Per l’Occidente ora il mostro è Putin. Non è cambiato nulla dalla Rivoluzione russa
di Luciano Canfora - 05/06/2022
Fonte: Barbadillo
“Pensare la Rivoluzione russa” è l’ultima fatica di Luciano Canfora, che al festival Pagine di Russia ha scavato nei meandri della revolyutsiya che compie cent’anni, illustrando il pensiero di Saitta e di Deutscher, definendo il ruolo cruciale di Stalin e riflettendo sulla Russia di Putin.
Rosenberg, il “socialista senza partito” che intuì il corso di Stalin
“Rosenberg è vicino alle opere di Deutscher, come La Russia dopo Stalin. Rosenberg nasce antichista, diventa docente di storia, è fieramente monarchico e va in guerra come ufficiale. Addirittura quando vede che le sorti della guerra sorridono alla Germania scrive il bollettino per i soldati. Dopo, però, si trova a respirare il clima di crisi, vede l’Imperatore abdicare, il Bundestag con la bandiera rossa: Rosenberg diventa socialista dell’USPD, movimento che nel ’20 confluisce nel KPD comunista. In un men che non si dica Rosenberg, divenuto pure membro di una commissione incaricata di giudicare i danni di guerra e le colpe tedesche (siamo al paradosso), diventa esponente del KPD nel Comintern. E’ qui che esce dal partito, all’urlo di “sono un socialista senza partito”. Negli anni della conversione politica scrive di storia recente: a quel periodo risale il saggio Storia del bolscevismo. Da Marx a Stalin, pubblicato in Italia nel ’33 da Gentile. Qui Rosenberg – che non è più trozkista – teorizza che la rivoluzione russa ha preso finalmente la sua torsione in senso nazionale grazie a Stalin: partito come moto che punta all’assoluto internazionalismo, ora è parte essenziale dell’elemento nazionale. La Rivoluzione russa diventa stato nazionale interessato alla sua politica nazionale. C’è l’intuizione che il fatto storico comincia in un modo e poi diventa altro: “L’ex comunista che capisce ciò, aiuta anche gli altri a capire. Mentre la Russia di Stalin sale, il Comintern scende”. Così tuona Rosenberg e ha ragione: presto l’inno non è più l’Internazionale e nel ’43 Stalin scioglie il Comintern, con la convinzione che ognuno andrà sulle proprie gambe”.
De Gasperi e Stalin. Così lontani eppure così vicini?
“L’insospettabile De Gasperi, icona duratura, al Brancaccio di Roma, il 22 luglio 1944, affronta il problema nevralgico del rapporto con i comunisti in casa e l’URSS fuori di casa: “L’esperimento russo, senza sminuire il merito del genio di Stalin, porta la speranza di un mondo nuovo. Vanno chiariti e discussi molti punti di divergenza. Se vedo l’URSS come futura unione dei popoli? C’è qualcosa di simpatetico e suggestivo nella Rivoluzione russa”. Continua poi il capo della DC: “Quando vedo che Hitler e Mussolini hanno perseguitato uomini per la loro razza, e i Russi cercare la fusione di 160 razze, in questo tentativo vedo qualcosa di universalmente cattolico”. Alla morte di Stalin – di mezzo c’è stato il piano Marshall, la Nato, è iniziata la Guerra Fredda, il muro di Berlino – De Gasperi (da Presidente del Consiglio), fa un discorso ripreso in toto dal Corriere della Sera: “Non ci ha mai aiutati nel dopoguerra, ma ora che è morto lascia un vuoto. Speriamo che i suoi tentativi di evitare nuovi conflitti siano perpetrati dai suoi successori”. E sempre sul Corriere campeggia quel giorno anche un (esagerato) elogio di Lenin come genio universale: “Abbiamo dissentito con Stalin su tutto, ma Stalingrado è la nostra libertà”. Importante è anche il discorso fatto da Nenni per l’occasione: “La capacità di Stalin è di aver evitato che la Rivoluzione russa facesse la fine della Rivoluzione francese. Abbiamo dissentito quasi su tutto, ma la Storia ha deciso prima ancora che Stalin affrontasse il giudizio della posterità”.
Per l’Occidente ora il mostro è Putin. Non è cambiato nulla
“La Russia odierna ha attraversato un crisi mostruosa, anni di sbandamento, di asservimento e di svendita allo straniero. Ma come le grandi potenze, è tornata. E oggi il nemico, pur essendo così diverso dal nemico di allora, è sempre additato come il male. La contrapposizione dunque non era di principi, ma di potenza, lo vediamo nel presente. La stampa costruisce il mostro Putin, che si comporta da statista. Con un certo richiamo alla tradizione. Il Paese ha ritrovato se stesso. Sulla decolonizzazione Lenin scriveva che sarebbe stato doveroso guardare ai Paesi decolonizzati, perché loro sarebbero stati gli alleati futuri. Ecco il lascito della Rivoluzione russa: la decolonizzazione del mondo”.
a cura di Francesco Petrocelli