Nessun nesso
di Marco Cosentino - 17/08/2021
Fonte: Giubbe rosse
Il prof. Marco Cosentino illustra in modo lucido ed esaustivo come siano le regole stesse elaborate per i vaccini a rendere complesso, se non in qualche caso impossibile, stabilire un nesso di causalità tra effetti avversi e vaccini. Questo anche a prescindere dal ben noto problema dell'underreporting.
Nel definire il rapporto tra un evento avverso e l’assunzione di un medicinale, i criteri messi a punto all’Uppsala Monitoring Center dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO-UMC)[1] pongono al primo posto la sequenza temporale e l’esistenza di spiegazione alternative. Quando la prima è plausibile, il rapporto è definito possibile o probabile (quest’ultimo è più forte rispetto a possibile) a seconda della plausibilità di cause alternative.
I medicinali somministrati per tempi più o meno lunghi (cioè non in singola dose) offrono anche alcuni ulteriori punti di riferimento, dal momento che alla comparsa di segni di sospetta tossicità una delle prime cose da considerare è la sospensione del trattamento (dechallenge). Se il disturbo scompare, la probabilità aumenta fino alla certezza nei casi in cui si riprende la somministrazione (ad esempio, perché si è giudicato il medicinale necessario e il rischio di disturbi accettabile) e il disturbo ricompare (rechallenge). In tal caso, siamo di fronte a un nesso causale certo.
Si noti che fin qui non è entrata in alcun modo la plausibilità dell’effetto rispetto al meccanismo farmacologico del medicinale: l’esperienza insegna, infatti, che sono moltissimi gli esempi di effetti avversi dovuti a meccanismi diversi da quello principale responsabile dell’effetto terapeutico. Così, ha poco senso farsi influenzare pregiudizialmente dall’idea che “questo farmaco non agisce così e, dunque, non può fare questo”. La medicina è pragmatica e, se osserva qualcosa di imprevisto, non lo nega, ma si chiede perché non era stato previsto e che cosa la nuova esperienza può insegnare.
Di sfuggita, va notato che con qualsiasi farmaco è sempre necessario vigilare su possibili effetti avversi non identificati durante la sperimentazione clinica, la quale per molteplici ragioni non riesce mai a descrivere con la dovuta precisione tutti i potenziali problemi che un farmaco può dare[2].
E poi ci sono i vaccini. Per questi, da alcuni anni, abbastanza pochi, esiste un algoritmo dedicato [3]. Al contrario dei medicinali, di fronte a un disturbo che si verifica successivamente alla somministrazione, ci si chiede in primo luogo se ci siano altre cause apparenti. E, se non ce ne sono, ancora ci si chiede se esistano esperienze precedenti di problemi analoghi con il vaccino (viene da chiedersi, però, come sia possibile arrivare a riconoscere la prima esperienza, se per definizione questa non è preceduta da casi simili (insomma, una sorta di “comma 22”)[3]). Solo a questo punto si considera la sequenza temporale, ipotizzando di regola, però, che essa debba essere ristretta, in base all’assunto che gli effetti di un vaccino si manifestano in breve tempo, peraltro non senza tornare a considerare possibili fattori contro l’associazione causale. Qui è spiegato bene quando e perché si è arrivati a questo controsenso[4].
Alla luce di questo schema, è abbastanza evidente come al di fuori degli studi clinici risulti quanto meno non facile collegare un vaccino a un effetto avverso. L’unica possibilità è che quest’ultimo si sia verificato durante la sperimentazione clinica. Diversamente, al di fuori di essa mancherà sempre “il precedente” e il riferimento sarà in questo caso un complesso e spesso fumoso confronto tra la frequenza con cui il disturbo si manifesta nei vaccinati e la frequenza attesa nella popolazione generale. Con questo ragionamento in molti, tra cui l’OMS, hanno derubricato le morti che hanno seguito il vaccino in tanti anziani al livello di “eventi attesi” sulla base dell’anzianità stessa delle persone. Ad esempio[5], l’FDA ha escluso un’associazione tra paralisi del facciale e vaccino Pfizer malgrado quattro casi tra i vaccinati e zero tra i non vaccinati. Infine, l’EMA ha escluso problemi di impianti dell’ovulo fecondato malgrado una percentuale doppia col vaccino negli studi preclinici in ratte vaccinate rispetto a non vaccinate (report FDA e EMA).
Risulta dunque probabilmente più facile, alla luce di questo quadro, comprendere il ritornello del “nessun nesso” ad ogni titolo di giornale su accidenti cardio e cerebrovascolari spesso fatali a ore, giorni o settimane da un vaccino. Molti che aderiscono immediatamente a questa lettura dei fatti sono probabilmente in buona fede. Altri preferiscono forse non cercarsi problemi. Ma, nel complesso, il risultato ha origine nelle regole stesse elaborate per i vaccini.
Pare questo peraltro un motivo più che convincente per valutare l’opportunità di smettere di considerare i prodotti covid a nostra disposizione come dei vaccini, cosa che sono e non sono. E questo non solo per il loro stato autorizzativo[6], bensì prima di tutto in quanto prodotti che contengono un principio attivo (RNA per Pfizer e Moderna, DNA per AstraZeneca, J&J e SputnikV), con eccipienti (lipidi in un caso, vettori virali nell’altro) che, dopo la somministrazione (esattamente come qualsiasi altro farmaco) hanno una fase di assorbimento che li porta nella circolazione sistemica. Tramite questa si distribuiscono poi nell’organismo, localizzandosi in tessuti e organi specifici e, dopo un certo tempo, vengono eliminati (gli RNA, i DNA forse no). Tutto questo lo dicevamo già ad aprile[7]. Poi a maggio è arrivata la conferma sperimentale della nostra ipotesi, prima per i prodotti a RNA[8], poi anche per quelli a DNA/vettore virale[9]. Tutto questo per dire che non si tratta di semplici vaccini che introducono un minimo frammento di virus localmente che il sistema immunitario impara a riconoscere, bensì prodotti che fanno fabbricare ai nostri tessuti quantità di proteina S virale (quella responsabile dei danni da covid)[10]. Quest’ultima si distribuisce nel sangue e nei tessuti come un qualsiasi farmaco. Se arriva nel tessuto sbagliato e/o in quantità eccessiva e/o per troppo tempo, si scatena un problema, tanto più grave quanto più è alta la dose e delicato il tessuto. In altri termini, se questa ipotesi sempre più sostenuta da evidenze sperimentali è corretta, questi prodotti sono come missili senza guida di precisione: li lanciamo sperando che cadano in zone deserte. Purtroppo, in qualche caso (per fortuna raramente, ma non è dato sapere quanto raramente) finiscono anche su un centro urbano o abitato. E allora sono dolori.
Quanto sono rari questi incidenti? La verità è che non lo sappiamo e di questo passo rischiamo di non saperlo mai. Gli studi clinici registrativi, per quanto formalmente ancora in corso, sembrano essersi bloccati a due-tre mesi dalla vaccinazione (dovrebbero durare 24 mesi) quando sono saltati fuori i numeri più mirabolanti[11]. Poi più nulla. Intanto, sono partite le campagne vaccinali, che somministrano milioni di dosi a settimana. Ma non rilevano sistematicamente gli effetti avversi, lasciandoli alla spontaneità della vaccinovigilanza, a sua volta “sabotata” dai criteri che discutevamo sopra. Siamo sommersi da un profluvio inquietante di notizie di reazioni avverse gravi, che in qualche caso arrivano fino al decesso del vaccinato. Notizie che, però, di regola trovano posto solo nella cronaca locale e si concludono (o meglio, esordiscono) ricordando che “al momento non è stato dimostrato alcun nesso”. Fanno eccezione i rarissimi casi in cui è per ora intervenuta la magistratura. Chiunque capisce bene che questo non è il metodo più efficiente per capire sistematicamente ciò che realmente sta accadendo.
Siamo insomma nel pieno della confusione, aggravata da veri e propri spettacoli di nani e ballerine negli ospedali e dall’intervento di testimonial e influencer che incitano anche i più giovani a vaccinarsi[12], quando sappiamo che nei più giovani il beneficio del vaccino anti-covid è sostanzialmente nullo[13]. Come se non bastasse, le stesse istituzioni arrivano ad offrire ai ragazzini spettacoli gratis, alcolici superscontati, pizze, panini e gadget vari. Pare un film distopico a basso costo, invece è il miglior piano anti-covid che chi ci governa ha saputo realizzare. E che è determinato a portare fino in fondo. Whatever it takes.
Forse, per mettere tutta la situazione in una prospettiva un poco più sensata, evitando almeno altre tragedie d’ora in poi, basterebbe considerare i vaccini a RNA e a DNA/vettore non dei veri vaccini (lo sono solo in quanto immunizzano), bensì dei farmaci. I vaccini anti-covid finora in commercio condividono con i farmaci il meccanismo di azione, che è del tutto diverso da quello dei vaccini tradizionali veri e propri[14]. E valutarne gli effetti avversi come si fa per tutti gli altri farmaci. Cominceremmo così ad avere dati di sicurezza più precisi e meno controversi. Giungeremmo, forse, alla conclusione che converrebbe procurarsi anche o magari preferenzialmente vaccini “veri”, ma, soprattutto, che il covid deve essere prima di tutto gestito come una malattia curabile e, come tale, essere curata. Peraltro, i dati che arrivano dai paesi che più hanno vaccinato ci dicono che tra reinfezioni e varianti i casi si contano ancora a centinaia. E, se le varianti paiono mettere in crisi i vaccini, nessuna fino ad ora si è mostrata meno che sensibile alle cure[15].