Nustérze o poscrà
di Giorgio Agamben - 06/03/2023
Fonte: Quodlibet
«Non credo nel domani, forse nel dopodomani» ha scritto Joseph Roth. In cosa credo io? Né nel domani, né nel dopodomani – forse nel poscrà o pescridde, come mi pare si dica in pugliese il giorno che segue al posdomani. Ma in verità credo piuttosto nel nustérze (nell’avantieri) o nel giorno prima dell’avantieri. Sono la comprensione e la conoscenza del passato che oggi mancano, e non soltanto ai più giovani. Ma è forse il tempo che manca, in tutte le sue estasi e forme, perché il futuro che le ha divorate è vuoto e nessuno più ci crede, mentre il presente è per definizione invivibile. Il tempo di cui abbiamo bisogno non è, però, nessuno di questi: è aion o eone, che gli antichi raffiguravano come un giovinetto con le ali ai piedi in bilico su una ruota, che si può afferrare solo per un ciuffo che ha davanti alla fronte – l’occasione – e, se lo lasci passare, sei perduto per sempre.
Aion è il colore del tempo, il tempo della vita, e, come recita un proverbio messicano, questo tempo speciale non manca mai, ay mas tiempo que vida – forse perché questo tempo e la vita sono la stessa cosa. È un tempo che non si può contare, che si può esprimere solo con avverbi e mai con numeri: ora, già, sempre, ormai, presto, tardi, ancora, mai, poscrà… Il problema è che non siamo più vivi e l’occasione è appunto quella di ridiventare o diventare vivi («farsi vivi», come si dice), di riprenderci il tempo, non importa come né quando, se non oggi piuttosto avantieri che poscrà. Intorno a noi ci sono solo mummie, cadaveri che pretendono di dirigere la propria esumazione e ci tormentano con decreti e notizie per farci partecipare alla loro sinistra cerimonia. È con queste mummie che dobbiamo rompere, solo se ce le lasciamo alla spalle è possibile che, nustérze o poscrà, il giovinetto alato ci venga incontro col suo ciuffo – e questa volta no, non ce lo faremo scappare.