Peggio del virus può fare la recessione. Entriamo in una nuova epoca storica
di Giulio Tremonti - 19/03/2020
Fonte: Tempi
E dopo il “lockdown” per l’emergenza coronavirus, che cosa dobbiamo aspettarci? Mano a mano che l’epidemia si diffonde nello spazio e si allunga nel tempo, si parla sempre più apertamente di recessione globale. Nei fatti, in recessione ci siamo già, visto il blocco, l’annullamento, il rinvio di tante attività con implicazioni economiche. Sarà una crisi lunga e radicale, come quella iniziata nel 2008? O sarà rapida e violenta, letale in qualche settore, ma recuperabile in breve tempo? Basterà qualche aiuto finanziario dal governo per permettere alle famiglie e alle imprese italiane di “passare la nottata”, dopo di che #tuttoandràbene?
Impossibile rispondere, mancano proprio i modelli matematici per prevedere lo sviluppo di situazioni come questa, spiega il Financial Times. Senza contare che non si sa nemmeno quanti mesi dureranno l’allarme sanitario e il conseguente “tutti a casa”. Come si fa a fare previsioni in questo quadro? Considerato il grado di precisione raggiunto dalle congetture degli economisti nelle recenti crisi, forse più delle loro previsioni servirebbe una profezia. E se c’è uno specializzato in profezie, quello è l’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti.
Professor Tremonti, ammesso che supereremo l’emergenza sanitaria, quali conseguenze dobbiamo aspettarci secondo lei a livello economico e sociale? È iniziato a circolare un rapporto di Cerved che immagina due scenari: nel migliore, le aziende italiane perderanno 275 miliardi di fatturato nel biennio 2020-2021, nel peggiore 641.
Ah, avrei detto 642.
Come, prego?
Scherzo. Io comprendo il senso dell’utilità dei modelli matematici, ma una utilità che non esclude la realtà.
Impossibile prevedere scenari?
Io partirei dal cercare di capire quel che sta succedendo. In questo momento è evidente che un libro di storia, quale che sia, è meglio di cento libri di economia. Soprattutto di quelli “contemporanei”. Perché la cifra, lo spessore di quel che sta succedendo è una cifra “storica”.
Quale libro consiglierebbe?
Direi La montagna incantata di Thomas Mann.
Che però non è un libro di storia.
No, ma è una profonda riflessione sul tempo che scorre. Anzi, suggerirei ai signori che imperterriti anche l’anno prossimo organizzeranno il Forum di Davos di distribuire ai partecipanti La montagna incantata, aggiungendolo al kit di ospitalità. Di più: per una delle loro riunioni di élite potrebbero affittare il sovrastante sanatorio.
Speriamo che non sia necessario.
A parte le battute, quanto sta succedendo è quello che gli storici chiamano “un incidente della storia”: un fatto che viene da lontano, inaspettato, non previsto, con un effetto che in progressione diventa enorme. Tipico caso di incidente della storia è stato nel 1914 Sarajevo.
Quindi siamo come di fronte a una guerra?
No, parlo della cascata di fenomeni. L’attentato di Sarajevo avvia la Prima guerra mondiale, ma soprattutto avvia la caduta della vecchia Europa. È per questo che ho citato La montagna incantata. Il mio non è un paragone tra quel che sta succedendo e una guerra. L’incidente della storia è paradigma generale di un fatto che arriva e rompe lo schema.
Quale schema?
In questo caso l’incidente rompe il meccano della globalizzazione. Questo è quello che sta succedendo. Il primo passo è capire che non si tratta di una congiuntura negativa, pur se vera, non si tratta di una classica “recessione”.
Invece diversi analisti si sono affrettati a dire che sarà proprio una recessione, molto grave, ma che durerà meno delle precedenti.
Nel momento presente suggerisco di non ragionare applicando le categorie ordinarie, a non seguire le curve dei precedenti, la mia idea è che questo sia un fenomeno senza precedenti. Non mi pare razionale e comunque oggi non mi pare utile valutare un fatto nuovo con criteri vecchi. Va evitato l’errore fatto dai generali francesi prima della Seconda guerra mondiale: si basavano sugli standard e sulle esperienze della Prima (la trincea, la trincea meccanizzata: la linea Maginot), ignorando la forza rivoluzionaria del motore a scoppio. Io credo che prima di tutto vada messa in conto la diversità assoluta di quel che sta accadendo; per contro, va evitata la banalità delle valutazioni convenzionali.
E qual è questa diversità?
La novità è la reverse engineering della globalizzazione. Mai nella storia dell’umanità un cambiamento così intenso si è sviluppato in un tempo così breve. Il tempo della storia è quello della longue durée. Qui sono stati invece tempi accelerati. 1989, cade il Muro di Berlino. 1994, a Marrakesh nasce il Wto, che non è un trattato commerciale come dice il nome, è un trattato politico: gli Stati hanno creato le guerre; il mercato, lubrificato dalla democrazia, porterà la pace e così “la fine della storia”! 1996, seconda presidenza Clinton: i derivati diventano oggetto possibile di investimento speculativo, viene abrogata la vecchia legge di Roosevelt che impediva alle banche di speculare con il risparmio raccolto tra i cittadini, viene dato alle banche d’affari il privilegio del limited (vuol dire che se ci sono profitti sono tuoi, se ci sono perdite sono della collettività), eccetera. Nel 2001 l’Asia entra nel Wto. Nel 2008 esplode la prima crisi, prima solo finanziaria, poi economica, poi sociale, infine oggi quasi dappertutto politica. Adesso, 2020, il virus. Mai nella storia un processo così intenso è avvenuto in un tempo così breve. Il mondo di trent’anni fa era totalmente diverso: c’era il commercio ma era “internazionale”, perché c’erano ancora le nazioni. Non c’era l’ideologia della globalizzazione. Di colpo, il mondo cambia. Diciamo che i due fattori sono stati la caduta dei confini e l’apparizione della Rete.
Ma lei cosa si aspetta adesso?
Credo che, caduta l’ideologia politica della globalizzazione, non cambieranno solo i rapporti tra gli Stati ma anche i comportamenti delle persone.
Quindi secondo lei il coronavirus è la mazzata definitiva per la globalizzazione?
È una eventualità che non mi sentirei proprio di escludere. Credo che sia onesto notare che l’ultima occasione è stata persa nel 2009. All’interno del G20 si confrontarono due visioni: la visione del governo italiano allora in carica, la visione della finanza. La prima prese il nome di “Global Legal Standard” e la forma di un trattato multilaterale infine votato all’unanimità dall’assemblea dell’Ocse. Il senso politico era: basta con il free trade, serve un fair trade. Non basta che a valle il prezzo di un prodotto sia giusto perché espresso dall’incrocio fra domanda e offerta, è necessario che sia “giusto” a monte il processo di produzione. Noto che all’articolo 4 del Gls si identificavano regole necessarie per evitare «rischi sociali, ambientali, igienici, eccetera». L’altra visione, che era ispirata dalla finanza e si chiamava “Financial Stability Board”, si sviluppava come segue: non servono regole per l’economia, ma regole solo per la finanza, non regole per ridurne la massa o la velocità, ma solo regole per potenziarne i freni. Nel 2009 e poi a seguire ha vinto la finanza, la quale, basata sulla logica del Fsb, per un ulteriore decennio ha lanciato e insieme finanziato la globalizzazione con i frutti avvelenati che oggi stiamo raccogliendo.
Molti osservatori sottolineano dati da cui emerge una Cina in pesantissima crisi economica dopo l’emergenza sanitaria. Altri però – vedi per esempio il Washington Post – avvertono che in realtà i cinesi sono già pronti a invadere di nuovo il mercato “globale” riportando la produzione subito a ritmi altissimi, investendo per conquistare posizioni di mercato e approfittando del fatto che sono in vantaggio temporale nella ripresa dopo l’epidemia.
Non ho idea di quanto potrà davvero succedere in Cina. Francamente penso che potrà esserci invece una frenata nell’ascesa della Cina nella costellazione del potere globale. Oggigiorno comunque non vedo in giro tanti agenti monomandatari delle “Vie della Seta”. Cina a parte, vedo invece il crollo delle classi dirigenti occidentali. Dato che Google non perdona, è facile verificare che troppi sostengono oggi per sopravvivere l’esatto opposto di quello che per decenni hanno detto per vivere. Il primo che non ci crede, alle classi dirigenti occidentali, è il divino mercato. Il mercato reagisce considerando inutili, insufficienti gli strumenti tecnopolitici inventati e applicati finora. Guardi tutti gli ultimi scenari di intervento attraverso banche centrali, Fondo monetario, strumenti europei e quant’altro: una volta il solo annuncio di simili misure avrebbe prodotto effetti, adesso il primo a non crederci, ripeto, è proprio il mercato.
Però la battutaccia di Christine Lagarde alla presentazione del piano contro l’emergenza della Bce («non è compito mio tenere sotto controllo lo spread») qualche effetto lo ha generato.
Francia per Francia, andiamo a rileggerci Marcel Proust, Il tempo ritrovato, volume I. Dice: «Datemi una buona politica, vi darò una buona finanza».
Cosa intende dire?
La soluzione la puoi trovare solo dal lato politico, non da quello della finanza come è stato nell’epoca della globalizzazione. Specialmente negli ultimi anni c’è stata una impressionante rotazione sull’asse del potere, e questo soprattuto in Europa: la politica, i governi, hanno ceduto potere alle banche centrali, e le banche centrali hanno firmato una cambiale diabolica con il mercato, a sua volta ormai dominato in automatico da algoritmi e robot. Quanto alla Bce, la verità è che il quantitative easing iniziato nel 2012 aveva senso come intervento di pronto soccorso. Prolungarlo per 8 anni, quindi trasformare il pronto soccorso in una lunga degenza, ha finito per rendere la cura peggiore del male stesso.
Addirittura?
Beh, in questo momento cosa può fare la Bce? Ha già i tassi sotto zero. Dovrebbe mettersi a produrre altra carta straccia? La verità è che per 8 anni si è alimentato il circuito della cicala: sei al governo e ti regalano soldi senza dover fare manovre né altro. Lei come si comporterebbe? Non è un caso se negli ultimi 8 anni in tutta Europa non c’è stata politica economica, non c’è stata una riforma una.
Si poteva tirare a campare.
Esatto, c’era qualcuno che stampava moneta per te. Distribuiva l’oppio. La Lagarde ha detto una cosa allucinante, ma la verità è che il mercato, dopo averne approfittato per una speculazione istantanea, ha realizzato che la cassetta degli attrezzi è vuota, La verità è che a partire dal 2012 sono stati messi i debiti al posto del capitale, i liquidi al posto dei solidi, i vizi al posto delle virtù, i tassi a zero o sotto zero. Più o meno la profezia di Marx sulla fine del capitalismo quando i tassi fossero arrivati a zero, in generale le avvisaglie di un fenomeno mai visto prima, o forse fin troppo visto: la caduta di fiducia nella moneta. Tenga conto che i mercati non credono alla Fed, figurarsi alla Bce.
Cosa pensa dell’intervento del governo italiano nel decreto “Cura Italia”? L’idea di “regalare” un po’ di soldi a cittadini e imprese, in modo da aiutarli a superare questa emergenza ritenuta temporanea, è corretta?
Non userei la parola “regalo”. L’intervento del governo serve a limitare le conseguenze e i danni causati dal blocco delle attività per l’emergenza sanitaria. Questo credo che sia totalmente fisiologico, corretto. È scritto nella nostra Costituzione: si esce dal pareggio di bilancio per circostanze eccezionali. Ciò detto, si può discutere il merito del decreto, la cui efficacia è enormemente ridotta dalla sua macchinosità burocratica: sarà molto difficile per chiunque non sia un burocrate sperimentato nell’ufficio legislativo di Bisanzio capire quello che sta in quei commi e articoli. A parte il fatto che porta sfortuna dare il nome a un decreto, come ha dimostrato il “Salva Italia”. E a parte la retorica. Ha notato che ogni volta che il “premier” va in televisione ha una bandiera in più alle spalle?
A dire il vero, no.
La bandiera europea, quella italiana, e adesso quella che pare essere la bandiera di Palazzo Chigi. Una bandiera simil-Quirinale. Non credo che siano passati dalla Consip per la commessa. E la prossima bandiera sarà gialla? Comunque sia, il decreto è il prodotto della combinazione tra burocrazia e generoso tentativo di intervento. Quanti di quei 25 miliardi usciranno davvero? Non lo so, è oggettivamente difficile capire 80 pagine di articoli, ciascuno dei quali rinvierà a regolamenti. Quello che so per certo è che sono tutti soldi a debito, che sul debito si pagano gli interessi, e che dal lato del debito l’Italia prima o poi sarà massacrata con gli spread.
Quindi si aspetta che i mercati ci puniranno?
Non lo so, lo chieda a loro… Se vuole le do un po’ di numeri di telefono con i relativi prefissi. Può essere che in una famiglia i soldi arrivino per effetto dell’eredità lasciata da un parente, ma non mi pare che ci siano troppi parenti in giro. E certamente non in Europa.
È sbagliato sperare che dopo l’emergenza tutto riprenda dove era rimasto?
Ovviamente questa è la nostra speranza, ma seriamente va messa in conto anche una ipotesi diversa e non così positiva.
Ci aspettano anni di povertà?
Mettiamola così. Dato che siamo partiti da previsioni fondate su modelli matematici, quelli utilizzati dalle assicurazioni americane considerano i danni sociali prodotti dalle crisi economiche maggiori dei danni prodotti da flagelli sanitari come è questo in atto: depressione, alcolismo, violenza, suicidi, malattie incurabili, eccetera. In questa logica può essere che l’impatto sanitario della recessione sia ancora maggiore dell’impatto sanitario della pandemia in sé, questo è uno scenario da mettere in conto. Dopo di che, è presto per dire se tutto tornerà come prima. Non è chiaro come cambieranno i meccanismi di produzione, di circolazione, la dinamica dei poteri. Prenda il turismo: quando riprenderà? E come? Del lusso, altro settore che potrebbe essere colpito, possiamo anche fare a meno. Il turismo è una cosa un po’ diversa. E pensare che il turismo possa di colpo tornare come prima è una ipotesi su cui occorre davvero molto lavoro e molta fortuna. Ancora, i meccanismi della produzione, il lavoro a distanza: quanto sarà smart il nuovo working? Quali effetti produrrà? Bisogna mettere in conto che cambieranno costumi e abitudini di vita, i rapporti sociali.
Un’altra cosa che cambierà è il commercio? Lei parla di fine del ciclo della globalizzazione, tanti invece prevedono che l’e-commerce e Amazon, simbolo supremo del mercato globale, si mangeranno tutto.
Senta, come ho cercato di dire, è difficile formulare pre-visioni assolute, deterministiche e così via. Quando sento sostenere tesi assolute, immagino che l’oratore venga affiancato da due infermieri che lo portano via. Non per coronavirus ma per coronascemus.
Ma quindi vede male il decreto “Cura Italia”?
Ripeto. Non è che lo vedo male, se fossi in Parlamento lo voterei cercando di semplificarlo al massimo. Mi limito a dire che mi pare l’ultimo realizzabile a debito senza rischi. Gli altri, se ci saranno, saranno più difficili. Tra l’altro già la Germania, e di riflesso l’Italia, erano già verso la recessione. Non mascherata, se non maldestramente, dalla comunicazione del governo: “Non +0,2%, + 0,4%!”. Mi spiego? Ripeto, un intervento come quello fatto con questo decreto era assolutamente necessario, ma i successivi, fatti creando ancora maggiore debito, saranno difficili, anche perché sul debito crepitano gli spread.
Ci si lamenta: se la Covid-19 ha potuto mettere in ginocchio gli ospedali, è colpa di anni e anni di tagli alla spesa sanitaria.
Intanto è giusto usare la parola “sanità”, che è la parola dello Stato: la salute è delle persone, la sanità è degli Stati. A oggi il governo ha seguito la logica della salute, ma sicuramente il pubblico è arrivato in ritardo sulla logica di sanità, che implica confini, prevenzione, controlli. Detto questo, ricordo che ancora nel 2011, il mio ultimo anno al ministero dell’Economia, la spesa sanitaria italiana era, se pure di poco, comunque superiore alla media europea. I tagli sono venuti con il “Salva Italia” e con la conseguente successiva austerità.
A proposito di manovre a debito e austerità: per finanziare questi interventi di emergenza ci toccherà ricorrere al famigerato Mes, e fare la fine della Grecia?
Torniamo a Proust, al Tempo ritrovato. Ancora credo che ci sia solo una soluzione, una soluzione politica, basata sullo spirito originario dell’Unione Europea, lo spirito della solidarietà: gli eurobond. Gli eurobond furono immaginati e proposti da Jacques Delors nel 1994 e furono ripresi dal governo italiano nel 2003, ma furono bocciati dalla presidenza Prodi. In seguito furono discussi nell’Eurogruppo e rilanciati in un articolo sul Financial Times firmato da me e da Jean-Claude Juncker nel dicembre del 2009. Il titolo era “Eurobond Could End Crisis”. Poi arrivò il “salvataggio” della Grecia operato dalla Troika – Lagarde-Draghi-Juncker – e saltò tutto. Ma è l’unica via politica che vedo.
Le sembra che l’esecutivo si stia lasciando governare troppo dai virologi?
Non direi. L’influenza della scienza sulle scelte politiche riguarda ormai tutta l’Europa, è una tendenza universale. Guardi la Francia. Piuttosto, mi pare di ricordare che fino a qualche tempo fa la dottrina fosse “uno vale uno”, No Vax, scie chimiche e simili. Molte cose stanno cambiando, e in questi termini in meglio. L’idea che la casalinga di Voghera possa fare meglio sul bilancio dello Stato di qualunque ministro del Tesoro mi sembra un’idea che va incontro ad una eclissi.