Orwell, il profeta del presente
di Marcello Veneziani - 24/01/2021
Fonte: Marcello Veneziani
Se mi chiedessero qual è l’autore del passato, del nostro gremito novecento, più attuale nel nostro presente, non esiterei a indicare George Orwell. È più attuale oggi del suo tempo, e rischia di essere ancora più attuale nel futuro. Morto il 21 gennaio del 1950 e dunque ora ripubblicabile in libertà con i diritti d’autore ormai scaduti, trascorsi 70 anni dalla morte, Orwell – al secolo Eric Arthur Blair – è l’autore più vivo al tempo del politically correct e della cancel culture, del Grande Fratello e della dittatura sanitaria, della pandemia e della sorveglianza globale, delle fake news, della neolingua e della censura nei social e nel web. È uscito in questi giorni un volumetto intrigante di suoi scritti, Sparando all’elefante (ed. E/0) a cura di Stefano Guerriero.
Col suo 1984, la sua Fattoria degli animali, il suo neo-totalitarismo che si finge libero, umano e democratico, riesce a darci le chiavi di lettura per spiegare il presente. Infatti è l’autore più citato e manipolato. La cosa terribile e più “orwelliana” che gli sia capitata è proprio quella di essere citato e usato dagli stessi guardiani, propagandisti e operatori del nuovo conformismo distopico, che lui aveva denunciato ante-litteram. Descrivendo i totalitarismi del suo tempo, Orwell negli anni ’40 fingeva di descrivere un futuro ora già passato, il 1984; ma ancor più dipingeva il totalitarismo del nostro presente futuro, su basi bio-tecnologiche e psico-linguistiche.
Quando, ad esempio, Orwell dice che l’anima del socialismo (battezzato Socing) è nel bipensiero, con le sue anfibie schizofrenie che accolgono “simultaneamente due opinioni tra loro contrastanti, accettandole entrambe”. “Raccontare menzogne e crederci davvero” è alla radice del bipensiero. La manipolazione bipolare è poi evidente quando una stessa azione o una stessa parola assume opposto valore a seconda di chi la pronuncia o la compie (Per fare un esempio di questi giorni, pensate ai responsabili, spregiati come voltagabbana mercenari quando erano a sostegno del centro-destra, oggi rivalutati come volenterosi costruttori). Quando Orwell descrive la nebulosa vaghezza della neolingua, pensi oggi, ad esempio, ai sermoni di Giuseppe Conte. Lingua e pensiero si corrompono a vicenda, e facendosi azione corrompono il mondo: non puoi non pensare al presente.
Quando Orwell sostiene che il Big Brother manipola il passato che diventa mutabile (a differenza del futuro, già segnato), avverti odore di historically correct. O l’ipocrisia del linguaggio, i lavori forzati che diventano camposvago, il ministero della guerra che diventa ministero della pace; la scomparsa di parole come onore, morale, religione ecc., somigliano maledettamente alle finzioni lessicali odierne come ipovedente, diversamente abile, operatore ecologico (spazzino), collaboratore scolastico (bidello) e tutta la retorica sui gay, i neri, i migranti. E su altri piani inquieta il giuramento sacro per essere ammessi nel Partito, la disponibilità a falsificare e corrompere, ricattare e perseguitare, e perfino “a vendere il vostro paese a potenze straniere”. Inquietante pure l’egualitarismo, aggravato – come nella Fattoria degli animali– dal correttivo che alcuni “sono più uguali degli altri”. Orwell ha descritto il comunismo del suo tempo ma anche il Grande Fratello che si insinua nel presente e minaccia il nostro futuro.
Quando Croce presentò 1984 sul Mondo al pubblico italiano, Togliatti lo stroncò come “una buffonata informe e noiosa” scritta da uno “spione”. Sono interessanti anche i saggi di Orwell raccolti nei meridiani di Mondadori. Orwell, antifascista, documenta il consenso internazionale avuto da Mussolini e nota: “Non c’è un solo (suo) misfatto che non sia stato altamente lodato proprio da coloro che ora vogliono processarlo …com’è possibile che un’azione giudicata lodevole nel momento in cui è stata compiuta, diventi ora improvvisamente condannabile?”. In realtà, aggiunge, “è colpevole del solo delitto che conti, quello di aver perso”. Orwell nota che a condannare i tiranni “dovrebbero essere i loro sudditi; quelli come Napoleone, puniti da un’autorità straniera, sono trasformati in martiri e leggende”. Profetica la sua descrizione nel 1943 della fuga di Mussolini con una valigia in Svizzera.
Orwell non fu conservatore ma social-democratico, andò a combattere per la repubblica antifascista in Spagna, ma dopo aver visto gli orrori compiuti dai comunisti e dopo aver subito l’accusa comunista di essere un trotzkista traditore, dalla parte di Franco, capì che la malabestia principale fosse il comunismo e lo denunciò senza mezzi termini. La stessa esperienza ebbero Randolfo Pacciardi e Simone Weil, accorsi in Spagna per la guerra repubblicana e antifascista e inorriditi davanti agli orrori e ai crimini dei comunisti su falangisti, gente comune, adolescenti, suore e religiosi, anarchici perfino.
Nel ’49, Aldous Huxley scriveva a Orwell che l’incubo di 1984 coincideva con quello da lui descritto nel Mondo nuovo: i padroni del mondo avrebbero indotto le persone ad amare la propria schiavitù. La seduzione anestetizza l’umanità, nota Alberto Contri ne La sindrome del criceto (ed. La Vela) che citando Orwell e Huxley, Benson e Pasolini, esorta a ribellarsi, dando vita a Gruppi di resistenza umana, in sigla Gru, per “risollevare l’Italia”. Ma lo scenario orwelliano ha dimensione globale e virale.
Inquieta l’appendice di 1984 dove Orwell prevede che col XXI secolo sarebbe avvenuta la mutazione della lingua e della letteratura, ritradotta nella nuova ideologia, col progetto alla metà del nostro secolo di arrivare all’adozione integrale della neolingua. Stiamo anticipando i tempi. La lingua falsificata, il politically correct, la vigilanza ideologico-sanitaria, il passato cancellato e riscritto, il regime dei colossi del web, l’ascesa mondiale della Cina comunista e del suo virus globale sono segni che Orwell è purtroppo più vivo che mai. Sono scaduti i suoi diritti, non certo i suoi avvertimenti.