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Nessuna libertà per i dissidenti

di Alessio Mannino - 10/02/2018

Nessuna libertà per i dissidenti

Fonte: L'intellettuale dissidente

Il più freddo di tutti i mostri, diceva Nietzsche dello Stato – e non sapeva cosa sarebbe stato il Mercato… L’ultimo a voler mettere le manette alla libertà di espressione è la Polonia governata dalla destra catto-nazionalista: vietato affermare che i campi di sterminio nazisti furono polacchi. Messa così, sembrerebbe lo stupido che cerca di abolire per decreto una stupidaggine: i lager furono indubitabilmente tedeschi, definirli in altro modo sarebbe semplicemente una falsità o un’inesattezza. Ma a meno di non essere sotto giuramento in un processo, sanzionare col carcere chi dichiari il falso (ora va di moda chiamarle fake news), è pretendere di ingabbiare quanto di meno ingabbiabile, comprimibile e reprimibile ci sia: il pensiero.

Anche quando fosse un pensiero infondato e palesemente idiota. Dice: ma che ingenuo, è dall’alba dei tempi che il Potere cerca di negare, spesso o quasi regolarmente riuscendoci, la circolazione di fatti e idee sgradite. Certamente. E qualora non si autoproclamasse democratico, non vi sarebbe problema: in dittatura, sotto un monarca assoluto o con l’Inquisizione imperante, si sapeva che certe cose si poteva pensarle ma non dirle, però quanto meno si aveva a che fare con un oppressore odioso sì, ma coerente coi suoi princìpi. Se però, come a Varsavia, ci si bea di considerarsi democratici, allora ogni forma di censura diventa inammissibile.

Il caso polacco è soltanto l’ennesimo di una lunga serie. Le moderne democrazie, che amano fregiarsi di apparire anche liberali, non sono mai state rispettose del loro stesso presupposto. Ovvero la possibilità per il cittadino di esprimere quel che pensa, col solo limite di non favorire la violenza reciproca (di qui la proibizione di calunnia e ingiuria, altrimenti si correrebbe il rischio di tornare arcaicamente alla vendetta privata). Prendiamo il nostro caso, l’Italia del tanto osannato articolo 21 (Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione). Con la riforma dei reati d’opinione del 2006 si è almeno proceduto ad abrogare la propaganda sovversiva e a trasformare le pene per vilipendio alle istituzioni e offese alle confessioni religiose in multe.

Ma sussistono ancora la legge Scelba che colpisce l’apologia di fascismo (incardinata sulla famosa Disposizione Transitoria della Carta che nel 1948 vietava la ricostituzione del partito fascista: allora ci poteva stare; oggi, non più), la legge Mancino contro l’istigazione all’odio razziale (a cui è stata aggiunta nel 2016 l’aggravante di negazionismo della Shoah ebraica, e a cui si vorrebbe aggiungere la ridondante proposta Fiano), senza contare i geniacci del Pd che ne sognerebbero una per punire i responsabili di fake news, per finire con la Boldrini e tutti quelli che, pur comprensibilmente inaciditi perché bersagli quotidiani d’insulti, teorizzano un impossibile divieto giuridico dell’odio (che è un sentimento, e come tale non si può sopprimere a colpi di codice). E’ capitato che persino l’istigazione a delinquere diventi un’arma di repressione, come è stato per Erri De Luca accusato di incitare al sabotaggio del Tav in Val di Susa per aver solo scritto, ripetiamo scritto, testuale, che era rimasta l’unica alternativa (finendo poi assolto: ogni tanto, c’è un giudice a Berlino). La diffamazione, poi – e lo sa bene chi fa il nostro mestiere di giornalisti – è largamente usata come ricatto intimidatorio e mezzo di pressione, psicologica ed economica, su chi esercita il diritto di cronaca e di critica.

Via tutto. Mettere un bel frego sopra i reati d’opinione, la diffamazione e qualunque malsano tentativo di bavaglio: questo il solo modo di onorare l’illusione chiamata democrazia. Ma non per amore di liberalismo: già Locke, che ne è il padre, predicava l’intolleranza contro i nemici della tolleranza, prefigurando il più giacobinamente consequenziale Saint-Just (nessuna libertà per i nemici della libertà). Il liberale storico è già un fascista in nuce. Non è dunque la libertà liberale, che va difesa. E’ la libertà tout court. Quella di essere semplicemente ciò che si è, pensando quel che si pensa. Essere liberi di dar vita al proprio modo di intendere la vita, singolare e comunitario, facendola scorrere, allargandola, aumentandola, affermando quante più potenzialità porta in sé, concedendo spazi più che si può alle forze vitali (virtù, il loro antico nome) che ci sono e basta, e perciò, elevate o basse che siano, devono poter esistere.

In questo senso il democratico vero, coerente, nient’affatto liberale, semmai pericleo e aristocratico, è un idealista molto realista, e dunque amante tragico della Vita: perché la accetta così com’è, col suo lato oscuro di odio e passioni negative, imbrigliandola quel minimo che permette di non soffocarla e lasciandola espandersi creativamente. Se la democrazia ha un senso, è solo di consentire al gioco conflittuale dei diversi punti di vista lo sviluppo più naturale, spontaneo e appunto libero. Un’anarchia controllata e dall’ethos agonistico, e magari – qui sta l’idealismo – finalizzata all’eccellenza (che combatte da sempre, è noto, contro la prevalenza del vile e del cretino, in una guerra che non terminerà mai; ma che sarebbe disonorevole fare nascondendosi dietro la scorciatoia di leggi liberticide…). Ognuno pensi e dica quel che vuole: l’individuo intelligente riconoscerà i suoi simili. Il resto è meschineria e piccola umanità bisognosa di tappare la bocca altrui perché la propria sa vomitare solo conformismo e faziosità.