arcaica legata al kosmos in cui tutto è legato da un ordine circolare, in antitesi con l'individualismo assoluto che permea la società moderna e post-moderna. Crede che un ritorno della filosofia dell'origine o del paganesimo e il ribaltamento della dicotomia destra-sinistra possano ricondurre l'uomo nella dimensione dell'essere?
La domanda è troppo ampia. La cancellazione della divisione orizzontale destra-sinistra viene fatta oggi a favore di un asse verticale che oppone il popolo alle élite. Un ricorso alla “filosofia delle origini” e una riappropriazione dello spirito di comunità è ovviamente un mezzo per contrastare l'onnipotente individualismo narcisistico che oggi domina le menti. Ma ci vorrebbe un intero libro per spiegare tutto questo.
Lei è un grande amante del cinema, tra cui quello italiano, una passione espressa in maniera più che arrivata a più riprese. Quale profilo può fornirci del De Benoist cinefilo?
Da adolescente ho frequentato per diversi anni la Cinémathèque de Paris, guardando tre film al giorno. Da allora il gusto per il cinema non mi ha mai abbandonato. L'ho considerata a lungo la grande arte popolare del XX secolo. Negli anni '60 e '70 amavo il cinema italiano, soprattutto Dino Risi, Luigi Comencini, Ettore Scola, i fratelli Taviani, Francesco Rosi e anche Pasolini. Ma con poche eccezioni (Romanzo criminale) questo periodo d'oro mi sembra finito.
Il cinema può anche avere una forza filosofica? E se si, quali sono i film in cui le sembra che sia avvenuta questa simbiosi?
Il cinema ci insegna molto sulla psicologia e sul mondo interiore dell'uomo, ma può anche avere un peso filosofico e essere il veicolo di grandi riflessioni filosofiche. Potremmo citare innumerevoli esempi, pensiamo in particolare ai film di Ingmar Bergman, Stanley Kubrick o Terrence Malick!
Il politically correct è il nuovo moralismo del nostro tempo, la religione ipocrita di un potere totalitario e sovranazionale?
Viviamo in un tempo eminentemente morale, ma è una morale diversa dalle vecchie morali. Non ci dice cosa dovrebbero fare gli individui, ma come dovrebbe essere la società e come dovremmo rendere più giusta la società secondo degli schemi moralistici. Una visione che in altre parole, fa prevalere il giusto sul buono, la moralità deontologica di Kant sulla morale aretica di Aristotele. La correttezza politica è uno strumento, ma non è l'unico strumento di tale potere sovranazionale. L'ideologia dei diritti umani, il pensiero unico, il "wokisme", la "cancel culture" sono tutti strumenti gemelli del politically correct e vanno nella stessa direzione, perseguono la stessa idea globalista.
A quasi mezzo secolo di distanza che eredità c'è della Nouvelle Droite? E come valuta questa esperienza?
Quella che è stata chiamata la Nuova Destra è una scuola di pensiero che esiste da più di mezzo secolo. Si tratta di un esempio abbastanza raro di longevità per un movimento essenzialmente culturale e teorico. Non è facile valutare l'influenza che le sue innumerevoli produzioni e opere possono aver avuto, ma si vede bene come abbia suscitato dibattiti, aperto nuove strade di ricerca e dato in tutta Europa l'esempio di un itinerario di pensiero senza pari.
Come decise di dedicarsi alla politica e alla filosofia, chi furono gli autori "compagni di solitudine" del giovane Alain De Benoist?
Tra gli autori che più mi hanno influenzato in gioventù potrei citare Nietzsche, Jünger. Spengler, Carl Schmitt, Max Weber e molti altri. Altri autori, come Heidegger, Hannah Arendt, George Orwell, Martin Buber, sono venuti dopo.
Secondo lei è ancora possibile una rivoluzione nella post-modernità e da cosa dovrebbe ripartire?
È sempre possibile perché la storia è sempre aperta. Nulla è irrimediabile, perché tutto ciò che si attualizza potenzia anche le tendenze contrarie. Al tempo del globale, è necessario sostenere il locale: il rilancio della democrazia di base, il rilancio del legame sociale, la formazione di comunità concepite come spazi di libertà.
Nel mondo dei demoni del bene lei è sempre stato un autore controcorrente, dopo ottant'anni di kulturkamph ci può dare delle indicazioni su come diventare degli imperdonabili?
La via più sicura è stata ben definita da questa frase di Michel Onfray: "Qualunque cosa accada, il nichilismo non passerà attraverso di me".
Ha ancora dei sogni?
Sogno soprattutto quando sono sveglio. Di notte, tendo ad avere incubi.
Quali sono stati i punti di svolta del suo percorso intellettuale, i grandi momenti di riflessione che hanno attraversato il suo pensiero e perché?
Mi sono spiegato a lungo sul mio itinerario intellettuale nel mio libro di memorie "Mémoire vive". Le tre svolte decisive furono, prima, l'abbandono di un positivismo che mi aveva sedotto in gioventù, poi la scoperta del pensiero di Heidegger, poi l'approfondimento radicale della mia critica al capitalismo liberale.
In "Memoria viva" traccia una genealogia della sua formazione. Quali sono stati i grandi incontri della sua vita e perché?
Tra i grandi autori che ho conosciuto bene, potrei citare Louis Rougier, Arthur Koestler, Carl Schmitt, Louis Pauwels, Jean Cau, Giorgio Locchi, Serge Latouche, Jean Baudrillard, Costanzo Preve e molti altri.