Note a margine di un discorso di cent'anni or sono
di Mario Adinolfi - 02/01/2025
Fonte: Mario Adinolfi
Il discorso del 3 gennaio 1925 di Benito Mussolini che si assume la responsabilità “politica, morale, storica” dell’omicidio Matteotti è l’intervento parlamentare più rilevante della storia italiana perché cancella la democrazia nel Paese e instaura una dittatura durata vent’anni, preparando la via a quelle “leggi fascistissime” che fanno tabula rasa dei partiti politici, della libertà di associazione, della libertà di stampa e infine anche della libertà d’espressione.
Va di moda, da Scurati a Cazzullo alle serie tv, dipingere Mussolini come una sorta di volgare capobanda che con la violenza si è impadronito del potere, imponendosi agli italiani. Basta la lettura del discorso del 3 gennaio 1925 per capire che non è vero: Mussolini fu senza dubbio un dittatore e la sua principale responsabilità fu il totalitarismo fascista espresso con leggi liberticide. Ma non fu un capobanda: fu il politico più abile della storia italiana, sostenuto da un vastissimo consenso popolare (derivato anche da una non indifferente capacità di governo) oltre che dalle istituzioni e dai poteri diffusi del Paese: monarchia, Chiesa, ceto industriale e padronale, intellettuali e accademici. Al giuramento di fedeltà al regime imposto ai docenti universitari si sottrassero solo in dodici, la maggioranza dei quali arrivati all’età della pensione.
Parafrasando il discorso del 3 gennaio 1925 “se il fascismo è un’associazione a delinquere”, la stragrande maggioranza degli italiani è stata affiliata a quell’associazione a delinquere. La narrazione di un Mussolini cattivo che soggioga col calcagno un popolo italiano impaurito è, semplicemente, falsa anche se va di moda. Il fascismo è la più specchiata biografia della nostra nazione, Mussolini fu statista ammirato anche all’estero, gli italiani erano mussoliniani prima ancora che iscritti al Pnf. Dirlo fa paura perché il fascismo fu anche leggi razziali, alleanza con Hitler, stragi e deportazioni. La verità è che quando gli ebrei romani furono rastrellati e messi sui vagoni piombati destinazione Auschwitz, gli italiani non solo lasciarono fare ma collaborarono chi col silenzio chi addirittura col consenso: su La Difesa della Razza, non dimentichiamolo mai, scrivevano anche Amintore Fanfani e Giovanni Spadolini, Indro Montanelli e Giorgio Almirante, che sarebbero poi diventati protagonisti assoluti dell’Italia repubblicana. E i vari Eugenio Scalfari e Dario Fo, Pietro Ingrao e Norberto Bobbio hanno trascorso la vita intera a cercare di far dimenticare il loro entusiastico sostegno giovanile a Mussolini.
Non faremo mai pace con la nostra storia se non la finiremo con la contraffatta narrazione di un Mussolini capobanda volgarotto e grottesco che per una sorta di ipnosi collettiva si è impadronito dell’Italia. Il fascismo fu violento ma erano violenti anche socialisti e comunisti, il biennio rosso che precedette la marcia su Roma del 28 ottobre 1922 fu carico di atti di sopraffazione provenienti da una sinistra che mirava ad una sollevazione rivoluzionaria di stampo sovietico che, ricordiamolo, nel 1917 in Russia si era concretamente realizzata e dunque non era un generico spauracchio, ma una opzione considerata come realistica e praticabile tramite azioni cruente. Gli italiani, spaventati da quella prospettiva, si affidarono a Mussolini e per decenni lo sostennero. Così è andata.
Gli italiani furono complici di quell’uomo che il 3 gennaio 1925 poteva essere spazzato via dalla storia e invece se ne impadronì con il discorso parlamentare più importante di sempre. Questa è la nostra vicenda nazionale, può non piacerci ma non possiamo raccontarla in altri modi troppo platealmente falsi per essere accettabili. Cazzullo, Scurati, le serie di Sky con quel Marinelli che in ogni intervista si dichiara “antifascista”, non dicono la verità. E finché non ci diremo la verita fino in fondo, non potremo chiudere una pagina storica che viene usata per una polemica politica stucchevole quanto insensata, per cui ogni nuovo leader che sia Craxi o Berlusconi, la Meloni o persino Renzi, diventa “fascista” perché sgradito all’establishment di una sinistra che oggi come allora non sa ottenere democraticamente il consenso della maggioranza degli italiani, perché da essi vista come menzognera e sostanzialmente oppressiva.
L’invito è a rileggere la nostra storia nazionale senza le lenti dell’ideologia. Vedrete che è una storia appassionante, ricca di miserie e di grandezze perché di miseria e grandezze è composto l’animo degli italiani, che furono fascisti e poi si trasformarono tutti in antifascisti partigiani resistenti, secondo una cifra comportamentale che è il vero tratto caratteristico del nostro popolo: il conformismo rispetto al potere, il trasformismo permanente. Un po’ di salutare bagno di verità rispetto a ciò che è stato, può farci solo bene.