Parlano la lingua della guerra
di Roberto Pecchioli - 08/03/2024
Fonte: EreticaMente
La verità è così semplice ed elementare che appare incredibile, scrisse Giovannino Guareschi. Le classi dominanti – politiche e mediatiche – parlano la lingua della guerra. E’ una novità immensa, un cambio di paradigma impressionante. Eravamo abituati, in Europa, alla prassi della pace, all’irenismo finanche irritante della cultura ufficiale. E’ tutto finito, un ricordo del passato. La stessa costruzione europea, dagli anni Cinquanta del secolo passato, nasceva dalla volontà di evitare guerre tra popoli abituati a massacrarsi.
I sintomi del riaffiorare di un discorso bellicoso e bellicista sono iniziati dal 2020 con l’ interminabile periodo pandemico. La lotta al virus è stata condotta utilizzando la pericolosa retorica della guerra, per impaurire, sottomettere e convincere la popolazione a seguire senza discutere le direttive – e i ricatti – dei governi. Il regime disciplinare, con il seguito di delazione, sorveglianza e punizione, si sosteneva sulle parole d’ordine tipiche dei tempi bellici. Censura, propaganda smaccata, repressione del dissenso, utilizzo di strumenti giuridici straordinari, ampio utilizzo dei tribunali.
Dal febbraio 2022, inizio della guerra in Ucraina, il meccanismo è stato riorientato senza cambiare di sostanza. I media russi sono stati oscurati, artisti, sportivi , eventi culturali legati alla Russia sono stati cancellati, coinvolgendo perfino giganti della musica (Ciajkovskij) e della letteratura (Dostoevskij) Bisognava fornire versioni ufficiali, ossia false, screditare ogni interpretazione dei fatti diversa da quella dell’Occidente collettivo, alimentare un’atmosfera di odio contro un nemico terribile e crudele. Linguaggio di guerra per giustificare un’ economia di guerra, in attesa del rombo dei cannoni. La cessione di armi e mezzi alla parte che piace all’Occidente – con le ingenti spese relative – è diventata improvvisamente la priorità, superiore alle politiche sociali.
Ogni discussione è stata rimossa e considerata tradimento. La lingua della guerra domina nelle dichiarazione di Ursula Von der Leyen, presidente della Commissione UE. La bionda signora tedesca detta la linea: “dobbiamo produrre più armi, come abbiamo fatto per i vaccini. “ Sconcertante; voce dal sen fuggita l’accenno ai vaccini, o piuttosto la prova che il linguaggio della guerra (cioè la propaganda, nome d’arte della menzogna) è stato, per così dire, testato nel corso della pandemia, di cui il siero genico è stato trasformato in simbolo di salvazione, il postmoderno Elisir di Dulcamara.
Fa il controcanto il ministro italiano Crosetto, che di armi se ne intende per professione, deciso ad aiutare l’Ucraina a produrre nuovi ordigni bellici. Del resto, donna Giorgia – madre e cristiana eppure assai bellicosa – ha firmato con Zelenski un patto che espone l’Italia al rischio di guerra in ogni momento, probabilmente senza i passaggi parlamentari costituzionalmente previsti. Sinistra analogia: la Carta è stata calpestata innumerevoli volte, dallo scoppio del Covid.
Va anche peggio alla Francia. Macron, il piccolo Napoleone dei Rothschild e del puparo mondialista Jacques Attali, è ansioso di lanciare le sue truppe nel conflitto. Sarebbe il disastro, la guerra totale. Per fortuna il popolo francese non segue il suo declinante presidente . Peraltro, uno dei pochi governanti dell’UE non contagiato dal delirio guerrafondaio, lo slovacco Fico, ha svelato vertici riservati tesi a inviare truppe Nato direttamente in Ucraina, come se non fossero già presenti sotto le più varie denominazioni (consiglieri militari, volontari, mercenari). Che dire dell’Inghilterra, che bloccò l’ accordo di pace che avrebbe fermato il conflitto nella primavera del 2022? L’invecchiato leone britannico ringhia, chiama alla battaglia contro il suo storico nemico geopolitico russo.
Annalena Baerbock, ecologista (teoricamente una pacifista di ferro…) ministro della Difesa tedesco, tempo fa dichiarò, non è chiaro se per imperizia o in uno slancio di sincerità, che la Germania è in guerra contro la Russia. Infatti, questo dimostrano le intercettazioni di alti ufficiali intenti a programmare la distruzione di infrastrutture russe in Crimea . Da lontano, si levano i ringhi bellicosi dei baltici (troppo piccoli per far paura, ma abbastanza per far capire l’aria che tira) e le esibizioni muscolari moldave contro la minuscola Transnistria filorussa, che ospita ingenti depositi di armi sovietiche. Sono recenti le minacce contro la Serbia, nei confronti della quale il gentile, bonaccione Occidente, sempre pronto a esportare pacifiche colombe, ha tentato di fomentare un colpo di Stato post elettorale.
Il quadro è completato dalla più sinistra delle dame occidentali, l’americana Victoria Nuland, membro dell’amministrazione Biden, artefice del golpe ucraino del 2014, superfalco (il femminile “falca” non è stato ancora inventato dall’officina neolinguistica) nonché moglie di Robert Kagan, eminente teorico della setta neoncons. La pericolosa signora esorta a difendere in armi i laboratori biologici presenti in Ucraina, con ciò ammettendo l’esistenza, nello sventurato paese di Nikolay Gogol, l’ autore de Le anime morte – un destino… – di fabbriche per la guerra chimica, sempre accanitamente negata.
Sullo sfondo, il bonario Occidente rifiuta con ostinazione di chiamare genocidio l’operazione militare a Gaza e Cisgiordania dei fratelli maggiori israeliani, nonostante le cifre impressionanti dei morti e dei danni, nonché l’evidente volontà di cacciare i superstiti. Oltre cento morti – semplici danni collaterali? – in un bombardamento contro una folla in attesa di cibo. Una coraggiosa giornalista, Martina Pastorelli, ha notato come noi l’escalation delle parole di guerra, ponendola a confronto con la narrazione pandemica. “Davanti al linguaggio bellicista attuale è difficile non notare come per tre anni i governi occidentali abbiano gestito una crisi sanitaria usando metafore di guerra (trincea, nemico, combattere , stanare [i “no vax]. “ No, cara Martina, è difficilissimo notarlo in quanto condizionati all’obbedienza, resi insensibili alla verità in assenza di pensiero critico e per sovraccarico di informazioni a senso unico. La verità diventa incredibile, come capì Guareschi, uno che la guerra la dovette fare e subì la prigionia.
La diffusione della paura raggiunge toni parossistici: Putin, il cattivo di turno – l’Occidente a trazione Usa ha sempre bisogno di un Satana in servizio permanente – si appresterebbe a “ un conflitto su vasta scala”. Gli zoccoli dei cavalli cosacchi hanno risparmiato San Pietro al tempo dell’Urss, ma i lanzichenecchi dell’orribile Zar sono in arrivo. Per fortuna, le crepe della verità ufficiale sono così evidente che l’opinione pubblica ci crede sempre meno, ma le truppe (altra metafora di guerra) politiche, culturali e mediatiche sono schierate come un sol uomo.
Chi scrive, anticomunista di tutta la vita, comincia a chiedersi se non ci mentano volgarmente sin dal dopoguerra. L’Urss era nemica perché comunista, o più concretamente perché l’ immenso territorio euroasiatico solletica l’appetito imperiale dell’anglosfera? Le teorie geopolitiche dell’heartland perno del mondo, il cui controllo garantirebbe il dominio planetario, sono il fondamento della politica estera britannica dal secolo XIX , ereditate dagli americani Brzezinski e Kissinger. Guarda caso, l’espressione “reductio ad hitlerum”, il paragone continuo dei nemici di turno dell’America con il dittatore nazista, è stata inventata dal maestro dei neocons, Leo Strauss.
Fatto sta che la lingua della guerra prepara alla guerra, abitua e invita al conflitto. Dormono impolverate le bandiere arcobaleno dei pacifisti confusi, vessilli del nulla, del mondo-che-non-c’è, in attesa di essere dispiegate a giugno alle parate del sesso innaturale. Nessuna forza politica rilevante ha il coraggio di uscire dal cerchio incapacitante del pensiero unico occidentalista, suprematista e guerrafondaio.
Tesi eccessive o complottiste? Semplice presa d’atto della realtà. Oltre alla guerra delle armi, è in corso una guerra cognitiva volta a resettare e riconfigurare la nostra visione delle cose. Lo afferma la Nato, braccio armato del Dominio. Almeno dal 2020 vengono portati avanti piani di guerra psicologica. I documenti interni parlano di “guerra cognitiva”, termine coniato nel 2017 da un generale Usa, David Goldfein. La battaglia per il controllo dell’opinione pubblica si combatte con mezzi sempre più sofisticati, le tecniche di soft power. Si tratta di strumenti di influenza psicologica con i quali è possibile manipolare la mente, la capacità di persuadere gli altri a fare ciò che si vuole senza usare la forza o la coercizione.
Riportiamo un brano del nostro La guerra delle parole (Nexus Edizioni, 2023). “Uno dei primi documenti sulle operazioni di soft power è il saggio “NATO’s Sixth Domain of Operations”, pubblicato a settembre 2020 per conto del NATO Innovation Hub. Il testo si conclude con un discorso immaginario del Presidente degli Stati Uniti che spiega come funziona la guerra cognitiva e perché ogni essere umano vi è coinvolto: gli odierni progressi nelle nanotecnologie, nelle biotecnologie, nelle tecnologie dell’informazione e nelle scienze cognitive, guidati dall’avanzata apparentemente inarrestabile della troika dell’intelligenza artificiale, dei Big Data e della dipendenza digitale della nostra civiltà, hanno creato una prospettiva molto più inquietante: una quinta colonna incorporata in cui ognuno, a sua insaputa, si comporta secondo i piani di uno dei nostri avversari. I pensieri e i sentimenti di ciascun individuo sono al centro di questa guerra: “tu sei il territorio conteso, ovunque tu sia, chiunque tu sia”. Gli autori, August Cole e Hervé Le Guyader sostengono che l’uomo (“il dominio umano”) è la maggiore vulnerabilità. Controllarlo è quindi la base di tutti gli altri campi di battaglia (terra, mare, aria, spazio, cyberspazio). La mente diventa il “sesto dominio operativo” della NATO. Contemporaneamente, François du Cluzel, ex ufficiale francese, ha lavorato al documento strategico “Cognitive Warfare”, pubblicato nel gennaio 2021, un’analisi dettagliata della guerra per le menti, (…) coinvolga la psiche umana, una “propaganda partecipativa” destinata all’intera popolazione. “
Ecco perché preoccupa tanto il cambio di linguaggio, teso a farci accettare , desiderare e forse invocare la guerra. La posta in gioco è altissima: la Russia non è nostra nemica, come non lo è l’Ucraina. L’Europa deve iniziare il percorso di liberazione dalla sudditanza verso i poteri finanziari , tecnologici, strategici e militari con sede negli Stati Uniti. L’Italia – sotto qualunque governo – scodinzola ai piedi del padrone d’Oltreoceano, come ha dimostrato l’imbarazzante fotografia della mano di Biden sulla testa di Giorgia Meloni.
E’ urgente il recupero del valore di una pace ragionevole, dignitosa per tutti. Il segretario della Nato, Stoltenberg (un nome, un presagio) ha affermato che la sicurezza (leggasi la militarizzazione del mondo) vale più del commercio. La narrativa liberista crolla dinanzi alla volontà di potenza. L’economista francese ottocentesco Dominique Bastiat riprese da Montesquieu l’espressione “ dolce commercio”, il libero scambio contrapposto alla tensione bellica. Ma il commercio in auge – tutt’altro che dolce – è quello degli ordigni di distruzione. Le sanzioni antirusse si sono rivelate boomerang contro i nostri interessi. Il futuro incute paura. Possiamo chiedere ai padroni di tutto, anche delle parole, di tornare ai fondamenti del loro pensiero antico, alla lingua della libertà, al ripudio della censura? Le parole di guerra preparano la guerra. Così è, se vi pare.