Perché l’allergia è divenuta la malattia del secolo?
di Francesco Lamendola - 16/08/2019
Fonte: Accademia nuova Italia
Le statistiche dicono che quindici milioni di persone, in Italia, soffrono di allergia. Quindici milioni, su una popolazione complessiva di sessanta milioni, rappresenta il 25%: esattamente un quarto degli italiani. Naturalmente non è una malattia specificamente italiana, perché numeri paragonabili si riscontrano nel censimento delle malattie allergiche di tutto il mondo. Inoltre non si tratta di un dato stabile: ancora le statistiche dicono che i casi di allergia sono in continuo aumento, in una progressione sconcertante, che spinge anche l’osservatore più distratto a domandarsi, come del resto fanno già i medici, a cosa sia dovuto il fenomeno, visto che i nostri nonni non ne soffrivano in così larga misura e che, risalendo ancora più indietro, non si hanno testimonianze del fatto che l’allergia fosse una patologia di massa, bensì relativa a pochi casi isolati. Certo, alcuni decenni fa l’aria non era impregnata di sostanze chimiche utilizzate largamente nell’agricoltura, né di quelle dovute agli scarichi e alle emissioni industriali, sostanze che naturalmente passano nell’acqua e nella costituzione dei vegetali e degli animali da allevamento, e da lì nel sistema circolatorio, nel fegato, nel cervello e in ogni altro organo e tessuto del nostro corpo. E tuttavia, l’inquinamento atmosferico e quello dell’acqua e dei cibi è sufficiente a spiegare il dilagare sempre più incontenibile delle patologie allergiche, dovute sia ai pollini primaverili, specie delle graminacee, sia agli acari e ad altre sostanze presenti in qualsiasi periodo dell’anno e in qualsiasi ambiente, sia umido che secco e polveroso, sia rurale che urbano? Non ne siamo affatto persuasi, e quindi ci sembra doveroso considerare meglio l’origine del fenomeno, invece di concentrarci esclusivamente - come fa in genere la medicina accademica – sui sintomi e sulle terapie da seguire: perché individuare le cause di una malattia significa aver già fatto metà della strada che conduce verso il modo più efficace per contrastarla o, meglio ancora, se possibile, prevenirla.
Scriveva il dottor P. Sangiorgi, già libero dicente di Patologia medica preso l’Università di Pavia, una figura di medico che la cultura ufficiale ha totalmente rimosso - probabilmente perché non si uniformava all’indirizzo che la medicina accademica ha preso nel corso del Novecento, ma era ancora legata a quella del medico-umanista di antica memoria - nel suo libro A tu per tu con l’allergia (Varese, Istituto Editoriale Cisalpino, 1956, pp. 248-249):
L’influenza dell’ambiente nella predisposizione dell’allergia clinica è ovvia. Già dissi che, per lo più, occorre una lunga esposizione ad una sostanza per acquistarne la sensibilizzazione o soggiacere ad una sua esposizione massiva. Ovvio, quindi, che sia più facile per un cittadino di New York, dove in ogni metro cubo di aria vi sono, in primavera, milioni di grani di polline di “ragweed” [ambrosia: pianta spermatofita dicotiledone della famiglia delle Asteracee], cader vittima della pollinosi che per un pescatore del Labrador o una guida alpina. E così, le zone umide predispongono all’allergia alle muffe, quelle industriali ai loro pulviscoli specifici, le case coloniche alle polveri dei cereali e delle stalle.
La vita che si conduce nelle grandi città predispone all’allergia più di quella che si conduce nelle città piccole o nelle campagne. Questo si osserva persino nelle pollinosi, in contrasto col fatto che nelle campagne vi sono più pollini che nelle città. Fino dal 1937, ho interpretato questo orientamento allergofilo con la maggiore instabilità dell’equilibrio neurovegetativo di coloro che vivono la vita tumultuosa ed eccitante delle città più popolose, e confermavo le vedute dell’Haaag che il vitto delle moderne folle urbane, ricco di carni, di grassi, di uova, di pesci, ecc., sia il maggior responsabile dell’asma allergico, dell’orticaria, dell’eczema, dell’emicrania e delle coliti, anche se l’allergene si di tutt’altra natura. L’uso eccessivo delle proteine animali, delle carni ad alto contenuto colesterinico compronette, anzitutto, la funzionalità epatica e contribuisce alla formazione di quei fattori che entrano a far parte della predisposizione allergica intesa in senso generale.
Traverso il vaglio delle mie osservazioni non mi sembra di poter affermare che un tenore di vita molto disagiato predisponga particolarmente all’allergia. Chi affronta intemperie e rigori stagionali può andare incontro a conseguenze morbose, specialmente respiratorie che, a loro volta, potranno favorire lo instaurarsi di allergie nasali o bronchiali, ma può anche allenarsi a tali cause e superarle. Non assistiamo spesso al fatto che soggetti i quali vivono una loro comoda vita, difesa dagli insulti dell’ambiente, del clima o del lavoro, cadono facilmente in preda alle più diverse manifestazioni allergiche? Probabilmente è in giuoco qui la maggiore labilità neuro-vegetativa con la quale non soltanto si può nascere, ma che può si può acquisire fra i colpi e i contraccolpi, gli abusi e le eccitazioni di una vita esasperatamente vissuta come esasperatamente la si vive oggi nelle nostre civilissime città sia dal punto di vista sessuale che intellettuale ed alimentare, per tacere degli incubi e dei terrori vissuti durante la prima e la seconda guerra mondiale e le angosce di una avvenire economico e sociale estremamente cupo ed incerto,..
Ecco perché l’allergia non sembra soltanto, ma effettivamente è in aumento; ed è la “malattia del secolo”.
Per quel che riguarda gli aspetti psicologici, spirituali e morali del proliferare delle malattie tipicamente “moderne”, ne abbiamo già parlato in diverse occasioni, ricorrendo anche agli scritti di psicologi di valore, anche se pochissimo conosciuti al di fuori della loro ristretta cerchia, come nel caso del sacerdote giuseppino Domenico Franco di Oderzo (vedi specialmente l‘articolo: L’ecologia della mente come presupposto dell’equilibrio spirituale, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 06/09/07 e ripubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 06/01/18). Ma è possibile separare tali aspetti, diciamo così invisibili, dagli aspetti materiali, virali o genetici, ossia dagli aspetti visibili, osservabili e misurabili in sede clinica? Noi crediamo di no; e osiamo affermare che quasi sempre la malattia (e adoperiamo il “quasi” per una forma inveterata di prudenza intellettuale, che d’altronde ci sembra giusta di fronte al mistero della natura), di qualunque genere essa sia, ad eccezione delle patologie traumatiche, è la risultante di una predisposizione ereditaria, di un complesso di cause esterne accidentali - microbiche o altro – ma anche di un orientamento generale della vita interiore di quel determinato soggetto. Infatti è ben diverso il caso di un organismo non solo sano, ma sostenuto da una forte volontà di vivere, il quale viene aggredito da una malattia infettiva, e quello di un organismo altrettanto sano, ma indebolito da una stanchezza spirituale o da una forma di rifiuto o disgusto della vita, per cui esso cerca, inconsciamente, non la guarigione, ma l’aggravamento del proprio male e, in prospettiva, la morte, percepita dal subconscio come la sola liberazione possibile da una condizione esistenziale del tutto insoddisfacente. Del resto, i microbi sono qui, tutto intono a noi, nell’aria, nell’acqua, negli oggetti che tocchiamo, perfino dentro di noi, nella gola, nel naso, nello stomaco, nell’intestino, a milioni e milioni; eppure ben raramente noi ci ammaliamo. Se la salute dipendesse dalla loro assenza, allora nessuno dovrebbe mai essere sano; e del resto, come spiegare che, di fronte a un’aggressione microbica, un organismo permane perfettamente in salute, mentre un altro soccombe all’attacco, deperisce e muore? Evidentemente, la condizione psicologica, spirituale e morale in cui si trova ciascun individuo fa la differenza: pensieri positivi e una forte fiducia in se stesso sono già elementi deterrenti nei confronti delle malattie, che alimentano la risposta dell’organismo nell’attivazione degli anticorpi. Gli anticorpi li abbiamo tutti, sono lì al nostro servizio e servono appunto a contrastare l’aggressione degli agenti patogeni esterni: perché dunque essi talvolta non rispondono, o rispondono in maniera troppo debole e troppo lenta? È molto probabile che anche l’insorgere dei tumori, dovuta a una proliferazione geneticamente “sbagliata” delle cellule di un organo o di un tessuto corporeo, abbia origini non materiali, ma interori: ad esempio, come ha sostenuto il dottor Ryke Geerd Hamer (1935-2017), l’esperienza di un trauma emotivo, di un conflitto, di uno stress, che determina l’insorgenza della proliferazione tumorale in una parte ben precisa del corpo, a seconda del tipo di shock che l’individuo ha subito.
Lo stesso discorso vale per i pollini e per tutte le sostanze chimiche presenti nell’aria e suscettibili di scatenare una reazione allergica da parte dell’organismo. Se certe muffe, o certi acari, o certi pollini, sono allergenici, perché una bella fetta della popolazione rimane del tutto immune dai loro attacchi, o, per meglio dire, non reagisce in alcun modo alla loro presenza, come se neppure se ne avvedesse? In un certo senso, di fronte al problema dell’insorgere delle malattie noi dovremmo capovolgere la nostra prospettiva tradizionale, e chiederci non perché un certo organismo soccomba a una certa patologia, ma perché ciò non accada anche a tutti gli altri, i quali si trovino in condizioni simili di ambiente, di clima, e magari anche di patrimonio genetico e predisposizioni familiari. E dunque: pollini, acari e muffe rappresentano il fattore scatenante delle allergie; ma qual è la vera causa di esse, la loro origine profonda? Infatti, se tali sostanze chimiche avessero di per sé il potere di far insorgere delle patologie, non si vede perché non dovrebbero colpire indistintamente tutti gli individui, o prima o dopo. In particolare, il fatto che le allergie da polline colpiscano un maggior numero di soggetti nelle zone urbane, dove le piante sono confinate entro poche aree verdi e lungo i viali alberati, invece che in ambiente rurale, attesta chiaramente quale sia la radice del problema: non l‘agente scatenante in sé, ma la natura dei soggetti i quali subiscono l’attacco senza riuscire a difendersi adeguatamente. E non vi è dubbio che gli organismi degli abitanti delle città sono più deboli e maggiormente predisposti a subire negativamente gli effetti della loro presenza, che non gli organismi degli abitanti dei paesi e delle campagne, sebbene in tali zone sia presente una massa di pollini immensamente più grande.
Le allergie si possono definire la malattia del secolo perché sono strettamene correlate con il tipo di vita che gli uomini conducono nell’ambiente moderno per eccellenza, quello delle città agitate da mille forze contrastanti e i cui abitanti sono esposti a mille stimoli, sia materiali che intellettuali, sensoriali, sessuali. Il dottor Harold Shryock faceva osservare che le emozioni sono, di per se stesse, elementi perturbatori dell’equilibrio psico-fisico e quindi potenzialmente nemiche della salute dell’individuo; aggiungiamo che il sistema neuro-vegetativo, nello stile di vita tipico delle città moderne, è aggredito continuamente da stimoli ed elementi perturbatori che lo costringono a consumare, per potersi difendere, più energie di quante, sovente, riesca a ricostituirne mediante il suo ciclo naturale. L’individuo allora fa ricorso a farmaci di vario tipo, anche solo per ripristinare le normali funzioni fisiologiche: l’appetito e il sonno, le quali, se non vengono soddisfatte, finiscono per creare un corto circuito che conduce inevitabilmente l’organismo al collasso. Ecco dunque una prima conclusione, in apparenza sorprendente: le malattie, e in modo evidente le allergie, sono alterazioni del sistema neuro-vegetativo che colpiscono in primo luogo le persone sottoposte a un tipo di vita particolarmente innaturale, eccitato e frenetico, cioè quelle maggiormente proiettate fuori di sé, all’inseguimento di beni e obiettivi che sono dei veri e propri miraggi, nemici della vera pace e dell’equilibrio spirituale (cfr. su ciò il nostro articolo: La causa delle malattie, in ultima analisi, è allontanarsi dall’Essere, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 20/08/17). In senso specifico, le allergie attestano un rifiuto inconscio dell’esistente: sono una ribellione del corpo (che non mente) a condizioni di vita stressanti, angosciose e frustranti e presentano qualche analogia, in senso psicologico profondo, con la diarrea (l’espulsione patologica delle feci come desiderio di fuga dalla realtà), con certe forme di tosse compulsiva di origine isterica, e con la sudorazione eccessiva o i rossori incontrollati dovuti a una sollecitazione abnorme dell’emotività. In questo senso, e come tutte le altre malattie, l’allergia è un campanello d’allarme che segnala, perlopiù inutilmente, che l’equilibrio dell’io con se stesso e fra l’io e il mondo si è rotto e chiede una riparazione. Perciò, invece di precipitarsi ad assumere farmaci, chi ne è colpito dovrebbe farsi qualche domanda sul tipo di vita che conduce e provvedere a una correzione di rotta.
Una brevissima nota personale. Chi scrive ha sofferto di allergia da polline sin da piccolo; da adulto essa si è estesa agli acari e da stagionale è divenuta permanente. Le cure farmacologiche prescritte dalla medicina ufficiale si sono rivelate del tutto inefficaci. A quel punto è intervenuto un vecchio che curava l’allergia secondo il calendario lunare, inserendo due lunghi spilli nei lobi delle orecchie, in un giorno e ad un’ora precisi; spilli che andavano rimossi ventiquattro ore dopo. Qualche mese di tale pratica ha sortito il successo più totale: da allora, e son passati vent’anni, neppure uno starnuto…