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Omertà e complicità dei media: il caso Bill Clinton

di Francesco Lamendola - 06/12/2020

Omertà e complicità dei media: il caso Bill Clinton

Fonte: Accademia nuova Italia

Che i Clinton siano gente pericolosa, marito e moglie, ormai lo si è capito anche se solo assai tardi, in particolare dopo l’esplosione del Pizza Gate, l’esternazione delle simpatie sataniste della loro figlia Chelsea e il venir fuori di chiacchiere sempre più inquietanti, specialmente sulla signora Hillary, che ci teneva tanto ad essere eletta anche perché sarebbe stata la prima donna della storia a traslocare alla Casa Bianca. Quel che molti non sanno, sicuramente i più, è che su Bill Clinton giravano voci molto, molto strane da ben prima che fosse eletto, per due mandati consecutivi, nel 1993 e nel 1997, alla presidenza degli Stati Uniti, e in particolare al tempo in cui svolgeva la funzione di governatore dell’Arkansas, anche questo per due volte, nel 1979-81 e dal 1983 al 1992. Voci che coinvolgevano il traffico di stupefacenti, armi e denaro intorno alla pista d’atterraggio di Mena, la connessione Iran-Contra e tutta una serie di affari oscuri legati ai servizi segreti, basati sul commercio della droga per finanziare operazioni sporche in diversi scenari internazionali, dal Medio Oriente all’America centrale. Fin qui, si dirà, la cosa non è poi tanto strana, almeno nell’ottica della superpotenza statunitense, per la quale simili operazioni sono praticamente di routine, anche se i mass-media hanno il buon gusto di parlarne il meno possibile, tanto più che si tratta di operazioni riservate e i responsabili della CIA si guardano bene dal divulgarle alla stampa. Che uomini politici importanti, governatori di Stati e aspiranti alla presidenza, vi siano coinvolti, neanche questo è da considerarsi eccezionale, tanto più che chi è al potere, o riesce ad arrivarci, possiede poi i mezzi, il movente e l’occasione di ripulire il proprio passato e far sparire ogni traccia compromettente, almeno fino a quando non dovesse mobilitarsi l’opinione pubblica e i giornalisti cominciassero a fare sul serio il loro mestiere. Quel che esce decisamente dalla routine è l’estrema frequenza di morti accidentali, strani suicidi e altre gravi disavventure verificatesi nei paraggi dell’aeroporto di Mena e nello Stato dell’Arkansas al tempo in cui Bill Clinton era governatore. Potremmo estendere il discorso agli anni del suo duplice mandato presidenziale, e naturalmente a quelli della presidenza Trump, durante i quali la sua gentile consorte, sconfitta nella corsa alla Casa Bianca del 2016, ha formato con l’ex presidente Barack Obama, il marito e qualche altro personaggio del Partito Democratico una sorta di governo ombra, che in effetti è riuscito a pesare sulla vita degli Stati Uniti più del governo legittimo, avendo dalla sua parte la quasi totalità dei mass-media, della grande finanza e dei servizi segreti. E nel mondo contemporaneo, specialmente negli Stati Uniti d’America, chi ha dalla sua i giornali, le televisioni, il cinema e quasi tutti gli attori di Hollywood e dei divi dello spettacolo, ha in mano il potere effettivo.

Scriveva ben vent’anni fa David Icke (in: … e la verità vi renderà liberi; titolo originale: … and the thruth shall set you free; traduzione di Iliaria Piccioli, Macro Edizioni, 2001, pp. 399-400):

 

In questo periodo si moltiplicarono gli omicidi e le morti sospette. Il 23 agosto 1987 due ragazzi, Kevin Ives e il suo amico Don Henry si trovarono a passeggiare nelle prime ore del mattino nella zona della pista d’atterraggio di Mena. Più tardi furono ritrovati morti su un binario ferroviario. L’ispettore medico di Stato, Fahmi Malak, un uomo nominato da Bill Clinton, sentenziò che si trattava di morte accidentale. Ma i genitori non erano d’accordo ed espressero il desiderio di sentire il parere di qualcun altro. Una richiesta che incontrò resistenza su tutti i fronti da parte delle autorità. Vinsero una causa in tribunale che stabiliva che, per avere un secondo parere, avevano diritto di avere i campioni  di tutto quello che era in possesso del laboratorio criminale, ma Malak rifiutò di metterlo a disposizione. In seguito, un esame compiuto da altre fonti accertò che Don Henry era stato pugnalato alla schiena e che il cranio di Kevin Ives era stato completamente fracassato prima che i due fossero trascinati sui binari della ferrovia. Ma Malak continuava a sostenere che si era trattato di un incidente. Entrambi i ragazzi si erano addormentati sui binari, disse. È esattamente il posto che tutti sceglierebbero per fare una dormita, no?

Sei persone che parlarono alla polizia dell’omicidio dei due ragazzi   furono a loro volta uccise. Keith McKaskie  sapeva a che cosa sarebbe andato incontro. Salutò la sua famiglia e i suoi amici nel 1988 e qualche giorno dopo venne assassinato. L’anno seguente Jeff Rhodes, un giovane di Benton, in Arkansas, telefonò a suo padre per dirgli che doveva lasciare la città perché sapeva troppe cose della morte dei ragazzi e di McKaskie. Due settimane dopo Rhodes fu trovato morto. Keith Coney stava fuggendo per mettersi in salvo sulla sua motocicletta quando scontrò un camion; a Gregory Collins spararono; Richard Winters e Jordan Ketelson furtono entrambi uccisi dai colpi di una doppietta. Il capo della “task force” antidroga della Contea di Saline, che aveva in mano le prove del coinvolgimento del Dipartimento di polizia dell’Arkansas nel traffico di stupefacenti e nell’insabbiamento  delle prove dell’omicidio dei due ragazzi, fu costretto a tacere. Tutte queste cose accadevano mentre il Presidente  Clinton era Governatore dell’Arkansas.

Fare indagini su Bill Clinton o dichiarazioni contro di lui sembrerebbe quindi, sulla base di infiniti riscontri, un’attività assai pericolosa. Danny Casolaro, un giornalista che svolgeva indagini su Clinton e su un presunto racket di obbligazioni, venne trovato morto in un albergo della West Virginia. Paul Wilcher, un avvocato di Washington, stava facendo indagini su Clinton e avrebbe dovuto incontrare l’ex legale di Danny Casolaro. Wilcher fu trovato morto sul water del bagno del suo appartamento. Il pubblico ministero Charles Black chiese al Governatore Clinton fondi per continuare l’indagine sul traffico di droga di Mena. Il denaro non arrivò mai, ma la madre di Black venne brutalmente assassinata. La polizia disse che non c’era alcun legame tra le due cose. Ed Willey, il direttore del comitato per i finanziamenti alla campagna di Clinton, fu ucciso a colpi di pistola. Verdetto: “suicidio”. John Wilson, un consigliere comunale di Washington che si dice stesse per svelare i giochi sporchi di Clinton, fu trovato impiccato nel 1993. Verdetto: “suicidio”. Kathy Ferguson, la moglie di Danny, poliziotto dell’Arkansas e guardia del corpo di Clinton, parlò di una serie di storie a sfondo sessuale che vedevano coinvolto Clinton, e disse che suo marito aveva condotto Paula Jones nella stanza d’albergo di Clinton, dove quest’ultimo pare si sia tirato giù i calzoni in segno di profferta. Kathy Ferguson fu trovata morta con una pistola in pugno. Verdetto: “suicidio”. Il marito Danny allora negò il legame tra Clinton tra Clinton e Paula Jones. Danny è ancora vivo. Paula Jones sostiene che Kathy stesse dicendo la verità. Jon Parnell Walker, un dirigente investigatore della Trust Resolution Corporation faceva pressioni per un’indagine sulla società ormai fallita. Madison Guaranty Savings and Loan, legata a Clinton nell’ambito del cosiddetto ”Affare Whitewater”. Cade da balcone di un moderno appartamento di Arlington, in Virginia, Verdetto: “suicidio”. C. Victor Raider II fu copresidente della campagna presidenziale di Clinton, ma fu poi eliminato. Raider e suo figlio, Montgomery, morirono quando il loro piccolo velivolo cadde. Herschel Friday era un membro del comitato di Raider e un pilota esperto. Morì quando il suo aereo esplose. Il dentista Donald Rogers si stava recando da un giornalista per parlare di Clinton quando il suo aereo precipitò, nonostante le ottime condizioni atmosferiche. Luther “Jerry” Parks di Little Rock aveva compiuto uno studio sui trascorsi sessuali di Clinton. Clinton gli doveva 81.000 dollari in cambio delle guardie del corpo che gli aveva messo a disposizione durante la campagna presidenziale, e sua moglie disse che aveva minacciato di rivelare le cose che sapeva se non fosse stato pagato. Lo uccisero sparandogli il 26 settembre 1993.

 

E questo è solo un breve estratto di un libro di centinaia di pagine, di un autore che ha scritto una decina di libri per migliaia e migliaia di pagine complessive, dense di nomi, di fatti, di riferimenti  precisi. Anche se non tutto è condivisibile e anche se si dovesse mettere fra parentesi i nove decimi della sua opera, resta pur sempre una mole imponente di dati circostanziati sui quali riflettere. Per quanto riguarda le vicende descritte in questa pagina, quando Bill Clinton era solo governatore dell’Arkansas, il minimo che si possa dire è che negli anni della sua amministrazione vi è stata una sequenza impressionante di coincidenze il cui filo conduttore è dato dalle morti improvvise, accidentali o dovute a omicidio e suicidio, di una serie di persone che si erano trovate nel posto sbagliato al momento sbagliato o avevano avuto a che fare, a vario titolo, con lo staff del governatore e probabilmente erano venute a conoscenza di cose che avrebbero fatto bene a tenere per sé, o sulle quali vi era motivo di dubitare che sapessero mantenere il silenzio. Certo, potrebbero essere anche solo delle coincidenze: statisticamente parlando, però, la possibilità che siano state veramente tali è molto prossima allo zero. L’esperienza insegna che due coincidenze sono già abbastanza; dalle tre in su, bisogna cominciare a ragionare in altro modo. Ora, chi conosce un po’ da vicino il clan dei Clinton, perché di un vero clan si tratta, sa che vi avvengono cose un po’, come dire, strane; ad esempio, che Bill Clinton si è recato almeno una trentina di volta sull’isola caraibica del defunto Jeffrey Epstein, dove si faceva sesso con ragazzine e bambine truccate da adulte, e questa era forse solo la facciata di qualcosa di ancor più oscuro e tenebroso. Strano a dirsi, la caduta di Epstein e il marchio d’infamia che l’ha accompagnato, non hanno minimamente sfiorato i suoi facoltosi ospiti, e in particolare Bill Clinton; al contrario, pare che la magistratura americana fosse impegnata in tutt’altre faccende, ad esempio nel voler dimostrare l’indimostrabile coinvolgimento di Donald Trump in una storia di spionaggio e tradimento a favore della Russia di Putin, pur di ottenere la propria elezione alla Casa Bianca. Né si può passare sotto silenzio il ruolo inquietante svolto dai mass-media, sia per ciò che hanno detto, sia, come nel caso degli strani incidenti dell’Arkansas negli anni ’80 e ’90, per ciò che hanno completamente taciuto. Non è strano che un giornalismo d’inchiesta robusto e agguerrito come quello d’oltre Atlantico, si sia lasciato sfuggire interamente l’occasione di approfondire la catena di morti misteriose che hanno funestato l’entourage di Bill Clinton quand’era governatore, o la cerchia dei suoi potenziali detrattori e testimoni a carico per i presunti traffici di droga e armi che transitavamo frequentemente attraverso il suo Stato? Non è strano che le grandi firme dei giornali newyorchesi, così come i giovani reporter a caccia di scoop sensazionalistici per farsi un nome nel mondo della carta stampata, abbiano letteralmente ignorato tutto quel che accadeva intorno al governatore Clinton, e abbiano seguitato a girar la testa dall’altra parte anche dopo che questi era stato eletto alla Casa Bianca, come se non fosse di prassi andare a spulciare i trascorsi di un neopresidente, nella speranza inconfessabile di trovarvi materia per delle congetture più o meno fondate sui fatti, ma comunque sempre gradite al pubblico? E stiamo parlando di un presidente che, unico caso nella storia degli Stati Uniti, ha rischiato l’impeachement per una squallida storia di sesso con una giovanissima stagista, Monica Levinsky, e che si è macchiato, agli occhi dei suoi concittadini, della colpa gravissima di aver loro mentito, sostenendo, in perfetta malafede, di non aver mai conosciuto la ragazza, salvo poi dover ammettere, in un’umiliante confessione televisiva, che la conosceva eccome, dato che aveva avuto con lei diversi rapporti orali, nel pieno della sua campagna elettorale. Noi siamo soliti immaginare gli Stati Uniti come un Paese dove le grandi cosche criminali sono capaci, sì, di eseguire delitti a catena per ridurre al silenzio dei potenziali accusatori, ma non dove a fare quelle cose sono i servizi segreti o agenti della polizia. Il quadro che emerge dall’inchiesta di David Icke, invece, dice esattamente questo, e fa somigliare il potenziale criminale delle pubbliche autorità statunitensi a quello che ci si aspetterebbe da una bieca dittatura centro-africana o latino-americana.

Non vi è alcun motivo di rallegrarsi, però, al pensiero che simili cose possono accadere, nel silenzio assordante della stampa e della televisione, solo in un Paese come gli Stati Uniti, dove tutto è gigantesco e quindi lo sono, se lo sono, anche i crimini di cui è capace il potere, dietro la fragile verniciatura democratica. In Italia le cose vanno allo stesso modo, se non peggio, e da sempre. Per gli Stati Uniti, probabilmente il punto di svolta si colloca nel 1963, con l’assassinio, mai chiarito, di J. F. Kennedy: a partire da allora, tutti i presidenti americani, liberali e conservatori, sono stati in qualche modo manovrati da forze invisibili, detentrici però del potere reale, il cosiddetto Deep State. Per l’Italia, lo Stato profondo nasce addirittura con la Repubblica del 1946: è noto il ruolo svolto dalla mafia nell’invasione angloamericana del 1943, così come è noto che lo Stato non ha mai lottato a fondo contro di essa, e se lo ha fatto, è uscito regolarmene sconfitto (Dalla Chiesa, Falcone, Borsellino) perché la mafia gode in alto loco di protezioni e connivenze insospettabili e innominabili.  E che dire del terrorismo degli anni ’70, ampiamente infiltrato dai servizi segreti, non solo italiani? E chi non ricorda l’assassinio di Pecorelli, reo d’aver curiosato forse troppo negli ambienti massonici?