Nel mondo dell’ingiustizia e del malessere
di Franco Cardini - 22/01/2017
Fonte: Franco Cardini
Siamo rimasti tutti colpiti – qualcuno anzi molto preoccupato, qualcun altro attraversato da una frustata di euforica speranza – dal tono di molti media in apertura di questa settimana. Prendiamo solo il caso de “La Repubblica” di lunedì 16, alla pagine 10-11: Barbara Ardù che affronta, col piglio di una che non ha peli sulla lingua, il tema Disuguaglianze in aumento. Otto superPaperoni hanno la stesa ricchezza di metà dell’umanità. E’ il tema degli otto Signori della Ricchezza recensiti da Forbes e delle durissime critiche alla deregulation, al libero mercato e al neoliberismo che si scatena nel momento stesso nel quale a Davos si sta per riunire il World Economic Forum. E a pagina 11, insieme con un articolo di Joseph Stiglitz (proprio lui: non Fra Cacchio da Velletri…) che definir allarmato e indignato è poco (“l’Africa ogni anno perde 14 miliardi del suo reddito in paradisi off shore, basterebbero a salvare 4 milioni di bambini e dare loro un’istruzione”: ecco la chiave dell’esodo dei migranti da quel continente…), abbiamo le immagini formato tessera di otto signori, i Magnifici Otto più ricchi del pianeta, messi una buona volta in bell’ordine e chiamati con i loro rispettivi nomi e cognomi. Sono i volti dei nostri Superiori Sconosciuti, anche se sconosciuti fino a un cento punto: eppure guardatela bene la faccia del primo della lista, Bill Gates, e chiedetevi se sareste mai in grado di riconoscerlo se vi capitasse una mattina di prendere un caffè allo stesso banco di bar in cui lo prende lui. Nella società dell’immagine e dello spettacolo, i veri padroni si muovono tranquillamente, come pesci nell’acqua. E la politica? Ai suoi bei tempi, Karl Marx sosteneva che i governi erano diventati dei “comitati d’affari”. Non era del tutto vero, ai suoi tempi. Oggi lo è. Denunzia implacabile e lucidissimo Stiglitz: “Le multinazionali sanno che il loro successo non dipende solo dalle leggi dell’economia, ma dalle scelte di politica economica che ciascun paese compie”. Il personale politico ridotto al rango di personale esecutivo, che canta e balla su una musica non sua.
E’ su questo che bisogna meditare in modo approfondito e nella prospettiva di un’azione politica che ponga le basi per la liberazione e la redenzione. Guardiamoci in giro: qualche strumento di lavoro ce l’abbiamo.
Di solito, l’amico Marco Tarchi dispensa eccellenti consigli. Vi passo la segnalazione, da lui proveniente, di un Dossier uscito su “Le Monde” l’11.1. u.s. e riguardante la nuova fase del pensiero di Alain de Benoist, al quale comunque Tarchi dedica sistematicamente attenzione nel suo mensile “Diorama letterario”, che raccomando caldamente di seguire e di sostenere (ma, rassicuratevi, non sempre sono d’accordo sui suoi contenuti; comunque vale la pena di leggerlo e magari di abbonarsi: www.diorama.it; mtdiorama@gmail.com). In particolare, Tarchi attraverso De Benoist consiglia la lettura del libro di Jean Claude Michéa, Notre ennemi: le capital. Non ho personalmente avuto ancora il piacere di leggerlo (perché sono convinto che sarà un piacere), ma da quel po’ che ne ho letto in modo indiretto direi che promette bene.
Al riguardo, mi permetterei altresì di consigliarvi: Natacha Polony – Le Comité Orwell, Bienvenue dans le pire des mondes, Paris, Plon, 2016. Un libro che esamina come giorno per giorno il nostro mondo stia scivolando verso un “totalitarismo soft” che, proprio perché a prima vista inodore, incolore e soprattutto indolore, è di gran lunga peggiore e più insidioso di quelle che finora siamo stati abituati a considerare le peggiori tirannie al mondo. Una tirannia che – ben lo aveva intuito anni fa Soljenitsin, quando venuto in Occidente a cercare la libertà comprese perfettamente che cosa si stava preparando – non ha motivo alcuno di servirsi di polizie segrete, di filo spinato, di camere di tortura, di organizzazione del consenso formale, ma che si presenta al contrario sotto le vesti della più totale libertà esercitata da schiavi che non si rendono conto di esser tali, che credono di agire e “sono agiti”. Omologazione, l’aveva chiamata Pasolini.
Alcune decine di lobbies multinazionali, grazie al controllo dei flussi finanziari e commerciali e agli strumenti mediatici e tecnologici in loro possesso, intendono organizzare e orientare le nostre vite asservendo e vanificando quel che resta delle libertà politiche. Livellando verso il basso la cultura, appropriandosi dei nostri dati di base e quindi di quella che siamo abituati a definire “la nostra privacy” che passa ormai attraverso i vari aspetti dell’informatica, normalizzando i nostri gusti e le nostre abitudini, uniformando i nostri bisogni e rendendoli funzionali al meccanismo di produzione-profitto-consumo da esse programmato.
Il “peggiore dei mondi possibili”, che si va preparando, è quello dell’illusione della libertà individuale in un mondo nel quale l’ineguaglianza tra una minoranza infima però potente e privilegiata e una enorme massa di subalterni si allarga e si approfondisce sempre di più (si sta parlando di appena il 10% degli abitanti del mondo che, con immense disparità al loro interno, detengono e gestiscono il 90% delle ricchezze e delle risorse del pianeta) e nel quale una iperélite mondializzata si arroga tutti i poteri.
Benvenuti, dunque, nel mondo dell’ingiustizia e del malessere: la chiave delle guerre, delle migrazioni incontrollate, del malessere che sfocia nel delitto o nella droga o magari nel foreign fighting, sta tutta qui. Per batterla, bisogna imparare a conoscerla e smascherarla.
Il primo passo è studiarla. Valgano a tale fine alcuni eccellenti strumenti. Ad esempio, La haine de l’Occident di Jean Ziegler (Paris, Michel, 2008), un lucido vademecum che offre importanti istruzioni per consentirci di costringere il “Nuovo Ordine” del capitalismo mondializzato a desistere dal sottomettere il mondo intero alla sua dominazione assassina, riannodando al tempo stesso il dialogo con tutte le sue vittime, dalla Bolivia alla Nigeria. Ancora, Géographie et géopolitique de la mondialisation (Paris, Hatier, 2011), con messe a punto dedicate al sistema produttivo, alla sicurezza alimentare, alle tecnologie dell’informazione, all’ambiente. E magari date un’occhiata anche all’ultimo pamphlet di Luciano Canfora, La schiavitù del capitale (Bologna, Il Mulino, 2017).
Muniti di qualche chiara cognizione di base, mettiamoci in cammino. Sarà un cammino duro e lento, tutto in salita, contro un establishment feroce, senza scrupoli, che conta su un esercito di miserabili mercenari prezzolati e s’insinua dappertutto applicando sistematicamente il principio del fomentare la guerra dei poveri contro altri poveri. E’contro questi nemici del genere umano che bisogna invece sul serio far guerra senza quartiere. Sarà una guerra con poche speranze di vittoria: ma dalla quale non si può disertare.