Non chiamatelo lavoro: i voucher sono un crimine
di Diego Fusaro - 25/10/2016
Fonte: lettera43
In riferimento alle tendenze in atto si è significativamente parlato di “ri-mercificazione” del lavoro. Si è mostrato come l’accrescimento della flessibilità, senza alcuna considerazione per i suoi costi umani, si regga sull’assunto per cui il lavoro è una pura merce e, in quanto tale, disgiunto dal soggetto umano che lo eroga. Una merce la cui cessione non prevede che si tenga conto delle conseguenze che il suo impiego comporta nel presente e nel futuro del soggetto, prima tra tutte, ovviamente, quella per cui, anche quando non è concretamente impiegato nella produzione, l’essere umano erogatore di forza lavoro ha esigenze biologiche che non possono essere soppresse o temporalmente sospese.
LA DERESPONSABILIZZAZIONE DEL CAPITALE. Da questo punto di vista, l’odierna fase dell’accumulazione flessibile si fonda, oltre che sulla deresponsabilizzazione integrale del capitale verso le comunità umane, sulla svalutazione simbolica e reale del lavoro. Quest’ultimo, oltre a diventare concretamente precario, viene percepito come secondario e irrilevante, non fondativo dell’essere sociale, quasi come se si trattasse di una mera accidentalità inessenziale rispetto alla logica della valorizzazione. A suffragio di questa tendenza, si pensi anche solo alle forme dei cosiddetti “buoni lavoro”, o voucher. Essi rappresentano un sistema di pagamento delle prestazioni di lavoro che, in astratto, figura come occasionale e accessorio e che, in concreto, finisce sempre più spesso per diventare il solo lavoro disponibile per i giovani precarizzati.
NESSUNA REGOLAMENTAZIONE. Introdotti in Italia dalla Legge Biagi (D. Lgs 276/2003), i voucher permettono di retribuire le prestazioni del proprio dipendente occasionale senza alcun obbligo di registrazione delle date e delle ore del lavoro svolto. In tal modo, non v’è più un lavoratore regolamentato, ma un assunto per caso e per brevi periodi, che spesso si limitano alla giornata. Si è assunti a chiamata, senza stabilità e senza certezze, sul fondamento della decisione sovrana del datore di lavoro. Il voucher, inoltre, risulta esente da imposizioni fiscali per il datore di lavoro e pone i contributi interamente sulle spalle del lavoratore, direttamente detraendoli dal suo compenso.
Anche da ciò si evince come i “buoni lavori” rappresentino la formula più esasperata del precariato a giornata e dell’aggressione classista al mondo del lavoro. Definirli una pratica criminale significa essere ancora moderati.