Neo-liberalismo e trappola dell'omega
di Pierluigi Fagan - 28/06/2021
Fonte: Pierluigi Fagan
Il concetto di “trappola dell’omega” si deve ad un fisco-climatologo tedesco H. J. Schellnhuber a dire di quella trappola mentale per cui ci si convince che quando le cose prendono a non funzionare più come al solito o come previsto, l’immagine di mondo che rifletteva quel “come al solito” o "come previsto", ordina di fare quello che si faceva prima ma con più forza, più radicalmente, più vastamente ed intensamente.
L’aforisma del “La follia sta nel fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi” attribuito variamente alle più supposte prolifiche menti aforistiche e cioè A. Einstein, B. Franklin e M. Twain, cattura il meccanismo da un altro punto di vista.
L’ideologia neo-liberale denuncia questo suo debito con il “come al solito” proprio usando un prefisso attualizzante “neo”, da apporre prima del “come la solito” del longevo liberalismo. Sul piano di storia delle idee è sempre difficile datare poiché si può retrocedere fino alle prime forme di un pensiero che però è ancora immaturo e poco diffuso, fino ad arrivare alla sua piena vigenza che però rimane in debito con questa molto precedente origine. Nel nostro caso neo-liberale si può quindi retrocedere alla Scuola austriaca degli anni ’20-’30 su fino alla Mont Pelerin Society degli anni ’40-’50, ma indubbiamente l’outing dell’ideologia nella sue ambizioni di verità guida, si ha negli anni ’70 con un doppio premio Nobel. Prima lo si darà a F. von Hayek nel 1974, poi a M. Friedman nel 1976. Negli anni ’80, l’ambizione diventa realtà con la sequenza Thatcher-Reagan per l’inizio ed il Washington consensus (1989) per la finale affermazione. Si noti che ad Hayek il premio venne dato ai suoi 75 anni, quasi un riconoscimento alla carriera e quindi ci potrebbe domandare: perché così tardi e perché negli anni ’70?
Perché è negli anni ’70 che l’economia occidentale (l’americana e la britannica per prime) comincia a non funzionare più “come al solito”. Da cui la sostanza di questa versione “neo” del liberalismo: imporre il sistema liberale ma con più forza, più radicalmente, più vastamente ed intensamente.
Qui tocca segnare una distinzione tra forma e contenuto delle ideologie. L’ideologia liberale, ad esempio, nasce nel XVII secolo in Inghilterra ma ha una premessa nel libertinismo francese della fine del XVI secolo. I suoi contenuti sono ovviamente lo spirito di libertà, l’emancipazione dalla dogmatica, il pluralismo nelle conoscenze allora costrette nel vincolo teologico, la tolleranza, il principio di realtà. Questi erano i suoi contenuti quando nacque sfidando l’ordine precedente. Ma i contenuti sono pur sempre interpretabili e quindi quando nel recente passato s’impone nella versione fondamentalista, quindi esercitando non più la funzione di sfidante ma di ordinante, ecco che diventa essa stessa dogmatica, ortodossa, intollerante, deragliando sempre più dal principio di realtà incaponendosi ad applicare con sempre più ottusità i suoi principi inderogabili. La parabola che portò da Marx a Stalin o da Cristo all’Inquisizione è la stessa.
Quando le ideologie nascono con intenti emancipativi hanno certi effetti, quando raggiungono il loro naturale obiettivo di potere ordinativo sull’immagine di mondo e questa sui modi di agire quindi sul tessuto della realtà, entrano in modalità imperativa. Quando le vicende di contesto cambiano in profondo e la realtà schizza via da tutte le parti e quindi fuori dal quadro ordinativo previsto, finiscono nella trappola dell’omega. Questa forma di sclerosi dei sistemi di pensiero che nega la realtà per ripetere ossessivamente la sua formula di verità che, come tale, non si può discutere, è l’Alzheimer delle ideologie che preannuncia la morte dell’intero corpo che voleva ordinare.
L’Inquisizione annuncia la fine della società medioevale ordinata dal teologico, lo stalinismo annuncia la fine del comunismo reale, il neo-liberalismo annuncia la fine della società occidentale moderna (vedi post-moderno) ordinata dal mercato. Da lì al nuovo ordine ci possono volere decenni, ma è solo tempo necessario al “fade-away” (svanire, sfumare, dissolvere) che, storicamente, ha una sua irreversibilità. Questo può consolare coloro che vivono in questa transizione in cui si verificano i “fenomeni morbosi più svariati” di gramsciana memoria, sebbene la consolazione storica sia di un valore, il vivere in tempi di oppressiva decadenza e bancarotta del buonsenso, un’altra.