Pensiamo di avere in mano il mondo ma è il mondo ad avere in mano noi
di Susanna Tamaro - 30/07/2021
Fonte: Corriere della Sera
Le tragiche immagini arrivate dalla Germania ci colpiscono in modo particolare in quanto provengono da un mondo in cui tutto sembra fatto per funzionare alla perfezione. Vedere quelle belle case solide, quelle strade regolari, quei giardini ben curati trasformati in un pantano di detriti su cui soffia prepotentemente l’alito della morte ci turba profondamente. Se anche lì succede — nel mondo della razionalità, dell’efficienza, delle regole rispettate e del benessere economico — vuol dire che nessuno ormai è più al sicuro.
Chiunque però abbia una conoscenza anche minima della realtà geologica della Terra e della storia naturale sa che i cambiamenti climatici e i fenomeni estremi sono sempre esistiti e che tutto si può dire della meteorologia, tranne che sia regolare e prevedibile. È la limitatezza temporale della nostra singola esistenza che ci fa immaginare il contrario. E questa percezione — quella del mondo vivente simile a un orologio meccanico cui basta cambiare un pezzo per tornare ad avere l’ora esatta — è aggravata dal fatto che la maggior parte delle persone non ha più un rapporto diretto con il mondo naturale. La natura è diventata un totem ideologico davanti al quale immolare le nostre ansie e paure più profonde.
Una volta, nelle campagne, venivano regolarmente compiuti riti propiziatori per il buon raccolto, per la protezione del bestiame, per la fine della siccità. Si era consapevoli, infatti, che tutto il lavoro fatto, tutti i progetti di vita potevano venire cancellati in una frazione di secondo dall’imprevedibilità della natura. La demonizzazione della plastica, l’esaltazione ossessiva dell’energia pulita non sono che la punta di un iceberg che nasconde un problema ben più profondo. La plastica è un materiale fantastico e, se finisce in fondo al mare, non è colpa sua ma della nostra inciviltà. La plastica poi si può riciclare in forme sempre più sorprendenti e utili, creando più posti di lavoro. Abbassare l’impatto dell’inquinamento dell’aria è sicuramente una cosa importante, ma non è la scialuppa di salvataggio. Non sarà certo il viaggiare su una silenziosa auto elettrica che ci salverà dalle prossime catastrofi. Nessuno ha il coraggio di dire che abbiamo premuto troppo il piede sull’acceleratore ed è questa pressione ad influire pesantemente sull’equilibrio della natura. La pandemia che ci ha colpito — e quelle che ci colpiranno in futuro — è frutto di questa irragionevole corsa ormai fuori controllo. l’idea stessa del mondo come realtà meccanica — se si rompe un pezzo, lo si sostituisce — a essere profondamente sbagliata La cifra della vita sulla terra si basa su una straordinaria complessità relazionale, facile da alterare e difficilissima da rimettere in equilibrio, almeno nei tempi che noi riteniamo utili.
La vera drammatica emergenza è quella del dilagare degli allevamenti intensivi che immettono nel mondo una quantità spaventosa di antibiotici e di gas metano in grado di devastare l’equilibrio della terra, delle acque e di tutti gli esseri che ci vivono.
questa devastazione tossica a uccidere la biodiversità, assieme alle deforestazioni compiute per
creare mangime per gli animali ammassati nelle stalle, aprendo così la strada a nuove e più spaventose epidemie.
Lo spreco alimentare fa sicuramente più danni della demonizzata plastica. I Paesi ricchi producono troppo inutile e scadente cibo, e questo ha un costo altissimo in termini di salute e di devastazione ambientale. La quantità di cibo gonfiato, adulterato, sofisticato che soffoca il mercato e avvelena le persone è un altro segno della nostra follia ambientale. Il nostro mondo è ipertrofico, e in questa ipertrofia si nasconde il germe della distruzione. Una parte del mondo mangia sempre di più e in modo sempre più malato e l’altra si nutre sempre di meno.
Ultimo, ma non in ordine di importanza. Noi abbiamo tradito la nostra etologia ed ecologia di specie. Da cauti custodi del mondo, quali avremmo dovuto essere, siamo divenuti ciechi predatori e questa predazione — presente fino dagli esordi nel cuore dell’uomo — unita alla potenza della chimica e della tecnologia, ha condotto la nostra meravigliosa Terra sull’orlo del baratro. Per avere di più, abbiamo manipolato e alterato l’equilibro tra maschile e femminile, la colonna che da sempre regge il mondo. È estremamente difficile in questi tempi vedere in un pascolo un toro, un ariete, un montone o un gallo. La fecondazione del vivente passa ormai attraverso l’abolizione fisica del maschio. Persino tra le api spesso le regine vengono fecondare artificialmente. Il fine è avere sempre di più e produrre sempre di più. I vitelli nascono lo stesso, così gli agnelli e anche le api. Che male c’è? Pensiamo di essere più bravi della natura. Ma siamo proprio sicuri che sia così?
E se il mondo non è pura meccanica, ma qualcosa di più complesso e inquietante, che ne facciamo di questo immenso, atroce dolore che infliggiamo alle specie domestiche, trasformandole in inerti ammassi di carne? Non veniamo mai colti dal sospetto che tutto questa sofferenza inutile e innocente gridi vendetta al cielo? Non si tratta di diventare tutti vegani — l’allevamento fa parte della storia dell’umanità — è il vedere nell’animale domestico — di cui da sempre ci siamo nutriti — una realtà inerte, una “cosa” manipolabile e sfruttabile a nostro piacimento a contribuire in maniera drammatica allo squilibrio del mondo che ci circonda.
Il problema vero dunque non sta unicamente nell’inquinamento, nei gas serra o nel proliferare della plastica, ma nella perdita del sacro timore che, fin dall’alba della civiltà, abbiamo provato nei confronti del creato. Ci siamo convinti di avere in mano in mondo ma ormai pare evidente che è il mondo ad avere in mano noi.