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Nessuno può decidere che cosa è giusto dire

di Pierluigi Battista - 13/09/2020

Nessuno può decidere che cosa è giusto dire

Fonte: Corriere della Sera

Ma davvero credono che impedire con la forza a Salvini sistematicamente, non episodicamente ma sistematicamente, di tenere un comizio elettorale, oppure strappargli la camicia sia un atto di resistenza civile, di coraggio democratico, di guerra alla tirannide (una tirannide che sta all’opposizione, tra l’altro)? Si immaginano così, galvanizzati dal sostegno degli intellettuali e dei registi che sognano il fanatismo ideologico di cui erano orfani, nuovi resistenti. E non sono sfiorati dal dubbio che impedire sistematicamente anche all’avversario più detestato il diritto di fare campagna elettorale equivalga a una forma di intolleranza. Tranne rari casi, anche nei momenti di più infuocata contrapposizione politica (a parte gli anni dell’immediato dopoguerra) non era abitudine impedire ai leader dei partiti nemici di parlare, e negli anni Settanta, così carichi di violenza, nemmeno Almirante veniva aggredito fisicamente per interrompere con la forza muscolare qualcosa che nelle campagne elettorali dovrebbe essere un rito, la festa democratica delle opinioni contrapposte che si sfidano, della lotta politica che si fa incandescente. E invece diventa normale che si dia l’assalto ai palchi tirando pomodori (per fortuna, ancora, non pietre) per negare a Salvini di esercitare la libertà d’espressione costituzionalmente garantita e ottenuta, come si sa, a caro prezzo.

L’argomento giustificazionista per cui si tratterebbe di arginare un messaggio violento non regge. Primo, perché esprimere con la violenza un messaggio anti-violento nega al gesto ogni credibilità e ogni legittimità. Secondo, perché nessuno può arrogarsi il diritti di stabilire cosa può essere detto e cosa invece va proibito, non con decisioni dello Stato, ma con le urla di una minoranza agguerrita. Per cui hanno fatto benissimo i leader dei partiti di centrosinistra, in primis Zingaretti e Renzi, a non appoggiare la deriva violenta di chi nega con prepotenza a Matteo Salvini il diritto di esprimere pubblicamente tesi ovviamente contestabili con energia e determinazione, ma sempre nel rispetto della sfera di libertà altrui. Fa male invece chi scava la fossa ai principii inderogabili della libertà d’espressione, della lotta democratica, del conflitto tra partiti e idee contrapposte, cioè il sale della democrazia liberale, e fa prevalere il linguaggio della scomunica su quello della lotta politica. Nel mondo l’offensiva dei sistemi autoritari, di quelle che vengono definite le «democrature» (sintesi velenosa di democrazia e dittatura) è troppo forte per non essere contrastata con coerenze e senza cedere ai princìpi fondamentali che rendono le nostre democrazie superiori. Inoltre affibbiare al «nemico» l’esclusiva del linguaggio violento è davvero poco onesto se solo si pensa che il leader e l’ispiratore di uno dei due partiti maggiori che stanno al governo, i Cinque Stelle, definiva violentemente Umberto Veronesi «Cancronesi» e qualificava con offese impronunciabili una figura cristallina come Rita Levi Montalcini.

Cosa penseremmo se squadre di contestatori di destra impedissero o interrompessero violentemente i comizi dei Cinque Stelle? Per cui, ironia, fischi, contestazioni, piazze contrapposte contro l’avversario politico, ma niente assalti ai palchi, niente spinte, niente lanci di oggetti. Tra la contestazione pacifica e quella violenta passa la frontiera della tolleranza e non c’è peggiore ipocrisia di chi, intollerante, si scaglia contro l’intolleranza altrui, per dare nobili giustificazioni alla propria, di prepotenza. Purtroppo princìpi che sembravano acquisiti mostrano una nuova fragilità e sono esposti a messaggi contraddittori che ne delegittimano la credibilità. Ma quella frontiera di civiltà, se non si vuole farsi inghiottire da una spirale pericolosa, va difesa e tutelata. Sempre. Senza contorsioni giustificazioniste. E irresponsabili, perché nessuno sa che cosa ci sia al fondo di quella spirale.