Non è tempo di “feste spensierate”
di Franco Cardini - 25/12/2023
Fonte: Franco Cardini
Nonostante la mia non più verde età, continuo ad amare ingenuamente il Natale. Ma più passa il tempo, meno mi sento a mio agio nell’atmosfera che ormai lo circonda. Non mi piace il clima di falsa gioia, di felicità che in termini reali è fatta solo di beni materiali, di un’opulenza ostentata e che appunto per questo suona falsa soprattutto se confrontata con la miseria che nel mondo sta salendo a livelli gravissimi, con le ingiustizie dilaganti, con la tristezza e la solitudine di troppi fra noi. Diciamola, in una parola: con l’infelicità.
E non riesco a togliermi dalla mente, quando pronunzio la parola “infelicità”, l’immagine dantesca del Demonio prigioniero al centro della terra: un mostro orribile ma soprattutto privo d’intelligenza, che sa soltanto masticare eternamente i Traditori di Dio e del Genere Umano (Giuda, Bruto e Cassio) e piangere di continuo. Il pianto è sovente un lavacro benefico, una liberazione, ma non per lui. Il suo è un pianto disperato, senza remissione, senza speranza. Quando vedo le nostre città in cui sono scomparse le botteghe artigiane, i vecchi buoni negozietti di cose semplici, le librerie, mentre fioriscono di continuo orribili spazi scintillanti di arredi di pessimo gusto nel quale si smerciano tonnellate di junk food e capi di vestiario postmoderno griffati, plasticati, dai colori improponibili e dalle fogge tra il paramilitare e il ginnico da periferia (avete presenti gli scarponi delle ragazze?), mi sento invadere da una malinconia profonda. E non basta a dissiparla l’allegria farlocca sparsa a piene mani dai media e che dal piccolo schermo si riversa in case nelle quali i pochi ragazzini di una società che ormai non fa quasi più figli non degnano più nemmeno d’un sguardo il tubo catodico pieno di sciocchezze perché hanno gli occhi fissi sui loro smartphones e sui giochi feroci e demenziali ch’essi propinano.
Da questo mondo pieno di Babbi Natali e di Alberi di Natale sommersi dai prodotti e dai sottoprodotti del consumismo, è proprio il vero e originale protagonista della Natività a mancare. Gesù Bambino è scomparso, i simboli della sua Divinità e del Suo Regno sono spariti: perfino sugli ornamenti natalizi appesi ai rami del fatidico abete imperano i simboli della Coca-Cola e del McDonald’s; e tutti noi – come recita il ritornello di un cantautore – siamo intenti a nascondere quello che siamo dentro dietro quello che abbiamo.
Stanotte – sto scrivendo nella sera della Vigilia – non andrò alla Messa di Mezzanotte, l’evento che più amo nel Natale e che aspetto con ansia ogni anno. Ma ormai da anni vengo criminalizzato dai parenti i quali pretendono che a mezzanotte io sia presente alla cerimonia della consegna dei regali, soprattutto ai bambini. Il mio desiderio di condividere il freddo e il gelo del Figlio di Dio è contrastato dal mio “dovere” di partecipare all’ennesimo scambio di vanità: ogni anno mi si accusa di “cercar di rovinare la festa” con il mio “fanatismo religioso”, senza tener alcun conto dei miei sentimenti, anzi non dando la minima prova di comprenderli.
Intanto, attorno a noi, scorre il film di un allucinante Black Christmas: a Modena, il Consiglio comunale ha permesso la sistemazione in Piazza XX Settembre della “creazione” di un “artista”: un allucinante monumento che irride alla sofferenza e alla morte di migliaia d’innocenti. Un carro armato tipo Sherman sulla fiancata del quale figura una scritta “Carro Armato” corretta mediante la cancellazione della consonante “r” in modo da ribattezzarlo “Carro Amato”; la bocca del cannone del carro è sagomata a forma di cuore e dalla torretta emerge naturalmente Babbo Natale, mentre sul retro dell’ordigno di guerra stanno ben allineate le bandiere di tutti i paesi che attualmente sono in conflitto. All’orrore e alla vergogna del veto statunitense alla proposta ONU di un giorno di tregua attorno alla martoriata Gaza, al quale la Casa Bianca ha opposto uno spietato “no” per assecondare la linea politica del triste Netanyahu, fa da contrappunto il bieco e grottesco insulto alla pace, il ridicolo carro armato che bombarda con proiettili a forma di cuore seminando una pace che non esiste mentre, sulla città palestinese, continua a cadere un’autentica pioggia di fuoco. L’Occidente pacifico e pacifista che su quella piazza di Modena e altrove blatera d’una pace che non esiste, di una pace che i poteri del mondo negano, e intanto permette che si bombardi senza pietà una città accusata di essere una tana di terroristi. Quello stesso Occidente, complice di una cieca sete di vendetta, raccoglierà la tempesta che il suo vento omicida ha seminato: una tempesta di nuovo terrorismo.
A Modena, in quella piazza, ha protestato solo una persona: che Dio la benedica. Un cittadino palestinese che lavora nella città emiliana e che ha simbolicamente assalito da solo, a pugni e a calci, quell’ammasso di ferraglia che irride ai morti innocenti. L’uomo aveva con sé un ragazzino, suo figlio. A qualche astante che lo ha esortato a pensare a quel bambino, egli ha risposto con dolente orgoglio di avere, in realtà, 7000 figli: tanti quanti, almeno finora e secondo una stima ottimistica, sono i minorenni innocenti uccisi a Gaza (in realtà sono ormai di più). Contro quell’uomo, reo di cercar di risvegliare la nostra coscienza, si è accanita la gente che ha invocato “i carabinieri” per arrestarlo. Ed è giunta più tardi la notizia che a suo figlio era stato sospeso il diritto a usufruire del quotidiano pasto scolastico gratuito.
Non basta. Altre infamie di aggiungono all’infamia. A Monfalcone, la sindaca ha cristianissimamente celebrato la festività natalizia disponendo la chiusura delle moschee cittadine e vietando quindi l’esercizio di un diritto costituzionale alla popolazione musulmana locale, che è in larga parte composta di cittadini italiani trattati come stranieri da un’amministratrice la quale sembra ignorare il fatto che i cittadini italiani hanno diritto a professare la fede religiosa che vogliono e che quindi la sua decisione liberticida è anche incostituzionale. Così, in un contesto sempre più scristianizzato, ci si “ricorda” del Cristo solo quando si tratta di negare la libertà religiosa altrui.
E i segni infausti si moltiplicano. Il gattino di Angri, morto scorticato perché un abominevole essere indegno di esser definito “umano” si è divertito a vederlo soffrire, non è “in fondo, solo un animale”, come ha commentato qualche imbecille: è il simbolo di un mondo che rotola a precipizio verso la perdizione. Come il fuciliere dell’università di Praga, che ha importato nella bella città di Jan Hus e di Franz Kafka lo sport omicida di quando in quando praticato finora negli Stati Uniti o episodicamente in qualche angolo d’Europa.
Cari Amici, questa non è una galleria di orrori sconvolgenti ma episodici: questi sono brandelli dell’ombra che sta avvolgendo l’Occidente e del Nulla che avanza nel mondo.
Forse, per obbligare quanto meno i cattolici e riflettere su tutto ciò, sarebbe necessaria una scrollata energica fino al trauma. Prendendo a prestito un verso del mio “amico” duecentesco Cecco Angiolieri, sarei tentato di ripetere a me stesso il suo sarcastico “S’io fossi papa”. Ecco, se io fossi papa getterei per ventiquattro ore l’interdetto sulla Cristianità in segno di penitenza: le chiese chiuse, le cerimonie religiose sospese, le campane legate.
Può sembrare strano, o essere scambiato per ironico se non provocatorio, l’augurare a tutti un buon Natale e un Nuovo Anno con parole e argomenti del genere; d’altronde, la tradizione va pur seguita. In questi giorni solstiziali d’inverno nei quali le ore della notte fanno aggio su quelle della luce, “da sempre” (una volta tanto è forse il caso di dirlo), è il caso di associarsi a un uso corrente nelle culture tradizionali. Accendere lumi e fuochi per “aiutare il sole” a vincere il buio e a tornare a splendere sul mondo.
È quel che stiamo facendo o che dovremmo fare in questi giorni: anzi, dovremmo forse farlo meglio, con una coscienza più seria e un impegno più profondo. Riti, simboli, giochi, pranzi tradizionali possono essere qualcosa di molto serio se consapevolmente praticati. Un antidoto al Nulla che Avanza, se sottratti al suo contagio.
Rispettiamo dunque il tempo della festa: e un po’ anche riposiamoci. Noi dei “M.C.”, ormai passato il quattrocentesimo anno di edizioni settimanali quasi regolari e con pochissime domeniche “saltate”, abbiamo bisogno di un istante di pausa per riprendere fiato e riordinare le idee. Grazie a chi ci ha seguito finora e continuare a seguirci; per chiunque voglia collaborare, la porta è aperta e non ci sono censure. Unica condizione, accettare con lealtà lo scambio d’idee e discutere con onestà intellettuale.
Perdonate intanto il carattere non propriamente lieto di questo Editoriale natalizio. Stimiamo sia necessario. Non è tempo di “feste spensierate”. Al contrario, siano queste “feste pensate”. E pensierose.