Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Nelle urne sfiducia preventiva

Nelle urne sfiducia preventiva

di Stefano De Rosa - 12/08/2022

Nelle urne sfiducia preventiva

Fonte: Italicum

L’agire politico delle formazioni impegnate in ogni agone elettorale è non tanto condizionato dal
differenziale tra le percentuali accreditate da sondaggi più o meno compiacenti ed il futuro risultato
effettivamente conseguito nelle urne, quanto contraddistinto dalla forbice di coerenza tra quanto
promesso nella defatigante campagna di raccolta di credibilità e di consenso e quanto fattivamente
realizzabile una volta conquistata la rappresentanza parlamentare ed, eventualmente, anche quota
parte delle responsabilità di governo.
Specularmente, il comportamento dell’elettorato attivo – che di quelle promesse, prima, e di quelle
politiche, poi, è il destinatario o il target – oscilla tra l’atteggiamento fideistico di chi crede (o vuole
credere) nella rispondenza tra promesse e realizzazioni delle forze politiche cui affidare il proprio
voto e la diffidenza, sorta di laica consapevolezza che tra momento del consenso ed azione politica
ed amministrativa vi sia – vi debba essere – un fisiologico scostamento di forma e contenuto. Inutile
negare, tuttavia, che in entrambi i poli – della credulità e della diffidenza – i comportamenti della
generalità degli elettori siano comunque informati ad una benevola apertura di credito nei confronti
di quei soggetti politici per i quali continuano a guardare (e votare) per abitudine, simpatia,
tradizione familiare, credo ideologico, persino adottando il criterio antipolitico del voto utile.
In sostanza, sia nel caso in cui ci si attenda che il partito – o la coalizione – realizzi ciò che ha
sostenuto in campagna elettorale con i famosi punti programmatici scritti col fuoco sulle tavole
della legge, sia che se ne discosti subito dopo la chiusura dei seggi, cambiando obiettivi, priorità,
alleati, concezione del mondo, poco importa. In un contesto di disintermediazione politica e di crisi
di rappresentatività, il singolo elettore non considera più il suo voto una variabile dipendente, un
premio da concedere al termine di una selezione di meriti e virtù, ma poco più di un passaggio
burocratico da espletare senza partecipazione emotiva. O quasi.
La campagna elettorale, informalmente iniziata subito dopo lo scioglimento anticipato delle Camere
in vista del voto politico del 25 settembre 2022 e che da allora gira a vuoto attorno ad una
fuorviante ed indecorosa contesa tra centrodestra, centrosinistra, terzo polo e M5S, rientra
perfettamente in questo schema. Questi play maker, infatti, omettono di esplicitare che il compito
primario che il popolo attende dai suoi rappresentanti (del parlamento e nel governo), ossia
l’esercizio della funzione di indirizzo politico, è completamente svuotato di contenuto stante la
presenza di stringenti vincoli esterni – dalla Nato all’Ue, dal Pnrr agli Usa – che negano in radice il
potere decisionale – la sovranità – che costituzionalmente spetta solo al popolo.
Una ricerca YouTrend pubblicata dai quotidiani del 10 agosto evidenzia in filigrana una
macroscopica anomalia che l’esito delle votazioni dovrebbe incaricarsi di confermare: Azione, la
formazione neoliberista, draghiana ed atlantista di Calenda, che da settimane ha egemonizzato ogni
spazio comunicativo, è accreditata di un 2%, mentre Italexit, il movimento di Paragone, boicottato e
silenziato dai media di regime, è stimato al 3,2%, al di sopra della liberticida soglia di sbarramento.
Alla luce di quanto sopra esposto, riteniamo opportuno dare fiducia nelle urne a chi difende la
funzione della politica ed uno statuto di opposizione, e così sfiduciare preventivamente – senza
attendere il tradimento post voto e poi pentirsene – chi, da destra a sinistra, pretende dal corpo
elettorale entusiastica adesione servile e l’incasso formale di una comoda rendita di posizione.