Per un interventismo pubblico competente e partecipativo
di Mario Bozzi Sentieri - 05/02/2021
Fonte: Mario Bozzi Sentieri
Secondo un recente studio dell’Osservatorio sui Conti pubblici dell’Università Cattolica, in Italia 13 tra le 50 società italiane non bancarie più grandi sono partecipate direttamente o indirettamente dallo Stato ed impiegato circa 556mila dipendenti. Da questo punto di vista si può dire che c’è un “riallineamento” del nostro Paese rispetto agli partner europei, una volta archiviati gli anni delle “liberalizzazioni” ad oltranza, che tanti danni hanno fatto per la tenuta generale del nostro sistema produttivo.
D’altro canto l’interventismo pubblico è una necessità, visti i numeri della crisi sanitaria ed il suo “decorso” devastante sul corpo vivo della Nazione, laddove si è stati costretti a scoprire che il mitico Mercato, di fronte a certe emergenze, non ha né prodotti, né soluzioni da offrire, e che è lo Stato a provvedere: ordinando quarantene, chiudendo le frontiere, limitando le attività economiche, privando i cittadini di alcune libertà costituzionali, intervenendo nei rimpatri, attivando le Forze Armate per gestire le emergenze. Ora tocca, e non certo per una preconcetta battaglia ideologica, alla “mano pubblica”, in realtà mai completamente scomparsa dall’orizzonte economico del Paese. Importante è ridefinire compiti e responsabilità sulla base di una corretta valutazione del ruolo dello Stato e ritrovando un’ormai dimenticata vocazione d’indirizzo, in grado di programmare le grandi scelte strategiche nazionali in campo economico e sociale, attraverso un’attenta politica previsionale, unita alla partecipazione, sulla base delle competenze, delle categorie produttive.
La prima necessità è ripensare un progetto aggiornato d’intervento pubblico, un vero e proprio Istituto nazionale capace di costruire una nuova stagione di crescita, ricapitalizzando le imprese e favorendo investimenti in innovazione. Lavorando – in definitiva – ad un futuro, che – ci dicono gli istituti di ricerca – deve puntare sulla logistica, sui trasporti, sui porti, 5G, robotica, energia, sanità, cultura, turismo, costruzioni, sistema creditizio. Non dunque un ruolo di mero “salvagente” per le aziende in crisi.
Oggi, visti gli standard correnti, un “salto di qualità” andrebbe contemporaneamente compiuto sulle modalità di gestione dell’intervento pubblico. Quando Mussolini, nel 1933, chiamò Alberto Beneduce a presiedere l’IRI, non gli chiese atti di adesione al fascismo (Beneduce non era iscritto al Partito) ma solo di fare bene il proprio mestiere, ovviamente in vista dei superiori interessi nazionali. E Beneduce ci riuscì, circondandosi di manager giovani e di valore, che, nel dopoguerra, continuarono a svolgere egregiamente il loro compito. Quella non era – in definitiva – una classe dirigente a scadenza, né strettamente legata al potere politico, ma aveva nel dna un senso dello Stato e del dovere che oggi sembrano essere attributi rari nei ceti dirigenti. Ciò per la mancanza di una cultura dell’appartenenza, retaggio di decenni di sradicamento spirituale, che ora, proprio di fronte alle emergenze del momento, va recuperata, sviluppata, posta nuovamente alla base del nostro agire collettivo.
Ulteriore fattore essenziale è quello del lavoro. Costruire modelli partecipativi all’interno delle aziende statalizzate e favorire la partecipazione agli utili può essere l’ulteriore “scommessa” per fare del nuovo interventismo pubblico un esempio d’integrazione sociale, una reale alternativa tra i vecchi modelli l’impronta liberista e lo statalismo d’annata.
In sintesi: non bastano nuovi Istituti, pur necessari, a fare nuove e buone politiche, ma occorrono idee, motivazioni, competenze, chiarezza di obiettivi per sostenerne la nascita e corroborarne lo sviluppo. E dunque: programmazione, management di livello (ma ben consapevole del proprio ruolo sociale), partecipazione del lavoratori. E’ questa la grande sfida che sta di fronte all’Italia. Una sfida da cui passa il vero rinnovamento nazionale ed una risposta organica e duratura al dopo Covid19.