Perché considerare le dimensioni inosservate?
di Francesco Lamendola - 29/04/2017
Fonte: Il Corriere delle regioni
Esistono forti indizi che le dimensioni parallele, come le si chiamavano un tempo, specialmente nei romanzi di fantascienza, dopotutto, esistano: lo dicono fior di scienziati, di fisici molecolari, di cosmologi. È molto probabile che non siano solo un’affascinante ipotesi matematica, o una riserva di caccia per scrittori di libri a sensazione, fra pseudoscienza e occultismo: che esistano e che, a determinate condizioni, possano entrare in contatto, sia pure accidentalmente, con la nostra, basata sulle tre dimensioni dello spazio e sulla quarta dimensione, quella del tempo. Non solo la loro esistenza non contrasta con alcuna legge o teoria conosciuta, anzi, può coesistere benissimo con il quadro concettuale dell’universo visibile, così come lo percepiamo nella nostra esperienza quotidiana e anche come lo conosciamo teoricamente; ma, anzi, esse sarebbero in grado di completare una serie di tasselli mancanti, di spiegare talune classi di fenomeni fisici sino ad oggi rimasti inspiegabili e incomprensibili. E già quest’ultimo fatto sposta la bilancia delle probabilità a favore di una piena accettazione della loro esistenza, che, in tal modo, cesserebbe di essere un puro e semplice esercizio di speculazione teorica, per quanto nobile, come lo sono le equazioni della matematica superiore, ma diverrebbe un dato di fatto vero e proprio, e, pertanto, un elemento necessario ad una nostra miglior comprensione dell’universo. Il nostro universo, cioè, vale a dire l’universo finora osservato, o comunque osservabile, verrebbe ad arricchirsi di una prospettiva ulteriore, di una profondità nuova: il fatto di passare da quattro dimensioni a otto, dodici o chissà quante ancora, gli conferirebbe un nuovo statuto ontologico, e, naturalmente, costringerebbe anche la nostra mente a cimentarsi con problemi del tutto nuovi, a confrontarsi con prospettive sconvolgenti e, finora, semplicemente impensabili.
A questo punto, però, prima che i fisici, i cosmologi e i filosofi si gettino a capofitto in questo nuovo scenario, così ricco di possibilità da far girare la testa (la prima domanda sarebbe, naturalmente: come creare, o sfruttare, dei “passaggi” fra le nostre dimensioni e quelle finora inosservate?), qualcuno, animato da una forte dose di sano buon senso e di spirito pratico, potrebbe gelare gli entusiasmi domandando: Ma a che scopo prendere in considerazione, esaminare, cercar di scoprire e di studiare le dimensioni inosservate dell’universo? Dal momento che esse, se esistono, sono rimaste a noi nascoste per tutto l’arco temporale della storia umana; dal momento che abbiamo potuto vivere benissimo senza di loro, e ci troviamo, semmai, fortemente imbarazzati a gestire e organizzare in maniera saggia e armoniosa le nostre conoscenze riguardo alle dimensioni finora osservate, a mettere d’accordo la nostra conoscenza delle leggi fisiche con i risvolti e gli effetti che discendono da essa, sotto forma di tecniche e invenzioni scientifiche che hanno un grandissimo impatto sulla nostra vita, perché mai allora dovremmo imbarcarci in una ulteriore avventura, dai confini quanto mai incerti e dagli esiti decisamente imprevedibili? Questo è un interrogativo serio, e pertanto va preso sul serio. Gli scienziati hanno l’ovvia tendenza a ignorare le domande di senso: per loro, la ricerca è fine a se stessa, ed è ovvio che essa non deve porsi alcun limite preordinato. Proprio per questo, però, è un errore che a decidere tutto siano proprio gli scienziati; bisogna che sia la cultura nel suo insieme, intesa come la parte più matura e responsabile della società, a domandarsi cosa si vuol fare e dove si vuole andare, in accordo con la politica, che è, o dovrebbe essere, l’arte di realizzare e perseguire il bene comune.
Vale pertanto la pena di riflettere se sia saggio e utile (“utile” non solo e non tanto in senso quantitativo, s’intende) allargare l’indagine scientifica alle dimensioni finora inosservate; e pazienza se gli scienziati, o la gran parte di essi, mostreranno fastidio e irritazione già per il solo fatto di aver sollevato la questione, cosa che essi vedono come una intromissione ingiustificata nella sfera di loro esclusiva competenza. Tuttavia, prima di procedere oltre, non sarà male ascoltare il parere di una eminente scienziata che si è particolarmente occupata di tale questione: l’americana Lisa Randall, classe 1962, studiosa di fisica delle particelle e cosmologia, autrice di uno dei modelli più accreditati di universo a molte dimensioni, in alternativa al cosiddetto modello standard della fisica delle particelle. Ecco il suo punto di vista sull’intera questione (da: L. Randall, Passaggi curvi. I misteri delle dimensioni nascoste dell’Universo; titolo originale: Warped Passages: Unraveling of the Universe’s Hidden Dimensions, Echo Press, 2005; traduzione dall’inglese di Gianfranco Pellegrino e Gianluca Cavoto, revisione di Claudio Piga, Milano, Gruppo Editoriale Il Saggiatore, pp. 16-19):
PERCHÉ PRENDERE IN CONSIDERAZIONE DIMENSIONI INOSSERVATE?
Anche se la fisica delle dimensioni extra rende possibili scenari intriganti […], potreste tuttavia chiedervi perché n fisico, normalmente interessato a fare previsioni su fenomeni osservabili, dovrebbe preoccuparsi di cose del genere. La risposta è sconcertante, quanto la stessa idea di dimensioni extra. Alcuni sviluppi recenti suggeriscono che le dimensioni extra – per quanti non ancora riscontrate sperimentalmente, né del tutto comprese – potrebbero nondimeno risolvere alcuni dei misteri fondamentali del nostro universo. Le dimensioni extra potrebbero aver implicazioni sul mondo che possiamo vedere e le idee che le riguardano potrebbero in ultima analisi mettere in luce un insieme di connessioni nel nostro spazio tridimensionale che finora non siamo riusciti a cogliere.
Non riusciremmo a capire perché gli eschimesi e i cinesi hanno in comune cere caratteristiche fisiche, se non facessimo riferimento alla dimensione del tempo: è questa che ci fa conoscere la loro comune ascendenza. Allo stesso modo, le connessioni possibili con dimensioni ulteriori dello spazio potrebbero illuminare certi aspetti problematici della fisica delle particelle portando a soluzione un insieme di misteri vecchi di decenni. Alcune relazioni fra le proprietà delle particelle e le forze, apparentemente inesplicabili quando lo spazio è incatenato a tre dimensioni, paiono armonizzarsi con più eleganza in un mondo con più dimensioni spaziali.
Mi domando se io stessa creda veramente nelle dimensioni extra. Confesso che ci credo. Nel passato pensavo che le ipotesi della fisica proiettata al di là delle cose misurabili – comprese le mie idee – fossero affascinanti, ma le consideravo con un certo grado di scetticismo. Mi piaceva pensare che questo atteggiamento mantenesse desto il mio intereresse e incontaminata la mia onestà intellettuale. Tuttavia, a volte una certa idea sembra proprio che contenga un germe di verità. Un certo giorno, circa cinque anni fa, andando al lavoro, mentre attraversavo il fiume Charles a Cambridge, Mass., all’improvviso mi resi conto che io credevo veramente che le dimensioni extra dovessero esistere, in una qualche forma. Mi sono guardata attorno e ho contemplato la molteplicità di dimensioni che non potevo vedere. A fronte di questo rovesciamento della mia visione del mondo ebbi lo stesso moto di sorpresa provato quando realizzai che io, una newyorkese, facevo il tifo per i Red Sox durante un incontro di spareggio con gli Yankee, un’altra cosa che non avrei mai sospettato, prima di allora.
Una migliore conoscenza delle dimensioni extra non ha fatto altro che corroborare la mia fiducia nella loro esistenza. Gli argomenti contrari presentano tropi punti controversi per essere affidabili; inoltre, senza le dimensioni extra, le teorie fisiche lasciano troppe questioni sena risposta. A mano a mano che negli ultimi anni abbiamo approfondito l’argomento delle dimensioni extra, la gamma dei possibili universi con dimensioni extra simili al nostro si è arricchita. Abbiamo capito così che ciò che avevamo identificato era solo la punta dell’iceberg. Anche se le dimensioni extra non risultassero precisamente conformi al quadro che ne presenterò, è molto probabile che esse esistano lo stesso, in un modo o nell’altro. Segue di qui un insieme di implicazioni sorprendenti e notevoli.
Vi interesserà forse sapere che nell’armadio di cucina potrebbe esserci traccia di una dimensione extra nascosta: più precisamente, la traccia si trova nella padella anti-aderente rivestita di “quasicristalli”. I quali sono strutture affascinanti, caratterizzate da un ordine che appare solo se si assume l’esistenza delle dimensioni extra. Un cristallo è un reticolo estremamente simmetrico di atomi e molecole con un elemento base che si ripete molte volte. Fino a quando rimaniamo nelle tre dimensioni, sappiamo quali strutture i cristalli possano formare e quali schemi di struttura siano possibili. Nei quasi cristalli tuttavia la disposizione degli atomi e delle molecole non si conforma a nessuno di questi schemi. […]
Il modo più elegante di spiegare a livello molecolare la struttura di questo strani materiali è fare ricorso al concetto di proiezione: la struttura dei quasi cristalli sarebbe una sorta di ombra tridimensionale di una struttura cristallina pluridimensionale, che rivela la sua simmetria precisamente in uno spazio a più dimensioni. Le padelle anti-aderenti rivestite di quasi cristalli sfruttano le differenze strutturali fra le proiezioni dei cristalli multidimensionali giacenti nel rivestimento della padella e la struttura, più banale, dell’ordinario cibo tridimensionale. Le differenti disposizioni degli atomi, che impediscono l‘adesione reciproca, suggeriscono pressantemente l’ipotesi che le dimensioni extra esistano e spieghino alcuni fenomeni fisici osservabili.
Certo, Lisa Randall ragiona e si esprime secondo il linguaggio e l’universo concettuale della scienza; noi, che vogliamo svolgere una breve riflessione di tipo filosofico, prendiamo nota dell’uso che ella fa del termine "mistero" come equivalente di "problema", benché si tratti, in realtà, di due cose completamente diverse – il mistero non ha una “soluzione” umana e razionale, il problema sì - e andiamo avanti, dopo aver chiarito questo punto, allo scopo di eliminare preventivamente possibili fraintendimenti dovuti, appunto, all’ambiguità del linguaggio.
La ragione principale per cui ella afferma la sensatezza di prendere in considerazione le dimensioni inosservate è la stessa per cui afferma di credere alla loro esistenza, e cioè perché esse potrebbero spiegare dei fenomeni fisici attualmente inspiegabili, e conferire una luce nuova all’universo del nostro spazio tridimensionale (e si noti quel confesso che ci credo dal sapore doppiamente religioso: per l’uso del verbo “credere” e per quello del verbo “confessare”; linguaggio insolito, si direbbe, per uno scienziato). Come dire che, per il fisico, vale la pena di scommettere sull’ipotesi delle dimensioni extra, così come per il credente, diceva Pascal, vale la pena di scommettere sull’esistenza di Dio: dal momento che, se si perde la scommessa, non ci si rimette nulla, ma se si vince, si vince tutto (e infatti anche Pascal era un matematico). Come era da prevedersi, per gli scienziati l’ipotesi delle dimensioni extra è allettante, nel senso che essa è più conveniente dell’ipotesi contraria, ossia che le dimensioni extra non esistano, precisamente perché promette di aiutarli a risolvere delle questioni che, attualmente, li imbarazzano, ma che, alla luce di quella possibilità, sono forse suscettibili di trovare una spiegazione che è, allo steso tempo, più facile e più elegante: e si noti che questa faccenda, dell’eleganza concettuale, gioca una parte frequente e non secondaria in tutte, o quasi tutte, le teorie matematiche e scientifiche. Per adoperare le precise parole della Randall: Alcune relazioni fra le proprietà delle particelle e le forze, apparentemente inesplicabili quando lo spazio è incatenato a tre dimensioni, paiono armonizzarsi on più eleganza in un mondo con più dimensioni spaziali.
Prendiamo buona nota di ciò e ora passiamo a chiederci quale sia, o quale dovrebbe essere, l’approccio teorico alla questione da un punto di vista non scientifico, bensì filosofico (tralasciamo l’obiezione di quanti non vedono la differenza tra ciò che è strettamene scientifico e ciò che appartiene all’ambito filosofico, perché non è una obiezione seria: se lo fosse, tanto varrebbe chiudere per fallimento i cantieri della filosofia e metterli in liquidazione, nonché ribattezzare scienziati tutti i filosofi e assumerli nelle nuove vesti di pensatori in camice bianco). Secondo noi, un interesse filosofico verso l’universo extradimensionale si giustifica per ragioni analoghe, ma non identiche, a quelle degli scienziati. Le dimensioni inosservate possono fornire una spiegazione soddisfacente ad una serie di problemi (non di misteri!; per quelli, non c’è “soluzione”, ma solo accettazione, che è cosa ben diversa), i quali, altrimenti, sarebbero destinati a restare senza risposta. Ma non solo: guardate da un nuovo punto di vista, esse altro non sono che il dominio dell’essere, laddove la nostra esistenza ordinaria si nuove nella sfera degli enti. Pertanto, lo scienziato può, o forse deve, ipotizzare che esse esistano, ma non possiede gli strumenti per conoscerle, può solamente specularvi sopra, e può servirsene, per deduzione, nel suo sforzo di dare una spiegazione al mondo delle cose visibili. Ecco perché abbiamo voluto precisare la differenza fra “mistero” e “problema”. La dimensioni ulteriori sono, in ultima analisi, mistero, e non arriverà il giorno in cui gli scienziati potranno “vederle”, né “spiegarle”, perché, se ciò accadesse, gli scienziati non sarebbero più creature umane, ma sarebbero simili a Dio. E affinché questa affermazione non appaia troppo drastica, o troppo arrischiata, si rifletta come sia impossibile, per una ipotetica creatura bidimensionale, avere la visione, nonché la vera comprensione, di un mondo tridimensionale: il minimo che si possa dire è che il suo cervello non è fatto in maniera tale da poter cogliere quel mondo, così come i suoi sensi non sono adeguati a vederlo e a udirlo, neppure se andasse a sbatterci contro. Quel che vedrebbe e che udrebbe, cercherebbe comunque di spiegarlo all’interno del proprio universo concettuale, ossia di un universo a due sole dimensioni. E poi si rifletta che un mondo a molte dimensioni sarebbe ancora più estraneo, sia da percepire che da comprendere, per noi, abitanti di un mondo a tre dimensioni spaziali. Per noi, lo “spazio” è quello a tre dimensioni, altezza, larghezza e profondità; uno spazio a molte dimensioni non sarebbe più uno “spazio”, per noi, ma un’altra cosa, totalmente diversa. I suoi confini diverrebbero incomprensibili, e i confini sono proprio ciò che conferisce a una determinata cosa la sua natura. Più i confini di una cosa sfumano, e più quella cosa è indecifrabile, “misteriosa”, appunto.
In altre parole, le altre dimensioni esistono, ma non appartengono allo “spazio” così come lo intendiamo noi; noi che, già alla luce della quarta dimensione, il tempo, siamo costretti ad ammettere che lo spazio si può deformare in maniera tale da cambiare completamente aspetto (le pale di un elicottero che girano ad altissima velocità formano un oggetto pressoché unico, un “tetto” impenetrabile, mentre, quando sono ferme, lo spazio fra di esse è largamente accessibile). Pertanto, secondo logica, dobbiamo ammettere che le dimensioni ulteriori si sottraggono alla nostra capacità di comprensione, la quale è “tarata” per decifrare le cose di un mondo a tre sole dimensioni, più il tempo. Non è questione d’intelligenza: non è che un uomo particolarmente intelligente possa “vedere” e “capire” le altre dimensioni, e un altro, meno intelligente, non possa. Forse sarebbe saggio, a questo punto, riconoscere che noi esseri umani, per quanto intelligenti, non possiamo eccedere la nostra “misura”, ossia il nostro statuto ontologico: dobbiamo riconoscere un limite, il quale, essendo ontologico, e non storico, rimarrà sempre invalicabile. E se questo è vero, poniamo, per la quinta dimensione, a maggior ragione lo sarà per la sesta, la settima, l’ottava; la nostra mente non giungerà mai neppure a immaginare il significato della pura e semplice espressione: un universo a n dimensioni. Per la nostra mente, queste resteranno solo parole. Non c’è niente di male ad ammettere l’esistenza di questo mondo invisibile; anzi, è giusto e doveroso accoglierlo, come possibilità teorica più che probabile, nel nostro quadro concettuale: ma non è dalla scienza, necessariamente descrittiva e quantitativa, che ci verrà alcuna spiegazione relativa al suo “mistero”. Non è questa la strada giusta da seguire, se si vuole procedere oltre.
Vi sono delle persone che, da sempre, non studiano scientificamente le altre dimensioni, tuttavia le sperimentano nelle profondità del loro essere: i mistici. Il mistico è colui che penetra oltre la realtà delle dimensioni a noi note e getta uno sguardo al di là. Non è lui che solleva il velo del mistero: è l’Essere che lo solleva davanti al suo sguardo. Ecco perché il mistico conosce il passato e il futuro (e ne abbiamo innumerevoli esempi, storicamente documentati, proprio come piace agli scienziati); ecco perché vede le cose invisibili, ad esempio quel che accade a distanza, o una malattia nascosta nel corpo di un altro essere umano, che gli strumenti della medicina non hanno saputo vedere: il velo gli è stato tolto dagli occhi, e gli è stato fatto dono di vedere oltre i muri, oltre il mare, oltre il domani, oltre l’ieri. Chiunque abbia letto qualche biografia di santi, sa che tali cose accadono, ma non esiste una maniera scientifica per spiegarle. Diciamo soltanto che l’ipotesi di un universo multidimensionale è quella che meglio si accorda con tutti i fenomeni soprannaturali che si accompagnano al misticismo, o con quelli di cui parla la Bibbia. Invece di star lì a cavillare se gli indemoniati descritti nei Vangeli fossero dei malati d’isterismo, i cattolici modernisti farebbero bene a riconoscere che la scienza non può rendere ragione del mistero, ma che il nesso esiste (se non ci credono loro!), e che la religione ne è la porta d’accesso. Qui la filosofia deve fermarsi e cedere il passo alla teologia e questa, a sua volta, dovrà cedere il passo alla fede. Anche questo è un mistero...