Mosul come Berlino? A due settimane dall’inizio dell’offensiva contro l’Isis, un’unità irachena è penetrata per la prima volta nell’area urbana, nel quartiere orientale di Al Karama. Ma la riconquista di Mosul non è questione di ore e potrebbe somigliare alla caduta della capitale del Terzo Reich. Secondo fonti militari siamo ancora alla prima fase, in cui si cerca di assediare il Califfato e rendere sicure le retrovie. I jihadisti con attentati e incursioni sono ancora in grado di colpire Baghdad e le città curde. Dal punto di vista dell’anti-terrorismo si tratta di spingere i jihadisti allo scoperto anche nelle aree dove non si combatte. Poi partirà la seconda fase della riconquista e qui il problema non è solo militare ma anche umanitario. L’Isis tiene in ostaggio migliaia di persone e ogni giorno ne giustizia decine: nel momento della sconfitta si servirà di ondate di profughi come scudo nella fuga. È un’operazione strategica oltre che militare: Mosul è sotto assedio delle forze irachene, dei peshmerga curdi ma anche delle milizie sciite e in più ci sono quelle sunnite della Turchia. Le forze in campo sono schierate in un delicato equilibrio, assai instabile, e rappresentano interessi e sensibilità talmente contrastanti che è difficile chiamarle una coalizione. In prima linea ci sono le forze speciali irachene, truppe scelte che guidano l’avanzata da Est.
Poi, sul fronte meridionale, c’è la divisione di riposta rapida, unità di élite del ministero dell’Interno. L’esercito è la seconda linea: deve riscattare la fuga di due anni fa quando le brigate irachene furono liquefatte dai jihadisti. Lasciarono all’Isis carri armati Abrams, centinaia di Humwee e un bottino stimato 500 milioni di dollari. Le milizie sciite sono denominate Hashed Al Sahaabi, Forza di mobilitazione popolare, un’organizzazione creata con una fatwa dell’ayatollah Sistani, leader religioso della maggioranza sciita. Raggruppa 40 forze paramilitari e alcune di queste fazioni si sono macchiate di abusi sui civili sunniti a Tikrit e Ramadi. Con loro ci sono i consiglieri iraniani: Qassem Soleimani, il capo delle forze speciali Al Qods dei Pasdaran, è stato più volte visto in Iraq e ad Aleppo. Il loro obiettivo è tagliare a Ovest le linee di fuga dell’Isis verso la Siria. La forze curde peshmerga sono quelle del Kurdistan autonomo di Massud Barzani. Contrastano lo Stato islamico su un largo fronte a Nord e ad alcune operazioni partecipano le forze del Partito iraniano del Kurdistan (Pak), così come potrebbe essere coinvolto a Mosul anche il Pkk, il Partito turco dei Lavoratori.
La Coalizione vera e propria è l’alleanza di Washington che guida i raid aerei, fornisce armi e addestramento. Ci sono oltre 7.500 uomini in Iraq, la metà sono americani. Considerevole la presenza italiana: 1.300 militari che addestrano i peshmerga e la polizia, proteggono la diga di Mosul e sono impegnati con gli elicotteri. Infine ci sono i turchi che stazionano nella base di Bashiqa, a nord-est di Mosul, e sono presenti anche nel Kurdistan. Il governo di Baghdad ne ha chiesto il ritiro ma Ankara si è rifiutata. Quale è l’obiettivo dei turchi e delle loro milizie? Sostenute dalla Turchia queste forze sembrano intenzionate ad annettersi una parte della provincia di Ninive mentre Mosul potrebbe diventare il capoluogo di una regione autonoma sunnita che si estenderebbe fino al confine con la Siria. Una prospettiva che evidentemente il governo di Baghdad, già ai ferri corti con i curdi di Barzani, vede come il fumo negli occhi. Ma forse agli Stati Uniti la soluzione non dispiacerebbe: i confini ufficiali ereditati dal colonialismo anglo-francese non verrebbero cambiati e continuerebbero a costituire una sorta di “fiction” geopolitica sulla mappa del Medio Oriente, lasciando di fatto l’Iraq, come la futura ex Siria, dentro a uno stato indebolito e in preda alle influenze esterne. È evidente che tutti vorranno prendersi un pezzo di città per rivendicarne almeno in parte la conquista e far pesare la vittoria sotto il profilo politico. Mosul non è solo la città del Califfato ma anche il simbolo della futura spartizione dell’Iraq in zone di influenza, un po’ come avvenne a Berlino nel 1945.