Ora è ufficiale: le elezioni americane erano truccate. Parola di Time
di Roberto Pecchioli - 07/02/2021
Fonte: Accademia nuova Italia
Ora è ufficiale: c’è la confessione, la pistola fumante. Le elezioni presidenziali americane erano truccate. Lo afferma, e se ne vanta, la più importante rivista liberal del mondo, Time, la stessa che ogni anno nomina “la persona dell’anno”, portavoce dei padroni universali. In un lungo, trionfalistico reportage intitolato The Secret History of the Shadow Campaign That Saved the 2020 Election, la storia segreta della campagna –ombra che ha salvato l’elezione del 2020, il settimanale che piace alla gente che piace – e che conta – spiega in termini di epopea, nella più schietta tradizione americana, con tanto di happy end, che, sì, le elezioni presidenziali del novembre scorso sono state truccate.
Nel miglior stile orwelliano, il bispensiero liberal progressista e democratico attribuisce all’avversario – no, al nemico assoluto– le proprie intenzioni. Era il malvagio Trump ad avere sequestrato l’immacolata democrazia a stelle e strisce, lui e i suoi scherani ad aver instaurato la dittatura. L’operazione che Time rivela nei particolari sarebbe stata dunque la necessaria reazione alle mire autocratiche dell’uomo nero. Il finale della ricostruzione di Time è chiarissimo: “alla fine ha vinto la democrazia. La volontà del popolo ha prevalso. Ma è assurdo, retrospettivamente, che ci sia stato bisogno di tutto questo per organizzare un'elezione negli Stati Uniti d'America.” Arriva il Settimo Cavalleggeri e il bene trionfa. Verità è menzogna, come nella distopia di 1984.
La cospirazione, ovvio, è stata messa in atto per il bene del mondo e si è concretizzata nell’alleanza tra attivisti di estrema sinistra (Black Lives Matter e altri) e i vertici del sistema economico e affaristico americano. L’estrema destra economica e l’estrema sinistra unite contro il Male, all’ombra dello Stato profondo e dei giganti fintech che dal 2016 non hanno smesso di lottare contro Trump. Pas d’ennemi à gauche, non ci sono nemici a sinistra per il capitalismo terminale, come teorizzò il radicale francese René Renoult negli anni Trenta del secolo scorso.
Qualcuno ricorda la violenta campagna tesa a dimostrare l’interferenza russa nelle elezioni del 2016, gli attacchi giudiziari, il dispiegamento di tutte le armi di cui dispone il potere – economico, finanziario, “riservato” – per cancellare l’anomalia Trump? La realtà è che gli Usa sono ormai un regime a partito unico. Niente di veramente nuovo, poiché i due partiti, democratico e repubblicano, rappresentano sostanzialmente gli stessi interessi, ma la maschera è caduta. Un dato esemplare è il risultato elettorale di Washington D.C., la capitale in cui risiedono lobbisti e alti funzionari federali; il 94,5 per cento di essi ha votato democratico, il partito unico della libertà, del progresso e del sistema. Un risultato in stile Unione Sovietica.
Lo stesso Joe Biden, l’opaco esponente dell’establishment scelto come volto della restaurazione, nel primo discorso da presidente ha usato toni durissimi contro un supposto “terrorismo interno”, utilizzando un linguaggio sino a ieri riservato alle guerre contro nemici esterni. L’America è irrimediabilmente divisa e chi non è dalla parte “giusta”, quella del destino manifesto, della “città sulla collina”, ovvero chi non è dalla parte degli iperpadroni, è trasformato in sedizioso, uno straniero in patria, un “deplorevole” da combattere con tutte le armi. Si è creato nell’élite liberal un manicheismo radicale che presenta l’avversario come il male assoluto, nel tradizionale stile americano. La missione è sempre la stessa: una crociata “morale” del bene contro il male.
La novità è che questa volta il nemico è interno. La “nobile” menzogna, la maschera che dissimula la cinica convenzione che sostiene la democratica americana, è caduta. I vincitori sono così forti da vantarsi di ciò che hanno fatto, a futura memoria e a monito preventivo nei confronti di chi osasse sfidare il monopolio. Già nelle scorse settimane, dall’ osservatorio socialista di Bernie Sanders erano stati sollevati dubbi. Un informatico di sinistra, Matt Luceen, ha dichiarato al Washington Post che non crede nella sincerità di Trump, ma che i suoi elettori si sono visti privati del loro diritto, unendosi alla protesta contro il voto elettronico.
I democratici – il cui nome appare sempre più orwelliano- hanno presentato una proposta di legge orientata a derogare l’articolo 1 della costituzione americana. Il Congresso avrà il potere di supervisione sulle elezioni federali, ovvero determinerà le regole del voto, a partire dall’ufficializzazione e ampliamento dei sistemi di voto elettronici e postali, gli stessi che hanno riportato al potere i democratici. Addirittura non sarà più obbligatorio esibire documenti. “Gli Stati non dovranno più esigere documenti per ottenere la dichiarazione di elettore assente per il voto postale.” Il resto lo farà il sistema, ossia chi detiene il controllo dei software per il voto elettronico, come la chiacchierata Dominion. Una parte in causa- il parlamento – diventa il decisore di ultima istanza delle procedure e dei meccanismi delle votazioni. Tanto vale abolire il circo elettorale, diventato finzione, un teatro di quart’ordine con tanto di vincitore predeterminato, opposizione di facciata ed esclusione preventiva di chiunque voglia cambiare il sistema.
Nessuno stupore, dunque, nelle periferie dell’impero come l’Italia consegnata a Draghi e ai poteri di fatto, se la democrazia e le costituzioni sono piegate ad interessi e procedure da cui è espulsa la volontà popolare. O meglio, quella volontà è piegata, orientata dalla potenza dell’apparato di comunicazione globale in mano ai super ricchi. Giano Accame scrisse negli anni Novanta un libro esemplare: Il potere del denaro svuota la democrazia. A quel potere si è unito nel secolo XXI l’immenso dominio di sorveglianza e predizione della tecnologia, che qualcuno chiama algocrazia, il potere degli algoritmi, i modelli matematici in grado di conoscere e determinare la vita di miliardi di esseri umani.
Le rivelazioni di Time, con la massima sfrontatezza, ammettono e rivendicano che un’alleanza tra attivisti, personalità di grande influenza e centinaia di grandi imprese ha lavorato nell’ombra per cambiare i meccanismi procedurali e determinare l’esito elettorale. Dunque, ci fu davvero un complotto – se preferite, un’azione coordinata – per dare la vittoria al candidato democratico. Lo riconoscono gli stessi che tacciavano di “cospiranoici” i sostenitori di quella tesi nel campo avverso. In una dichiarazione del 2 dicembre- era ancora titolare di account su Twitter e Facebook, Trump affermava: “siamo stati testimoni, a pochi giorni dalle lezioni, di uno sforzo orchestrato per indicare il vincitore (usò il termine “ungere”, consacrare) mentre ancora si stavano scrutinando molti stati chiave “. In un certo modo, Trump aveva ragione, ammette Time, che rivendica con orgoglio i fatti, definendoli “una cospirazione per il bene della nazione “. Democrazia a sovranità limitata, il contrario di ciò che volevano i fondatori, nonché l’inganno perfetto ai danni del popolo ex sovrano.
L’ammissione viene dal più alto livello: l’élite statunitense ha lavorato per dirigere i mezzi di comunicazione, influire sull’opinione pubblica e cambiare le regole elettorali, ma per la causa più nobile di tutte: “salvare la democrazia americana”, sequestrata da un solo uomo. “Sono stati presi accordi riservati che ridussero le proteste e coordinarono la resistenza dei CEO, i dirigenti della grandi imprese. E’ stato il risultato di un’alleanza informale tra attivisti di sinistra e giganti delle imprese. Il patto è stato formalizzato in una dichiarazione congiunta, tenuta riservata, tra la Camera di Commercio degli Stati Uniti e il sindacato AFL-CIO, pubblicata il giorno delle elezioni. Le due parti lo considerarono una sorta di negoziazione implicita, ispirata alla massicce proteste, a volte distruttive, verso la giustizia razziale dell’estate (l’uccisione di un uomo di colore, George Floyd, da parte di un poliziotto bianco), nella quale le forze del lavoro si unirono con le forze del capitale per mantenere la pace e opporsi all’assalto alla democrazia di Donald Trump “. Formidabile l’immagine dei super manager “partigiani “; la Pravda moscovita e l’Unità di Togliatti non avrebbero saputo girare meglio la frittata. Gli incidenti che tennero in scacco gli Usa furono infatti organizzati dagli stessi che, al fischio del padrone, sono tornati a casa per non innescare una reazione di opinione pubblica favorevole a Trump.
Time conferma che la vittoria (artificiale?) di Biden è stata “lo straordinario sforzo nell’ombra degli attivisti di sinistra con l’appoggio delle grandi corporazioni economiche. Sono riusciti a far sì che molti Stati modificassero leggi elettorali e metodi di votazione. A questo scopo, hanno impegnato somme immense di fondi pubblici (!!!) e privati. Si sono difesi con successo dalle contestazioni per la soppressione di voti e votanti, hanno reclutato un esercito di lavoratori e volontari elettorali, hanno ottenuto che milioni di cittadini votassero per posta “, conclude il settimanale.
Nei brani successivi dell’inchiesta, si assicura che tutto è stato fatto per salvare la democrazia, dando così implicitamente ragione ai legali di Trump e all’arsenale di prove presentate da Rudy Giuliani e Jenna Ellis nelle udienze celebrate in almeno cinque Stati, quelli decisivi, in cui il conteggio si paralizzò a metà della notte degli scrutini. Lo spoglio si interruppe simultaneamente e oltre mille testimoni sotto giuramento – con il rischio del carcere in caso di menzogna – hanno portato prove di frode. Tutte le evidenze e le testimonianze sono cadute nel nulla: il sistema si è chiuso a difesa di se stesso. Diceva un maestro di diritto che a nulla vale avere ragione se nessuno te la dà in un’aula di tribunale.
Se ancora non fosse chiaro, Time prosegue esponendo i dettagli dell’operazione. “Questa è la storia, raccontata dall’interno, della cospirazione per salvare la democrazia nel 2020, basata sull’accesso al funzionamento interno del gruppo (l’alleanza tra piazza di sinistra, sistema pubblico e vertici economico-finanziari), documenti inediti e interviste con dozzine di persone coinvolte, appartenenti all’intero spettro politico. E’ la storia di una campagna creativa, decisa e senza precedenti il cui successo rivela quanto la nazione fu vicina al disastro “, assicura il settimanale con toni epici da conquista del West.
Infine, giustificano il comportamento – non privo di risvolti delittuosi- dei partecipanti alla trama, poiché essi stessi desiderano che si conosca “la storia segreta “delle elezioni 2020. Scrive Time: “Per quanto suoni come un sogno febbrile paranoico, una consorteria ben finanziata di persone potenti, che include industrie e ideologie, hanno lavorato insieme dietro la scena per influire nella percezione degli eventi e per cambiare regole e leggi. Nel dirigere la copertura dei mezzi di comunicazione e controllare il flusso delle informazioni, non stavano manipolando le elezioni: le stavano rafforzando. Credevano che il pubblico dovesse comprendere la fragilità del sistema al fine di garantire la permanenza della democrazia negli Stati Uniti. “Ovvero, per difendere la democrazia l’hanno falsata senza vergogna. L’arroganza, la sicumera di lorsignori è quella di chi ritiene di aver vinto definitivamente e mistifica sfacciatamente non solo i fatti, ma anche il linguaggio.
Ci siamo chiesti più volte, guardando un film di James Bond, perché quando il genio del male di turno – la Spectre o Goldfinger- riusciva ad avere nelle sue mani l’eroe senza macchia, non gli sparasse sbrigativamente un paio di colpi anziché raccontargli per filo e per segno i suoi piani. La risposta è semplice: perché è un film. Tuttavia ciò riflette una realtà, l’esigenza del potere di uscire dall’ombra, attribuirsi i meriti di una vittoria e soprattutto per lanciare un messaggio, dire chiaro e tondo chi comanda e far capire che ogni resistenza è non solo inutile, è futile. Loro, gli illuminati, possono permettersi di parlare di Grande Reset o confessare tranquillamente di aver truccato l’elezione presidenziale americana. A noi, se diciamo le stesse cose, appiccicano l’etichetta di complottisti e quella sinistra, in tempi di dittatura sanitaria, di paranoici. Ora, a guerra vinta, con in mano tutte le carte e tutto il potere, possono permettersi di dire, con un ghigno di soddisfazione, che Trump aveva ragione e che effettivamente era stata stipulata un’alleanza tra chi organizzava proteste sanguinose bloccando le città e il livello apicale del potere economico, finanziario e tecnologico, addirittura che c’era un accordo riservato tra i vertici economici e il più potente sindacato americano contro un candidato presidente.
Iperpadroni e dirigenti sindacali mano nella mano. Molto naturale, vero? Hanno cambiato le regole elettorali e le modalità di espressione del voto, raccolto centinaia di milioni di dollari, esercitato pressioni su istituzioni e organi di giustizia (giustizia?), ma solo affinché trionfasse l’Impero del Bene. Non hanno perpetrato una frode, ma “salvato la democrazia”, da sempre il più ardente desiderio delle oligarchie, in un abbraccio fraterno tra multinazionali, sindacati dei lavoratori, Wall Street, Silicon Valley, Hollywood e perfino la Ivy League, il gruppo delle otto più prestigiose università (private) americane. Mezzo secolo fa i Rokes cantavano “sarà una bella società fondata sulla libertà. Però spiegateci perché, se non pensiamo come voi, ci disprezzate, come mai. “
Padroni e sindacati, agitatori professionali, giornali, cinema, BigTech, tutti insieme appassionatamente: la santa alleanza dei Buoni e dei Giusti. Insieme hanno cambiato leggi, condizionato l’informazione e controllato le notizie, distribuito denaro, che nella lingua dei semplici significa corrompere. E’ così che funziona la santa democrazia. Grazie di avercelo detto con parole vostre, dopo aver sconfitto l’Impero del Male annidato dentro di voi, la nazione dal destino manifesto, destinata da Dio- uno strano Dio assetato di sangue e dominio- a guidare il mondo sul sentiero del Bene e alla ricerca della felicità. Grazie, Time, di averlo pubblicato, nero su bianco. Grazie, Unione Sovietica d’America, o magari grazie, fascismo immenso e arcobaleno all’ombra della statua della Libertà.