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Noi il bene, loro il male. Così l’umanità sta peggio

di Marcello Veneziani - 28/04/2025

Noi il bene, loro il male. Così l’umanità sta peggio

Fonte: Marcello Veneziani

Qui il Bene, là il Male. Noi siamo il Bene, loro sono il Male. Quanto male può fare una divisione così drastica, perentoria, manichea, stabilita da una parte contro l’altra; quanti danni pubblici e privati, generali e particolari. Quanto razzismo si nasconde dietro quell’irrimediabile demarcazione tra i due regni. Dopo la settimana santa di Pasqua, è venuta la settimana manichea: da qui c’è il Bene, di là c’è il Male, solo il Male.
Non solo fascismo e antifascismo per il 25 aprile, ma anche la sfilata dei grandi ai funerali di Bergoglio è tutta una classifica tra il bene e il male: il bene è chi sta dalla parte di Bergoglio, il male è chi sta dalla parte di Trump o di Musk. E poi, in generale, il bene è femmina, il male è maschio; anzi il bene è trans e il male è la natura, con le sue differenze. Il bene è migrante, il male è restante. Il bene è straniero, il male è nostrano. Il bene è woke, il male è chi si attiene alla realtà. E via favoleggiando di bene in male, di male in peggio. Non si tratta di relativizzare e confondere il bene e il male, o di andare al di là del bene e del male; il problema è che qualcuno ritiene di avere il monopolio del bene e la facoltà di assegnare il male a chi gli si oppone, a prescindere dalla verità e dalla realtà.
Ad esempio la radice assurda del manicheismo applicato al fascismo e all’antifascismo è nella convinzione che il fascismo e il male si identifichino; sono la stessa cosa. Non a caso si definisce il fascismo come male assoluto ed eterno, come un tempo si definiva solo il Diavolo. Ergo, è sempre ora di antifascismo. In realtà il male non è nato con il fascismo, ma è purtroppo connaturato all’uomo, da quando esiste; esattamente come la vocazione al bene. Il male è nella storia dell’umanità, da sempre, e non appare solo in un angolo del Novecento o in una sola forma; il male ha varie forme. Analogamente, il male esiste anche oggi ed esisterà pure domani, e non ha senso chiamarlo ancora fascismo, non c’entra, è un’altra cosa; come era un’altra cosa il male che ha accompagnato l’umanità prima che spuntasse il fascismo. Ogni epoca ha le sue croci e le sue delizie. Eternizzare il fascismo, universalizzarlo, significa uscire dalla realtà e uscire di senno: è come definire fascista Gengis Khan o le invasioni marziane.
In secondo luogo, nessuno ha diritto innato di stabilire a suo insindacabile e unilaterale giudizio ciò che è bene e ciò che è male, decretando condanne e punizioni, inclusioni ed esclusioni. Men che meno le parti politiche e sociali, che sono appunto parziali; non a caso si chiamano partiti. La presunzione di una parte della cittadinanza di giudicare in permanenza l’altra parte, e di stabilire chi rappresenta il male e chi il bene, è il vero male radicale della nostra democrazia e della nostra società. Genera odio, esclusione, razzismo; esattamente quel che si imputa a priori alla parte avversa.
Lo schemino del bene e del male funziona però a pieno regime, e arriva a capovolgere la realtà. Ho davanti agli occhi il pronunciamento di 150 università e college americani contro “l’ingerenza dell’amministrazione Trump” che mina “l’indipendenza dell’istruzione superiore negli Stati Uniti”. Tutto nasce dall’azione giudiziaria avviata dall’Università di Harvard contro la decisione della Casa Bianca che ha congelato 2,2 miliardi di dollari di fondi pubblici federali, che a loro dire mira a “cancellare l’autonomia accademica e piegarla a fini ideologici”. Siamo davanti a un caso perfetto di scuola orwelliana. I fatti sono semplicemente a contrario: le università americane, come Harvard, in preda al delirio ideologico woke e alla sua tirannide, usano i fondi pubblici, cioè di tutti i cittadini, anche di coloro che votano Trump o non si riconoscono in nessuna ideologia, per imporre a docenti e studenti un’asfissiante cappa politically correct, e un corso intensivo di auto-mortificazione collettiva: l’Occidente bianco e cristiano deve vergognarsi della sua storia e dei suoi valori, della sua civiltà e delle sue tradizioni civili e religiose, e deve accogliere il lessico, il comportamento, l’ideologia woke e la sudditanza afro-asiatica. Se non lo fa, viene penalizzato, emarginato, additato al pubblico disprezzo e infine escluso.
Questa situazione genera disagio e rigetto nella popolazione, tra gli studenti e i prof che vogliono semplicemente insegnare, studiare e far studiare e non propagandare messaggi ideologici e moralistici. Se non volete credere a noi, leggete quel che scrive da tempo Federico Rampini a proposito di questo rigetto popolare, che è stato una delle cause che ha determinato il successo di Trump alle elezioni presidenziali. Coerentemente col suo programma elettorale con cui ha chiesto e ottenuto i voti per tornare alla Casa Bianca, Trump è di parola e ora con i fatti vuole ripristinare il buon senso comune, la realtà dei fatti e la mission dell’istruzione superiore e delle università. In America, la lotta all’ideologia woke non è solo un modo di dire o un comizietto per acchiappare consensi, come da noi, ma un impegno preciso, concreto. Così Trump subordina il finanziamento pubblico all’osservanza di questi requisiti elementari, a garanzia di tutti e non solo a sostegno di una parte. Non censura, non cancella, non perseguita, semplicemente dice loro: se volete continuare a svolgere corsi partigiani e ideologicamente orientati, fatelo da voi, trovatevi gli sponsor e fatti vostri; ma i soldi pubblici no, non potete usarli per somministrare le vostre prediche ideologiche, la vostra intolleranza e le vostre censure. Esattamente il contrario di quel che viene raccontato: Trump non censura ma rimuove le censure; non orienta ideologicamente ma si oppone a chi lo fa, e rende esplicito un criterio: se vuoi fare catechismo della tua parte, lo fai con i soldi della tua parte, non con quelli di tutti i cittadini. Perdi anche le agevolazioni fiscali, le esenzioni riconosciute per l’istruzione; perché non è istruzione pubblica ma propaganda di parte.
Naturalmente la setta intellettuale è insorta: il filosofo progressista Michael Sandel parla di minaccia reale alla democrazia, e paragona Trump a Orbàn e Erdogan (manca Putin, strano). Lo considera un attacco ai media, alla cultura e alle università. Ma lui stesso poi ammette che negli Usa «la fiducia nell’istruzione superiore è calata dal 57% nel 2015 al 36% nel 2023. Tra i repubblicani è crollata al 19%». Ci sarà un motivo? Poi Sandel se la prende con la meritocrazia, rispolverando vecchi argomenti egualitari e pauperisti, fallimentari alla prova dei fatti.
Certo, Trump è ruvido e grezzo, non ama la cultura, preferisce gli affari, detesta l’Europa e impone odiosi dazi; ma in fondo è omeopatico, reagisce all’intolleranza, alla discriminazione ideologica e al manicheismo in modo adeguato, cioè rude ma efficace. Per dirla in una battuta: la destra dei valori, la destra colta, civile e umanista non merita di essere rappresentata da uno come Trump, tutto muscoli, cresta e soldi; ma la sinistra manichea, classista e intollerante si, merita Trump in tutto il suo brusco splendore, con tutte le sue trumpate. Non tutti i mali vengono per nuocere, soprattutto se nuocciono a chi fa del male, e dice pure di farlo a fin di bene.