Per non perdere l’anima
di Livio Cadè - 13/06/2023
Fonte: EreticaMente
«Infandum, regina, iubes renovare dolorem», tu mi costringi, o regina, a rinnovare un indicibile dolore, dice Enea a Didone che lo esorta a raccontare un triste passato. Perché ricordare? Forse è più salutare dimenticare i mali trascorsi, visto che rammentarli non ci consola di quelli presenti né previene i futuri. Questo non significa che perdoniamo chi ne fu la causa. Solo, lasciamo che scivoli nell’oblio. Smemoratezza forse irrispettosa della storia, ma che alleggerisce i sentimenti. Anch’io soffro nel ricordare quei giorni funesti, quando il mondo si convertì alla fede covidica, quando un vento di follia sollevava la gente nei suoi vortici, come foglie staccate dagli alberi, come corpi che avessero perso l’anima.
A quelli come me, non battezzati e neppure circoncisi secondo i crismi della nuova religione, era proibito lavorare e muoversi liberamente, e molti c’avrebbero di buon grado fatto la pelle. Non eravamo più esseri umani ma scarafaggi, da combattere con una rigorosa disinfestazione; una sporcizia fisica e morale da lavar via per fare della terra un luogo sano e pulito. Chissà se in futuro celebreranno un retorico, lacrimevole Giorno della Memoria anche per noi.
Il panico attizzato quotidianamente dai media, i siparietti dei virologi, le leggi sciagurate, la burocratica crudeltà, quella superstiziosa caccia alle streghe. Credo siano in molti a rimuovere quei ricordi, per una sorta di igiene, di economia mentale, per poter credere a una riconciliazione sociale. O per illudersi che il mondo non covi nuove febbri cerebrali, forse ancor più maligne. Forse un domani, volenti o nolenti, saremo trascinati in qualche Tempio Vaccinale, marchiati e schedati, come secoli addietro uomini pacifici potevano venir portati a viva forza su una nave e costretti ad arruolarsi.
Qualcuno invocherà, come attenuanti per quelli iniquità, il fatto che furono commesse in uno stato di possessione o di sinistra ebbrezza. E in effetti è difficile credere che fosse in uno stato di sobrietà mentale chi invocava leggi marziali e campi di deportazione per i non vaccinati, chi si faceva seviziare le narici con inutili tamponi e pensava che tenere mascherine asfissianti sulla faccia o indossare un paio di guanti lo avrebbe salvato da morte certa. “Pulito, disinfettato, sanificato” erano il compendio di quella nuova dottrina di salvezza; di quel culto dell’igiene (Freud l’avrebbe detta forse una fissazione anale) che rendeva sudicio e peccaminoso ogni contatto e imponeva ossessive e rituali abluzioni senza far differenze tra germi, virus, microbi, batteri, corpuscoli, spiritelli, folletti e ogni sorta di microrganismi o di invisibili chimere.
Sicuramente v’era in quella tormentosa profilassi, in quel terrore d’esser contaminato, un difetto di razionalità e un eccesso di fanatismo, un complesso di sintomi nevrotici e atti compulsivi incompatibili con un cervello sano. È indubbio che la dialettica del terrore causò nella gente una febbrile e violenta eccitazione, la spinse, come un’unica onda, a sommergere chi non si conformava alla mitologia del virus e dei vaccini. Espressioni da guerra civile furono usate per risvegliarne l’aggressività e aizzarla contro il nemico comune, l’untore.
Per altro, sappiamo che partecipare alle emozioni d’una folla produce nell’individuo effetti sconcertanti, lo trasforma nella rotella di un ingranaggio sovra-personale e lo porta a fare cose di cui non l’avremmo creduto capace. Il buon padre di famiglia, il tranquillo borghese, il giovane timido, all’improvviso, presi nel tumulto di una rivolta popolare, si mutano in delatori, assassini o torturatori la cui volontà è succuba di un terribile demone. Passata quella brutale esaltazione, tornando alle consuete occupazioni, sembrerà loro d’aver compiuto quegli atti inumani come in un sogno, o per una nobile ragione, e se ne riterranno moralmente assolti. Forse riceveranno medaglie e benemerenze per la crudeltà dimostrata, mentre la loro Ombra tenebrosa verrà riassorbita nella routine quotidiana.
Così, al tempo della pandemenza, un mentire subdolo e sistematico produsse i fenomeni che don Basilio, nel Barbiere di Rossini, attribuisce alla calunnia: «nelle orecchie della gente s’introduce destramente e le teste ed i cervelli fa stordire e fa scoppiar … Alla fin trabocca e scoppia, si propaga, si raddoppia, e produce un tumulto generale … e il meschino calunniato, avvilito, calpestato, sotto il pubblico flagello va a crepar». Parole di una farsa, che pure si attagliano perfettamente a quel tragico esperimento psico-sociale che ufficialmente venne chiamato Covid-19 ma che di fatto fu – ed è tuttora – un’universale, luciferina Calunnia.
Potremmo dunque rovesciare la questione e trasformare gli accusati in vittime, esseri innocenti la cui sola colpa fu d’esser ingannati dalla Grande Meretrice e dai suoi ruffiani. Ubbidienti cittadini che hanno agito solo per difendere sé stessi e gli altri, pensando in buona fede fosse un loro dovere, come in guerra, adoperarsi per la salvezza del Paese. Come potevano indovinare quale tremenda macchina di corruzione facesse straripare quei fiumi di bugie in ogni angolo del mondo?
Si dirà che i veri colpevoli furono quelli che congegnarono e misero in moto il giocattolo, quelli che ne unsero le ruote, i tirapiedi della politica e dell’informazione, gli scienziati subornati. Anche se costoro, pesci grossi, non resteranno mai impigliati nelle reti della giustizia. E d’altro canto, finché si terrà in piedi la leggenda del Covid, di cosa potremmo incolpare i pesci piccoli, che si lasciarono trasportare dalla corrente?
Tale arringa pretende che, siccome quelle persone erano obnubilate, la loro volontà drogata, prigioniera di una perversa immaginazione, dovremmo scusarle. Ma ammettere in quei soggetti l’incapacità di intendere e di volere non li rende meno responsabili. Né li scagiona il fatto che altri li abbiano plagiati, atterriti con l’evocare lugubri fantasmi, e che sia stato tale panico a trasformarli in allucinati giustizieri.
Ho già ammesso che quella gente fosse ebbra di paura, fuori di sé. Ma io son dell’avviso di Pittaco, uno dei Sette Savi, il quale stabilì questa legge: «se uno è ubriaco, qualora commetta una colpa, la pena gli venga raddoppiata». Aristotele pensava che tale legge fosse utile – perché scoraggiava l’ubriachezza – ma non giusta. Mi pare invece assolutamente legittimo considerare doppiamente colpevole chi fa il male senza consapevolezza: per il male che fa e per la perdita di giudizio.
Le menadi del Covid, nel loro stato di frenesia e invasamento, non hanno causato solo danni oggettivi, hanno sfigurato la libera coscienza e la dignità dell’uomo, abbandonandosi all’ubriachezza, alle sostanze psicotrope dell’informazione, al consumo quotidiano di un hashish mediatico. Si dirà che è paradossale, contrario al senso comune, raddoppiare la pena a chi non è libero e padrone di sé stesso. Ma, a parte che drogarci, ubriacarci, è un atto volontario, e quel che ne consegue è quindi imputabile a una nostra scelta, è proprio il non esser liberi la nostra colpa fondamentale.
San Bernardo dice che vi sono nell’uomo tre libertà: liberum arbitrium, liberum consilium e liberum complacitum (libero esame, libera decisione e libero godimento). Queste tre libertà indicano nell’uomo il suo esser creato “a immagine e somiglianza di Dio”. Il liberum arbitrium è ciò che rende l’uomo imago Dei. È presente tanto in Dio quanto nell’uomo, e non si può esserne privati. Anche l’anima dannata, all’inferno, la conserva. È la facoltà fondamentale di riconoscere un’alternativa e di dare o negare il proprio consenso. Bernardo lo chiama anche libertas a coatione, perché se ne fossimo privi saremmo esseri meccanici, mossi da una pura coazione. Le altre due manifestano invece la similitudo Dei – la somiglianza divina – e sono precarie. L’uomo che ne è privato, pur restando immagine di Dio, ne diventa dissomigliante. Distorta la sua rettitudine originaria, ossia la libertà di decidere e agire bene, si incurva su sé stesso, trascinando con sé una sorda sofferenza. Come dice Giovenale, «nessun uomo cattivo è felice».
Sarebbe dunque un errore riferirci a una libertà ‘singolare’. Immaginiamo, semplificando, un uomo indeciso di fronte all’acquisto di una scatola di biscotti. Il suo libero arbitrio gli mostra un’alternativa e gli permette di vagliare i contenuti di un’opzione. Questa è la sua prima libertà. Ma come arriva a prendere una decisione? Forse si ricorda di averne comprati di simili in passato, oppure può leggere gli ingredienti riportati sulla scatola, basarsi sui consigli di amici o della pubblicità, essere attratto dall’aspetto di una confezione, comparare i prezzi ecc. Così, se non è come l’asino di Buridano, giunge infine a decidersi. Questa è la seconda libertà.
Il problema è: tale decisione è libera? Sì, perché è logicamente contraddittorio pensare una volontà che non vuole ciò che vuole o che vuole ciò che non vuole. Ma cos’è che ha prodotto quella volontà? La risposta può venire solo da un laborioso processo di auto-chiarificazione, che talvolta obbliga a calarsi nel fondo di sé e delle cose. Solo dopo questa scandaglio possiamo dire se la nostra terza e ultima libertà – ossia la concreta possibilità di acquistare e mangiare quei biscotti – sia una libertà reale o fittizia, un atto autonomo o al quale siamo stati indotti da qualche inconsapevole coercizione.
Il liberum consilium, la libertà di prendere una risoluzione, è in certo modo l’anello di congiunzione tra la prima e la terza libertà, tra il libero arbitrio e il libero godimento. Quest’ultimo è detto anche libertas a miseria, perché ci libera dall’infelicità di non poter fare ciò che abbiamo deciso. Quando Pericle dice che la libertà è figlia del coraggio, evidentemente allude a questo liberum complacitum. È necessaria infatti una forza morale per spezzare catene interiori o materiali, per esser liberi di agire in accordo con le nostre decisioni.
Al tempo della virofobia molti rinunciarono a questa libertà per viltà, altri ne furono privati da divieti, minacce, ricatti, sanzioni. Ma anche cause naturali possono pregiudicarla. Un cieco infatti non è libero di vedere, né un paralitico di camminare, per quanto siano coraggiosi. In questo senso, i miracoli biblici (i ciechi vedono, gli storpi camminano) rappresentano simbolicamente la restituzione all’io di due libertà essenziali – di vedere e di agire conformemente – ripristinando in lui un’integrità originaria.
Quindi, la prima colpa di chi assecondò la follia pandemica fu di cedere la propria libertà d’azione per paura. Ma è anche evidente che il coraggio non garantisce da solo un’autentica libertà, se non ha in sé la percezione di un valore, di un bene, verso cui orientare la volontà. La volontà non è però un astratto monolite dello spirito. È piuttosto un magma confuso di convinzioni, desideri, automatismi, immaginazioni, speranze, paure, sogni, pulsioni, istinti, e moti inconsci della psiche che tutti insieme, mescolandosi, determinano i nostri cosiddetti atti volitivi. Quando la nostra decisione affiora, come una bolla sulla superficie di un oceano, e la possiamo portare a effetto, ci sentiamo liberi. Ma cosa ha prodotto quella bolla?
La psicosi pandemica interferì pesantemente in questo processo, non solo impedendo alla gente di fare ciò che voleva, ma controllando la sua libertà di volere ciò che voleva. I più furono così menomati nella loro libertà di decisione, nel loro liberum consilium. Tale menomazione rese del tutto illusorio anche il loro possesso del liberum complacitum, perché mentre pensavano di fare ciò che volevano, non facevano che obbedire a ordini esterni, senza capire che lo facevano a loro danno. La colpa degli ultracovid, come li chiamai all’epoca, fu dunque di abdicare alla propria libertà di esaminare, decidere e agire, di non farne uso.
Per Bernardo l’uomo ha perso due delle tre libertà, ossia la sua similitudo Dei, mangiando il frutto proibito. Ma io credo che questo peccato originale si rinnovi ogni giorno. Il Serpente continuamente ci tenta, e anche il mito del Virus ha agito su di noi come una suggestione diabolica. Come l’antico Rettile, i ministri della virologia, i comitati ‘scientifici’, ci hanno offerto la conoscenza del bene e del male, ci hanno sedotto con false promesse di immortalità: “portate le mascherine, fate i tamponi, vaccinatevi, e sarete immortali”. Ma quelli che caddero nella trappola lo fecero liberamente, come i nostri biblici progenitori. “Vulgus vult decipi”, il popolo vuol esser ingannato, diceva il cardinal Carafa. Chi ci inganna deve sempre contare sulla nostra complicità.
Viceversa, perdere il liberum complacitum non dipende sempre da noi. Nel corso della storia la libertà di fare è stata mutilata da torture, minacce, punizioni, e altri vecchi, ben noti, efficaci sistemi. Durante la pseudo-pandemia è bastato adattarli alle circostanze. A ciò si è però aggiunto l’immenso amplificarsi degli strumenti mediatici, un sistema di occulte persuasioni che rende oggi possibile inficiare anche il liberum consilium, soprattutto facendo leva sulla più primitiva e ingovernabile delle emozioni, la paura. Di fatto, creare sempre nuove emergenze e stati d’allarme, diffondere angosce sociali, è diventato lo strumento ideale per reprimere la nostra facoltà decisionale.
Il Grand Guignol pandemico va dunque visto come tappa fondamentale di un’involuzione che porta alla perdita della libertà, ossia dell’anima stessa. Processo ampio e articolato, dai più inavvertito perché sempre mascherato da buone intenzioni: la salute, l’ecologia, l’utilità, il pacifismo, il bene comune, l’emancipazione sessuale, il progresso scientifico ecc. Così, anche il Covid-19 va inserito in questo progetto generale. Fu la dimostrazione sperimentale di come farraginose, incoerenti affabulazioni scientifiche, politiche e mediatiche potessero manipolare la nostra volontà.
Ci hanno caricati ex abrupto su un immaginario palcoscenico, costretti a partecipare a un dramma surreale chiamato ‘Pandemia’. Ci hanno dato un copione con l’ordine di recitarlo correttamente, d’esser fedeli al ruolo a ciascuno assegnato. E non dovevamo fare domande indiscrete, solo fidarci di quella finzione teatrale come si crede alla vita reale, adattarci a quel che il regista ci diceva di fare. Avremmo potuto osservare meglio e vedere i fili che ci muovevano. Invece ci siamo prestati a quelle favole cupe, ci siamo lasciati manovrare come marionette.
In fondo, come dice Plotino, siamo tutti attori, chiamati a recitare la parte che il destino o il nostro demone ci assegna. La nostra vita è una grande commedia, ma noi ne siamo coautori, perché recitandola le infondiamo il nostro carattere, e sempre conserviamo la libertà di interpretarla. Se dunque neppure i nostri caratteri fisici o mentali possono totalmente condizionarci, tanto meno i ruoli che la società ci impone.
Viceversa, di fronte allo spettro di una pestilenza, la massa ha chiesto lumi ai profeti dei media, si è inchinata agli esorcismi dei decreti, ha subito barattato le sue libertà con l’illusione della sicurezza. “Libera nos a malo!”, imploravano alcuni. “Crucifige!” gridavano altri. Con grande, sciagurata soddisfazione del Regista nel sentire i cori di quella gente che recitava pedissequamente il copione, nel constatare quel sottomettersi così pronto e assoluto.
Ora, se da alcuni elementi si potesse intuire un insieme, io penserei che dietro questi fatti stava lo stesso Potere che da tempo immemore vuol fare del mondo una regio dissimilitudinis, come dice Bernardo, luogo di dissomiglianza dell’uomo da Dio. Solo che questa difformità si è fatta oggi tanto profonda e radicale da aprire nuove temibili prospettive. E forse qualcuno prevede di poter cancellare in noi non solo la libertà di scegliere e di agire ma la stessa imago Dei, riducendo l’anima al nulla, distruggendo anche quel liberum arbitrium che Bernardo riteneva inalienabile.
Ma il piano metafisico si intreccia qui con ipotesi tecnologiche che una mente medievale non poteva sospettare. Bernardo ignorava la possibilità di trasformare la libertà umana in automatismi, formalizzazioni matematiche, illusioni indotte da algoritmi, che si potesse ridurre l’atto del libero esame al risultato di input inseriti nel cervello, di manipolazioni chimiche e neuronali. Non immaginava certo un liberum arbitrium accerchiato da forze – economiche, finanziarie, scientifiche, tecnologiche – alleate nel muovergli guerra, decise a estirpare nell’uomo la radice di ogni libertà.
Vedremo quindi se quella germinale libertà sia davvero una nostra facoltà intangibile o se prevarrà il demonismo del progresso, se perderemo anche quel poco che ancora ci resta del nostro retaggio divino. In tal caso, senza più la nostra libertas a coatione, ridotti a macchine, o appendici di macchine, anche l’ultima scintilla di luce si spegnerà in noi. Ma se questo accadrà, non ne avremo coscienza, perché saremo ridotti a numeri, codici digitali, entità senz’anima.
A questa condizione alienante, forse ancora remota ma verso la quale ci incamminiamo, possiamo opporre solo la nostra lucida e ostinata resistenza. Il male infatti può tentare di corromperci e confonderci, ma non può agire senza il nostro consenso. Deve ancora passare attraverso il filtro del nostro libero esame. E niente lo spaventa più che un risveglio delle coscienze. Perciò non possiamo perdonare chi si ubriachi, chi si addormenti o si lasci incantare.
Ma la prima tentazione alla quale resistere è proprio quella della libertà. Occorre diffidare di ogni apologia e retorica che la celebri incondizionatamente, che continuamente ne allarghi i limiti, fino a renderla una rivendicazione infinita, perché ciò nasconde l’intento di imporci sempre più pesanti servitù. Adducendo un astratto principio di libertà, ci vengono oggi mostrate come buone e razionali le scelte più assurde, innaturali e mostruose, e molti le accettano, vedendovi una liberazione.
Costoro dimenticano che hanno perso il loro liberum consilium, quella facoltà di decidere secondo criteri di verità e di valore che sola può far coincidere la libertà col bene. Dimenticano che, sorretto da un’intelligenza mal consigliata, il liberum complacitum, l’agognato “posso fare ciò che voglio”, diventa uno strumento di auto-distruzione. Rimane loro il libero arbitrio, ma ridotto a inerte virtualità, svuotato di vera sostanza. È quel liberum arbitrium che hanno anche i dannati, quella libertà che l’uomo porta con sé anche all’inferno. Perciò dobbiamo ricordare, per non perdere l’anima.