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Non Santo Padre ma Fratello

di Marcello Veneziani - 23/04/2025

Non Santo Padre ma Fratello

Fonte: Marcello Veneziani

Papa Bergoglio è stato un papa umano, troppo umano. Ha fatto dell’umanità il senso e l’orizzonte del suo pontificato. Ha umanizzato il divino, ha desacralizzato la fede, ha socializzato la cristianità, ha tradotto la carità in filantropia. Non è stato Santo Padre ma Papa Fratello, e la sua fratellanza era un po’ come la fraternité sposata all’egalité. Il cristiano concepisce la fratellanza rispetto al Padreterno. Voleva abbattere muri e confini, aprirsi ai non credenti o ai credenti di altre fedi, ma ha eretto muri e solcato confini all’interno della cristianità, tra i cattolici della tradizione e i cattolici del progresso, ponendosi dalla parte di questi ultimi. Umano troppo umano è, come sapete, il titolo di un’opera di Friedrich Nietzsche; il filosofo dell’anticristo avrebbe ritrovato in lui esattamente quel che lui intendeva per cristianesimo e che avversava: la religione degli ultimi, la cristianità come preambolo religioso del socialismo, del pauperismo, il Vangelo come riscatto e denuncia sociale. In fondo la visione del cristianesimo in Nietzsche combacia con quella dei cristiani progressisti. Naturalmente è opposto il segno, negativo in Nietzsche e positivo in loro, ma la diagnosi è simile.
Non siamo nessuno per giudicare un papa, e la storia dirà qual è stata la sua impronta sulla Chiesa e sul mondo. Ma se è permesso esprimere in piena umiltà un sommesso parere sul suo papato, oltre le untuose ipocrisie che ci sommergono da due giorni, Francesco non è stato un grande Papa, o un Papa grande, come si dice nella Chiesa che intende la grandezza come presagio di santità. È stato, invece, un Papa Piccolo, che ha voluto rendere se stesso e la Chiesa all’altezza del mondo, dei tempi, della situazione sociale. Si è fatto piccolo per essere dentro questo tempo; umile se volete, anche se non di buon carattere.
Anche questa definizione di Papa Piccolo dovrebbe in fondo non dispiacere a chi ha esaltato in lui proprio questo suo aspetto di vicinanza all’umanità, a partire dagli esclusi. Il carisma è il segno di una raggiante paternità e di una luminosa presenza del divino in terra; Bergoglio ha invece scelto la via opposta, quella di umanizzare Cristo e il Vicario di Cristo in terra, fino a renderlo “uno di noi”. Non l’amore per il Lontano ma l’amore per i lontani, i più lontani dalla civiltà cristiana, dal nostro occidente, dalla chiesa, occupandosi largamente di migranti, cioè di coloro che venivano da altri mondi, da altre religioni. Non ha affrontato il nichilismo della nostra epoca, la desertificazione della vita spirituale, limitandosi a criticare legittimamente l’egoismo e la prepotenza. Ha cercato la simpatia, a tratti la piacioneria, più che la conversione e il mistero della fede.
È morto nel giorno del Sepolcro vuoto, il giorno che segue alla Pasqua, in cui l’Angelo annuncia alle donne che il Figlio è tornato dal Padre, non è più in terra, e anche questo – per chi crede ai simboli – è una coincideva significativa. Un giorno speciale, non solo perché lunedì dell’Angelo, ma perché quest’anno la pasqua cattolica coincideva con quella ortodossa; ed era il 21 aprile, il giorno del Natale di Roma, in cui il sole entra perfettamente nell’opaion del Pantheon, l’oculo aperto nella sommità del cerchio e trafigge il portone di bronzo e chi vi si pone alla soglia del tempo dedicato a tutti gli dei. Il suo papato è durato dodici anni, un tempo non lungo come quello di Giovanni Paolo II, né breve come quello dei papi meteore, come accadde a Giovanni Paolo I, Papa Luciani.
Lascerà un’eredità importante sul Conclave che dovrà eleggere il nuovo Papa e magari avviare la santificazione di Papa Bergoglio: ha eletto più cardinali di ogni altro predecessore, l’ottanta per cento del Conclave, lasciando così una larga maggioranza bergogliana. Per questo la sua eredità sarà davvero importante sul prossimo Conclave, a parte l’ispirazione dello Spirito Santo.
Non è riuscito a fermare l’emorragia della fede cristiana nel mondo, il calo senza precedenti di vocazioni in chiesa e nei conventi e di partecipazione dei fedeli ai sacramenti e alle messe; le chiese vuotate, la fede disertata.
Un processo lungo che dura da tempo, che si è accelerato almeno dai tempi del Concilio Vaticano II in poi e che i suoi predecessori non riuscirono ad arginare; con lui la scristianizzazione è stata ancora più vasta e veloce.
Papa Bergoglio raccoglieva simpatie di molti che cristiani e credenti non erano e che tali restavano; non ha convertito nessuno dei suoi simpatizzanti non credenti, mentre all’interno della cristianità, dicevamo, si è acuito il dissenso e la divisione tra i cattolici più legati alla tradizione e i cattolici più aperti ai tempi nuovi e al mondo sempre più scristianizzato. Ha dialogato più con i progressisti non cattolici che con i cattolici non progressisti; aperto ai primi, ostile ai secondi, la fede cattolica diventava una variabile secondaria rispetto alla posizione storico-sociale. Ha elogiato il dialogo intereligioso ma non a partire dai più vicini, come i cristiani ortodossi, di rito greco-bizantino, ma dai più lontani, come gli islamici e i più remoti nel mondo.
I suoi temi dominanti sono stati la pace, l’accoglienza, i migranti, l’ambiente, l’apertura alle donne con ruoli ecclesiali, il dialogo con gli atei. Ha denunciato le ingiustizie sociali, ha difeso i poveri, ha criticato il capitalismo e il consumismo, come è giusto che faccia un Papa. Ha tenuto fermi alcuni principi e alcune scelte di vita, in tema d’aborto, maternità, famiglia, lobby gay; ma i mass media hanno posto la sordina a questi suoi appelli in contrasto col mainstream. Anche in tema di pace ha fatto risuonare con forza la sua parola davanti alle guerre e ai genocidi senza distinguere tra gli uni e gli altri. Meno attento, invece, sulle persecuzioni dei cristiani nel mondo. È apparso refrattario ai riti, ai simboli, alla liturgia sacra.
Restano alcuni grandi e piccoli misteri, come il non essere mai tornato in dodici anni di pontificato nella sua Argentina; è stato in Brasile, ai suoi confini ma non ha mai varcato la soglia di casa, e su sui motivi di questa stranezza i media hanno sempre taciuto.
La chiesa che lascia è più fragile, disabitata e lacerata di quella, già in crisi, che raccolse dal suo predecessore, Papa Benedetto XVI. E gravata ancora da alcune ombre d’infamia, come la pedofilia e la corruzione, che funestano la chiesa, i sacerdoti, ormai da tanti anni.
Qualcuno per rispondere alla crisi di vocazioni e alla pedofilia, propone il matrimonio per i preti, ma non è un rimedio per nessuno dei due. Non entreremo nella spinosa questione della legittimità del suo pontificato, non ne abbiamo la competenza, ed è materia troppo delicata per affrontarla nel corso di un articolo. Siamo sempre stati combattuti tra l’ossequio al Papa, chiunque egli sia, per quel che comunque rappresenta e per la nostra inadeguatezza a giudicare, e la critica per alcune sue posizioni che erano in palese contraddizione con il magistero dei precedenti pontefici e con la lezione di santi, teologi e dottori della Chiesa.
La sua morte esige rispetto, pietà e preghiera per il suo ritorno al Padre. Bergoglio esercitò il suo ruolo di Pontifex innalzando ponti tra i popoli più che tra l’uomo e Dio. Non ha costruito ponti tra il tempo e l’eternità, ma tra la chiesa e il suo tempo, a senso unico. Infatti, la sua Chiesa si è aperta all’oggi ma l’oggi non si è aperto alla Chiesa.