Nonluoghi, non persone, non cose
di Roberto Pecchioli - 02/03/2025
Fonte: EreticaMente
Metropolitane, aeroporti, fast food, centri commerciali, svincoli autostradali, grandi stazioni ferroviarie, sono ambienti che mancano di identità, di storia, rendendo impossibili relazioni umane significative: spazi che non hanno una propria essenza e non generano legame sociale. Sono territori di transito pensati per un’umanità transumante. La loro definizione è nonluoghi, introdotta dall’antropologo francese Marc Augé, analista dello spazio nella modernità globalizzante – definita surmodernità – in cui un’umanità vagante trascorre una quantità crescente di tempo. Sono ambienti funzionali alla circolazione frettolosa, dove il movimento è verso qualcos’altro, spesso un altro nonluogo. Spazi anonimi attraverso i quali gli individui si muovono interpretando ruoli impersonali: passeggeri, clienti, turisti, consumatori. I nonluoghi, universali e senz’anima, generalmente brutti, replicati in modo simile o identico in diverse parti del mondo, generano una relazione meramente strumentale. Le persone li utilizzano per uno scopo momentaneo (viaggiare, fare la spesa, attendere), senza alcun senso di appartenenza. In questi spazi, anche se affollati, ciascuno permane isolato nella propria attività – il semplice transito – senza generare comunità o relazione. Inducono senso di solitudine, un isolamento co-occupato e aggressivamente custodito. Abituano al brutto e all’uniforme. E’ ammesso solo il funzionale, immediatamente riconoscibile: ciò che serve. A entrare in autostrada, a raggiungere il cancello d’imbarco del volo, a ingurgitare in fretta cibo senza qualità e senza condivisione con altri umani. Nessuno sa immaginare la differenza tra un aeroporto americano, europeo o asiatico. Supermercati e fast food riproducono la stessa struttura di corridoi e scaffali, addirittura i medesimi colori, con i camminamenti predisposti verso i luoghi di uscita e pagamento in cui predominano l’automatico e il fai da te. Spesso, nemmeno un cassiere per scambiare frasi standardizzate. I nonluoghi abituano a diventare non-persone, il grande traguardo a cui il Dominio ci avvia su binari di ferro. I nonluoghi si moltiplicano a ritmi vertiginosi, colonizzando luoghi e ambiti antichi, sino a occupare intere città. Strade e piazze non sono più punti di incontro, cammino e conversazione, ma semplici figure geometriche in cui muoversi il più velocemente possibile verso la destinazione, normalmente insignificante quanto il transito. Le persone restano isolate, non si riconoscono, vivono nel reciproco fastidio e sospetto, diventato timore ostile dopo l’esperimento pandemico. Moltissimi sono separati anche da caschi, cuffie, auricolari, mentre l’immagine più comune è l’individuo curvo, assorto sullo schermo dello smartphone. Si chiudono i vecchi spazi della naturale socialità umana, che da Aristotele in poi ritenevamo la caratteristica fondamentale della specie. I nonluoghi si espandono fino a diventare non-città e queste trasformano chi le abita in non-persone in transito. Sciame umano immerso in un presente continuo, individui anonimi che si muovono come insetti. Le caratteristiche dei non-luoghi sono l’anonimato, la ricerca di interessi esclusivamente individuali in un ambiente iper-regolato, in cui la convivenza spazio-temporale è casuale coincidenza in assenza di interesse per gli altri. Nel consumo compulsivo di esperienze, Internet e Ikea hanno trasformato le nostre case in nonluoghi e noi stessi in non-persone. E’ vitale avere la nostra stanza e il dispositivo mobile collegati in rete per evitare la catastrofe di dover trascorrere del tempo in compagnia, nel dialogo, nell’armonia o nel conflitto. Diventa indispensabile riempire gli individui di esperienze che soddisfino i desideri (capricci?) anche nelle residue relazioni familiari, per evitare la creazione di momenti e luoghi di forte identità, senso, significato. Spazi che nel mondo di ieri erano legati alle persone con cui li condividevamo. Il mondo cessa di essere un luogo di appartenenza per trasformarsi (cambiare forma ed essenza, il verbo preferito della Grande Transizione) in location funzionale di un’anonima esperienza umana che una volta si chiamava biografia. Oggi il modello preferito è il cliente che pretende, convinto di avere diritto a tutto nel lavoro, nella morale, nella sessualità, nel consumo. Esseri che si negano aggressivamente alla condizione di anime in cerca di senso, di bene, di verità e di bellezza, di riconoscimento nel volto degli altri, vagano tra nonluoghi nelle non-città della non-civiltà, dove sono a loro agio coloro che accettano di trasformarsi in non-persone. I nonluoghi producono non-cose. Un’altra stazione della Grande Transizione. Le cose reali scompaiono senza che ce ne accorgiamo. Il dominio del virtuale, dei dati e delle informazioni si spaccia per libertà. Le non-persone vivono nell’ordine digitale che de- realizza il mondo informatizzandolo. Non abitiamo più la terra né contempliamo il cielo, ci bastano Google Earth e il cloud. L’esistenza si trasforma in infosfera, il contenitore dei dati. Guidata dagli algoritmi, la non-persona perde volontà, autonomia, potere di agire. Assistiamo impotenti alla smaterializzazione della realtà. Scrive Buyng Chul Han ne Le non cose: “il dito è l’organo della scelta. L’uomo senza mani del futuro ricorre solo alle dita. Sceglie invece di agire. Schiaccia dei tasti per soddisfare i propri bisogni. Non vuole nemmeno possedere nulla, solo esperire e divertirsi”. E’ questo un sorprendente elemento caratteristico della non-persona in costruzione. Non vogliamo più avere qualcosa di nostro da custodire, amare, trasmettere. Lo spiega con chiarezza lo slogan di Klaus Schwab: non possiederai nulla e sarai felice. Perfino i ricordi perdono valore. Bisogna correre, vietato indugiare. In fondo, è la logica del transito. Le cose, come le persone, sono legami. Banditi perché diminuiscono la possibilità di fare esperienze, slegate da ogni giudizio di merito o di valore morale. Secondo Jeremy Rifkin perde importanza il concetto di proprietà, sostituito dall’accesso, cioè la possibilità di vivere esperienze. Le generazioni future percepiranno in forme diverse dalle nostre la stessa natura umana. Il possesso genera una certa intimità, una relazione con le cose impensabile laddove il reale è soppiantato dal virtuale e il naturale perde la sfida con l’artificiale. La storia degli oggetti che ci circondano e sentiamo nostri conferisce loro un’ anima, travolta dal flusso continuo del virtuale. Ma solo ciò che è “discreto”, ovvero costituito da elementi isolati, localizzati, può starci a cuore. Il possesso toglie alle cose il loro carattere di merce; il collezionista interessato alla storia degli oggetti che raccoglie è l’opposto del consumatore. Persona contro non persona, cose versus non cose. Perfino i libri non sfuggono al medesimo destino. Il libro elettronico ( e-book) non è un oggetto. Non lo si possiede, vi si accede. Manca il rapporto personale con la “mia” copia, su cui agisce la mano che sfoglia e personalizza, creando una relazione. Nonluoghi e non-cose sono caratterizzate dall’assenza di legami. Ma l’uomo in transizione, il viaggiatore senza bagaglio privo di una meta precisa, è una persona? La sua comunità d’elezione è la community virtuale delle piattaforme digitali. Revocabile, fluttuante, virtuale, scandita dal linguaggio binario dell’informatica: mi piace, non mi piace. Vivere tra non-cose priva del senso del tatto. Vince l’immagine, è la vista il senso decisivo. Nella comunicazione digitale l’Altro è sempre meno presente. L’oggetto culto della non-persona che abita nonluoghi è lo smartphone. E’ già riuscito a trasformare tutto in immagini; il passo successivo consisterà nel ri-creare il mondo partendo dalle immagini. Derealizza rendendo superflue molte cose, ridotte a informazioni. L’orologio da polso o da taschino, la sveglia, la pendola, non scandiscono solo il tempo, sono ornamenti, cose reali, oggetti personali. L’icona dell’ora esatta sullo smartphone è una non-cosa virtuale che fornisce un’informazione. Lo smartphone non deve essere bello: basta che funzioni, liscio e lineare, scabro, uguale a ogni altro, facile da usare con il sistema touchscreen. Ed è smart, furbo, poiché svolge una quantità infinita di funzioni in tempo reale. Il surrogato in miniatura del mondo, la moderna cornucopia, la non-cosa per eccellenza, simbolo di un potere benevolo che mette tutto a disposizione secondo piano tariffario. Sono cambiati anche i messaggi che inviamo attraverso il magico apparato: perdiamo la voce, ci limitiamo a digitare parole elementari sulle piattaforme dedicate, pronte a suggerirci i termini, le domande e le risposte. Se un apparato pensa al mio posto, sceglie le parole per me, divento una non-persona. La messaggeria Snapchat cancella immediatamente i contenuti: coglie l’attimo dell’accesso e ne fa subito tabula rasa. Transito nel nulla. L’era delle non-persone che si aggirano veloci tra nonluoghi rende estranei alle cose. La Grande Transizione resetta, riconfigura, omogeneizza, prende il sopravvento sulla realtà, sui fatti, sulla natura. Siamo sicuri di andare “avanti”?