Oltre Destra e Sinistra
di Andrea Zhok - 29/07/2022
Fonte: Andrea Zhok
Il nuovo terreno politico che ci si offre deve partire dal riconoscimento del carattere oggi obsoleto e fuorviante dell’opposizione storica tra destra e sinistra. Questo rigetto non va inteso come una moda da cavalcare, ma come la comprensione della fine di un’epoca. Destra e sinistra sono da sempre opposizioni prive di un’identità stabile: a partire dall’origine nella Rivoluzione francese, destra e sinistra hanno rivestito ruoli e incarnazioni diversissimi. Esistono identità teoriche del socialismo, del comunismo, del liberalismo, del tradizionalismo, del conservatorismo cattolico, del giusnaturalismo cristiano, ecc. ecc., ma non esiste un’identità della “destra” o della “sinistra”, se non nella contingenza di più o meno vaghe espressioni giornalistiche.
Nell’ultimo trentennio tanto i partiti sedicenti di destra che i partiti sedicenti di sinistra hanno contribuito ad alimentare e rinforzare un modello liberale e globalista di società. Entrambi hanno contribuito all’adozione di strategie che hanno liquefatto il tessuto sociale, sradicato gli individui, minato il funzionamento di famiglie e comunità territoriali. Entrambi hanno contribuito ai processi di privatizzazione di beni e servizi pubblici senza attenzione ad interessi strategici nazionali; entrambi hanno supportato la cessione di sovranità ad organismi sovranazionali; entrambi hanno accompagnato l’erosione del welfare e delle tutele del lavoro; entrambi hanno sostenuto una modernizzazione di facciata dell’istruzione pubblica che ne ha decretato il tracollo. Entrambi hanno sostenuto il progressivo passaggio da un ordinamento democratico ad un ordinamento tecnocratico, dove la sovranità viene delegata ad élite opache di sedicenti “competenti”.
Questa convergenza sostanziale di destra e sinistra, che è stata possibile a causa della loro identità intrinsecamente labile, ha rappresentato una vera e propria manovra di camuffamento, un inganno per dissimulare le proprie linee dominanti all’elettorato. Naturalmente non tutto ciò che è cresciuto all’ombra di forze che si pensavano di destra o di sinistra è da buttare, né tutti i singoli protagonisti che vi si sono riconosciuti erano in malafede. Tanto nella destra che nella sinistra sono esistite – per quanto minoritarie – linee di sviluppo critiche del liberalismo, del quale si riconoscevano le tendenze distruttive ed autodistruttive. Ma questa residua vigilanza critica è stata travolta dalla logica del “fronte comune”: contro la destra a sinistra e contro la sinistra a destra. Nonostante la sostanziale intercambiabilità delle politiche, questo trucco retorico, questo appello a compattarsi contro il “nemico” ha funzionato per decenni, consentendo ad una politica senza idee né principi, che non fossero gli interessi del grande capitale, di imporsi senza remore.
Chi a sinistra conservava una diffidenza nei confronti degli imperativi del mercato ha finito comunque per sostenere tutte le forme di dissoluzione dei legami umani (famigliari, affettivi, territoriali, comunitari, tradizionali, naturali, religiosi), in modo perfettamente funzionale a produrre individui isolati alla mercé del mercato, a produrre soggetti fragili, liquidi, pronti a coprire posti da ingranaggio nella macchina globale.
Chi a destra vedeva con sospetto i processi di dissoluzione dei legami famigliari, territoriali, tradizionali, ecc. ha finito comunque per sostenere a corpo morto forme di mercatizzazione generalizzata della società, quando non di vero e proprio darwinismo sociale, alimentando così proprio le forme sociali che devastavano quei legami che si diceva di voler difendere.
Nel contesto del cosiddetto “crollo delle ideologie” l’accoppiata destra-sinistra è perciò divenuta un vero e proprio trucco cosmetico funzionale a mantenere in sella alcuni sopravvissuti delle ideologie che furono, mentre di fatto veniva imposta – travestendola da realtà ultima – l’ideologia onnicomprensiva del neoliberalismo. L’esigenza di mobilità della forza lavoro sul mercato mondiale è stata dipinta strumentalmente come “flessibilità”, “dinamicità”, o persino invocata nel nome dell’“accoglienza” e dell’“ospitalità”. Le richieste di affidabilità poste dal grande capitale, tutelato dalla BCE, sono state presentate come orgoglioso europeismo, in opposizione a biechi nazionalismi. Le esigenze di avere capitale umano sempre illimitatamente a disposizione è stato raccontato come “liberazione dai vincoli oppressivi della famiglia”. La tendenza liberalcapitalistica alla liquefazione di ogni legame, che siano luoghi, persone, culture o tradizioni, è stata presentata come forza emancipativa, che finalmente consentiva agli individui di esprimere le proprie potenzialità (mentre in effetti creava generazioni di individui sempre più solitari e disorientati).
Questo gioco ha fatto il suo tempo. Se vogliamo riaprire lo spazio di una speranza politica fertile dobbiamo lasciarci l’opposizione categoriale tra destra e sinistra definitivamente alle spalle, rompendo l’inerzia di abitudini concettuali e verbali oramai del tutto ingannevoli.