Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Ossitocina per farci accettare i migranti? Nessun farmaco può estinguere l’istinto di sopravvivenza

Ossitocina per farci accettare i migranti? Nessun farmaco può estinguere l’istinto di sopravvivenza

di Mauro Bottarelli - 30/08/2017

Ossitocina per farci accettare i migranti? Nessun farmaco può estinguere l’istinto di sopravvivenza

Fonte: Rischio Calcolato

Sono sincero, sulle prime mi pareva una bufala. Di quelle anche grosse. Tanto per capirci, una di quella che spaccia con estrema frivolezza sul web gente come Alessandro Meluzzi e destinata a rendere ancora più semplice la vita alle grancasse del potere stile Enrico Mentana, come se ne avessero bisogno, visto i mezzi di cui dispongono.


Quindi ho cercato riscontri credibili in Rete, ho fatto dei confronti relativi e alle fonti e – seppur ridimensionata nell’allarme – la notizia c’è. Hanno provato a simulare una sorta di “cura Ludovico” di kubrichiana memoria contro il razzismo ma, alla fine, hanno scoperto che non serve a un cazzo. Alla base di tutto c’è l’ossitocina, un ormone che viene prodotto dall’ipofisi, immesso nel sistema circolatorio e rilasciato dai recettori nervosi di alcune cellule. Svolge diverse funzioni, tra cui stimolare il desiderio sessuale, nonché favorire l’affettività e l’empatia.

Inoltre, è in grado di ridurre l’attività dell’amigdala, una formazione cerebrale connessa ai sentimenti di paura, ansia e depressione. Partendo da questa base scientifica, un team di psichiatri e psicologi tedeschi e americani ha dato vita a una ricerca per capire se l’ormone abbia la capacità di rendere le persone meno razziste e ostili nei confronti degli immigrati. Non è roba da apprendisti stregoni, bensì un’analisi comparata di più studi neuropsicologici effettuata presso l’Ospedale universitario di Bonn, in Germania e pubblicata su PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences).

Come si è proceduto? I ricercatori hanno effettuato un esperimento su un gruppo di soggetti di nazionalità tedesca, ai quali sono stati presentati i casi di una cinquantina di persone molto povere: per metà tedesche, per metà rifugiate. Dopodiché, a ciascun volontario, sono stati consegnati 50 euro ed è stato chiesto di stabilire quanto denaro tenere per sé e quanto e a chi donare il resto: ne è risultato che mediamente veniva donato circa il 20% in più ai rifugiati rispetto ai connazionali. Il dato è stato definito come valore di riferimento per la seconda fase dell’esperimento. A questo punto sono stati reclutati 100 nuovi volontari, ai quali è stato chiesto di rispondere ad alcune domande di un questionario volto a verificare il loro atteggiamento verso i rifugiati.

Successivamente metà dei soggetti è stato trattato con uno spray nasale contenente ossitocina, mentre ai restanti partecipanti è stato somministrato un semplice placebo. Infine, con ciascun volontario è stato ripetuto il test dei 50 euro. Ne è emerso che coloro che, mediante questionario, risultavano avere già un’attitudine positiva nei confronti degli immigrati, grazie all’ossitocina tendevano a raddoppiare il valore di riferimento stabilito nella prima fase dell’esperimento, ossia il 20% dei 50 euro, portandolo pertanto al 40%. Al contrario, chi aveva un atteggiamento negativo nei confronti dei rifugiati risultava “impermeabile” all’azione dell’ormone. Risultanza finale? Stando ai ricercatori, lo studio dimostra che l’ossitocina può accrescere la generosità verso le persone più bisognose ma se alla base manca un atteggiamento di solidarietà, il semplice ormone non è in grado di crearlo.

Insomma, uno studio del cazzo, completamente inutile. E non perché io non creda che qualche pazzo possa pensare di arrivare anche a stratagemmi simili pur di far salire il livello di controllo sociale ma perché qui siamo di fronte a due pezzi di un puzzle che non combaciano: puoi cercare di incastrarli quanto vuoi, provare a oliarli come si fa con le porte che cigolano ma, alla fine, dai e dai, si rompono. Ed è quello che è successo con l’esperimento della società inclusiva e multirazziale. Sia quella di lungo periodo, ovvero quella ormai giunta alla terza generazione con i teenagers cui si vuole regalare lo ius soli, sia quella dei nuovi arrivati con le ondate migratorie cominciate con le “primavere arabe”. Si è rotto qualcosa e quel qualcosa è tanto semplice quanto poco educato chiamarlo con il proprio nome: soppressione dell’identità etnica.

Talmente hanno spinto agli estremi il concetto di multiculturalismo che questo si è tramutato prima in frizione, poi in contrapposizione e ora in ribaltamento dei ruoli: in Svezia come in Olanda come in Belgio, essere bianco e cristiano significa essere letteralmente minoranza in casa propria in certi quartieri. E questo non è naturale. Può esserlo per le giovani generazioni, rincoglioniti semi-analfabeti apolidi che passano il tempo a bere, farsi di canne e pasticche e giocare con lo smartphone ma chi ha più di 35 anni ricorda cos’era la sua città. Io non sono cresciuto in una città piena di stranieri, i miei ricordi non contemplano bonghi, ristoranti etnici, money-transfer, strade in cui non trovi un bianco a pagarlo oro, tradizioni messe in discussione per non turbare l’altrui sensibilità. Io non voglio vivere in un palazzo dove ogni volta che la risorsa di turno cucina sembra che sia stato scoperto un cadavere in putrefazione: sono le sue tradizioni culinarie?

Vada a cucinare a casa sua, qui l’odore di merda non è contemplato al desco. Per quanto si viva in un mondo dove addirittura si mette in discussione il sesso, aprendo ad opzioni di “sesso x” sulle carte d’identità, il progetto di far sentire uno svedese e uno del Ciad cittadini dello stesso Stato, è fallito. Signori miei, mettetevelo in testa: le razze esistono, sono sempre esistite e sempre esisteranno. Certe utopie andavano bene ai tempi di Olof Palme, quando il welfare svedese era Bengodi e la percentuale di stranieri sul totale della popolazione ancora risibile: fate un giro oggi alla periferia di Stoccolma e Goteborg, poi venite a parlarmi ancora di integrazione.

Quanto dico si configura come razzismo? Vi stupirò ma non me ne frega un cazzo. Possono varare tutte le leggi buoniste che vogliono ma se io con un africano o un pakistano non ho voglia di conviverci perché è sideralmente e lunarmente lontano da me e dai miei usi e costumi, non riusciranno a cambiare le cose: io continuerò a non volerli e a evitarli, usassero tutto l’ossitocina del mondo. Non esiste né un obbligo all’accoglienza, né alla tolleranza, né all’integrazione: almeno per ora, certo ma visto l’aria che tira, dubito che sia igienico forzare la mano sul tema. L’altra notte, infatti, un gruppo di residenti di un rione periferico di Roma, il Tiburtino III, dopo anni di manifestazioni, di proteste e di tavoli istituzionali, ha tentato di assaltare il centro di accoglienza di via del Frantoio.

A far scoppiare la rivolta, stando a quanto riportano i residenti, sarebbe stato il sequestro di una donna e di suo figlio che sono stati trattenuti dentro il centro di accoglienza, dove si erano recati per lamentarsi dopo lo scoppio di una lite tra gli immigrati e i ragazzi del quartiere, bersagliati da alcuni sassi. “Solo l’intervento massiccio della polizia con numerose camionette anti-sommossa ha frenato l’esasperazione dei cittadini”, spiega Fabrizio Montanini, portavoce del coordinamento dei comitati e delle associazioni del IV Municipio. Quando le forze dell’ordine sono giunte sul posto, a mezzanotte e mezza, però, la maggior parte delle persone si erano già disperse e hanno trovato soltanto un migrante ferito, un eritreo colpito da una coltellata alla schiena. Insomma, volevano le banlieue, le hanno trovate: Marco Minniti, forse, dovrà preoccuparsi ancora per la “tenuta democratica” dello Stato. E sul serio, questa volta, grazie al capolavoro creato in anni di politiche immigrazioniste criminali di PD e soci.
Ecco le parole di un residente, raccolte da “Il Giornale” nella sua edizione online di oggi pomeriggio: “Mandateli via o faccio un macello. Non li voglio più vedere. Non li reggo più. Non siamo razzisti ma adesso basta: la tolleranza è finita. Parlo per tutto il popolo italiano. Questi stanno a fà i baroni a casa nostra. Si devono comportare bene o se no se ne devono andare”. E’ razzismo questo? Se sì, provate con l’ossitocina. Ma attenti a dove potrebbe finirvi la bomboletta dell’aerosol, se andate al Tiburtino III: la pazienza è finita. L’istinto di sopravvivenza non lo si può sopprimere con nessun farmaco e nessuna mancia elettorale da 80 euro. E non esiste bene più grande da difendere, quando ormai non hai più nulla da perdere, che la combattere per quel ritaglio di normalità che significa tornare a vivere a modo tuo e in casa tua. Senza estranei. Nè costrizioni buoniste. Ci andrà di mezzo anche chi merita davvero di essere aiutato? Cazzi suoi, gli mostrino la strada per Camera e Senato. E lì che deve andare a lamentarsi.