Note a margine (su una ragazza in dèshabille)
di Enrico Tomaselli - 04/11/2024
Fonte: Giubbe rosse
Non cessa mai di stupirmi la facilità con cui si reagisce agli impulsi 'giusti', siamo sì un po' tutti dei cani di Pavlov...
Virale fa - ahimé - rima con banale, ed è ovvio, ha una sua logica.
Per quanto riguarda il caso della ragazza di Teheran, immediatamente eretta a coraggiosa paladina della libertà femminile, senza però saperne molto realmente, mi vengono due sole osservazioni.
La prima è che, come si vede chiaramente dal video e dalle foto, non se la fila praticamente nessuno; non c'è scandalo, non c'è irrisione, non c'è nemmeno curiosità, semplicemente scivola via come se niente fosse. Se una ragazza si mettesse in mutande e reggiseno al Vomero (o in qualunque altro posto...) susciterebbe assai più attenzione (e sicuramente verrebbe prima o poi fermata dalla Polizia...).
La seconda è che prendiamo per buona la spiegazione che viene data (da chi? chi ha iniziato a diffondere queste immagini?), solo perché corrisponde ai nostri bias. C'è infatti una narrazione alternativa, secondo la quale - sulla base di quanto detto dai suoi colleghi - la ragazza stava attraversando un momento di acuto stress, e non era particolarmente in sé. Il che, tra l'altro, spiegherebbe l'indifferenza degli altri studenti, come sapessero qual'è il problema.
In ogni caso, non sappiamo quale delle due versioni sia vera, ma ne adottiamo una solo in quanto si allinea alle nostre convinzioni pregresse. Siamo estremamente manipolabili.
Ma in realtà ciò su cui mi interessa puntare l'attenzione è altro, e sta a monte del caso specifico.
Ed è il risultato perverso derivante dall'incrocio di due sostrati culturali occidentali. Il primo è quello su cui si è sostanzialmente fondato il colonialismo, e cioè che gli europei (e per estensione gli occidentali) siano più 'evoluti', più 'civilizzati', rispetto ad altri popoli, ad altre civiltà e - quindi - ad altre culture. Il secondo è un malinteso senso dell'internazionalismo, in base al quale riteniamo giusto - se non proprio 'esportare la democrazia' (con gli F-35 e i carri armati) - certamente esportare, in un modo o in un altro, la 'nostra' idea di progresso e di civiltà.
Questo 'accecamento ideologico' si manifesta poi clamorosamente quando risulta evidente che noi siamo, né più né meno, uguali e contrari rispetto a coloro che vorremmo 'civilizzare'.
Ad esempio, io non vedo gran differenza tra l'imposizione di una qualche velatura sui capelli delle donne, quale è in vigore in Iran, cosa che naturalmente non tutte le donne condividono e gradiscono, ed il divieto assoluto di farlo che vige in molti paesi occidentali, anche se le donne vorrebbero. La sola differenza, come risulta evidente, non è tra libertà ed imposizione, ma nella pretesa di stabilire noi cosa sia giusto erga omnes.
Per tacere del fatto che, sotto questo profilo, ci sono paesi (tipo Arabia Saudita) nei quali queste forme di imposizione culturale sono assai più stringenti, ma essendo più o meno importanti amici dell'occidente si sorvola assai più allegramente.
Il nocciolo di tutta la questione, in fondo, è proprio questo. Se non smettiamo di assumere l'idea che il nostro modello di società, comunque declinato e sotto qualunque aspetto, non sia semplicemente il prodotto della 'nostra' storia', della 'nostra' evoluzione culturale, e che quindi altre storie, altre culture, siano approdati legittimamente a modelli differenti, ma che invece sia quello 'buono', per chiunque ed ovunque, non potrà che conseguirne una mancanza di rispetto per il diverso. Che non significa condividere ogni aspetto di una cultura 'altra', ma semplicemente non pensare alle diversità culturali come ad una implicita scala gerarchica.
Gli Stati Uniti d'America, nella loro versione migliore, sono sempre stati animati dall'idea che il loro fosse il miglior sistema del mondo, e che bisognava quindi fare il mondo intero come l'America.
Dove abbia portato quest'idea perversa è sotto i nostri occhi.