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Perché la sovversione degli USA è fallita in Iran

di Tony Cartalucci - 25/02/2018

Perché la sovversione degli USA è fallita in Iran

Fonte: Aurora sito

Alla fine del dicembre 2017 i media occidentali riferirono di proteste “diffuse” che investivano l’Iran. Narrazioni indistinguibili dalla “primavera araba” progettata dagli Stati Uniti nel 2011 invasero testate e social media su una “rivolta popolare” stimolata da presunti risentimenti economici, prima che i manifestanti iniziassero a fare richieste riecheggianti il dipartimento di Stato degli USA sugli affari interni interni e la politica estera dell’Iran. Le proteste erano in effetti così indistinguibili dalla “primavera araba”, dichiaratamente statunitense, che la disillusione sul destino di nazioni come Libia e Siria probabilmente ebbe un ruolo nel sventarle in Iran.

Propaganda occidentale sopravvive ai disordini
Un articolo di Politico intitolato “Perché la rivolta iraniana non morirà”, nel tentativo di promuovere la narrativa occidentale sulle proteste iraniane, pretendeva che: “…Gli iraniani erano infuriati mentre lottavano per nutrire i figli, mentre il loro governo spendeva miliardi nelle avventure in Libano, Siria, Iraq e altrove. Mentre l’Iran è impoverito, il regime è più ricco. Mentre gli iraniani soffrono, gli alleati del regime sono diventati potenti e prosperi”. Tuttavia, quando Politico pubblicò l’articolo il 7 gennaio 2018, scritto da Alireza Nader, analista della RAND Corporation, le proteste erano già “morte”. L’articolo di Politico non fu l’unico pubblicato giorni e persino settimane dopo che le proteste erano finite, indicando che i media occidentali avevano preparato settimane, persino mesi, di propaganda sui disordini iraniani nell’informazione, e con gruppi d’opposizione sostenuti dagli Stati Uniti che tentavano di alimentarli sul campo. Nonostante i preparativi che i documenti politici degli Stati Uniti indicavano attivi da anni, comprendendo non solo la creazione di gruppi opposizione e armati in e ai confini dell’Iran, ma l’accerchiamento dell’Iran stesso con basi militari statunitensi in Siria e Iraq col pretesto di “combattere lo Stato islamico (SIIL)”, le proteste fecero rapidamente il loro corso e finirono. Se la maggior parte degli iraniani fosse davvero spinta sulle strade da gravi rimostranze economiche e politiche, e poiché tali rimostranze non sarebbero state affrontate, è improbabile che le proteste si estinguessero così rapidamente e con uso minimo della forza del governo iraniano, anche secondo i media occidentali. Tuttavia, se le proteste furono organizzate dall’occidente e guidate da movimenti di opposizione illegittimi ed impopolari in Iran e all’estero, dopo che l’occidente ha già abusato a lungo di tali tattiche di trasparente sovversione, le proteste “diffuse” che spariscono in pochi giorni non solo era probabile, ma inevitabile.

I vasti preparativi di Washington
I preparativi per il rovesciamento dell’Iran hanno ben più di un decennio e trascendono le varie amministrazioni presidenziali statunitensi, repubblicane o democratiche, compresa quella del presidente Trump e del suo predecessore Obama. La Brookings Institution, nel suo “Percorso verso la Persia: Opzioni per una nuova strategia americana verso l’Iran” del 2009, tracciava ampi piani per minare e rovesciare il governo iraniano.
Capitoli del documento:
Capitolo 1: Un’offerta che l’Iran non dovrebbe rifiutare: Persuasione;
Capitolo 3: Andare in fondo: Invasione;
Capitolo 4: L’opzione Osiraq: Attacchi aerei;
Capitolo 5: Scatenare Bibi: Permettere o incoraggiare l’attacco militare israeliano;
Capitolo 6: Rivoluzione di velluto: Supportare un rivolta popolare;
Capitolo 7: Ispirare un’insurrezione: sostenere le minoranze e gruppi di opposizione iraniani;
Capitolo 8: Colpo di Stato: Sostenere un golpe militare contro il regime.
Va notato che ogni opzione fu perseguita dal 2009, sia contro l’Iran direttamente o contro la Siria nel tentativo di diffondere il conflitto oltre i confini iraniani. Ciò include l’uso da parte di Washington d’Israele per effettuare attacchi aerei sulla Siria, mentre gli Stati Uniti tentano di mantenere la plausibile negazione. In tali capitoli furono elaborati piani dettagliati per creare e sostenere organizzazioni di opposizione politica che gruppi armati islamisti; definire una serie di sanzioni economiche con cui poter fare pressione su Teheran e creare divisioni e malcontento nella popolazione iraniana; proporre metodi per attaccare militarmente l’Iran sia segretamente che apertamente, nonché possibili modi di spingere Teheran alla guerra. Il documento fu scritto poco dopo la fallita “rivoluzione verde” sostenuta dagli Stati Uniti lo stesso anno, una protesta da essi progettata, più ampia per dimensioni e durata delle ultime.

Gli Stati Uniti tentavano di stressare l’Iran in vista della sovversione
Un altro documento della RAND Corporation del 2009, intitolato “Pericoloso ma non onnipotente: esplorare portata e limiti del potere iraniano in Medio Oriente“, osservava che la politica estera dell’Iran persegue principalmente l’autodifesa. Il documento notava esplicitamente che: “La strategia dell’Iran è in gran parte difensiva, ma con alcuni elementi offensivi. La strategia dell’Iran per proteggere il regime da minacce interne, scoraggiare l’aggressione, salvaguardare la patria in caso d’aggressione ed estendere l’influenza in gran parte difensiva, anche se utile ad alcune tendenze aggressive se accoppiata ad aspirazioni regionali iraniane. È in parte una risposta a dichiarazioni e posizioni politiche degli Stati Uniti nella regione, specialmente dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001. I leader iraniani prendono molto sul serio la minaccia d’invasione con l’aperta discussione negli Stati Uniti del cambio di regime, discorsi che definiscono l’Iran parte dell'”asse del male” e gli sforzi statunitensi per accedere nelle basi degli Stati circostanti l’Iran”. Il documento discute degli ampi legami dell’Iran con la Siria ed Hezbollah in Libano, nonché i crescenti legami con l’Iraq. Questi legami, secondo lo stesso documento della RAND, furono perseguiti per creare un cuscinetto nel vicino estero dell’Iran contro l’aggressione militare degli Stati Uniti. Nel 2011, gli Stati Uniti perseguivano la guerra per procura che consuma il Medio Oriente e Nord Africa (MENA) con la Libia rovesciata e in rovina quell’anno, e la Siria consumata dai conflitti alimentati da terroristi stranieri armati dai Paesi confinanti come Turchia e Giordania. Il fatto che la Libia fu rovesciata prima e poi usata come trampolino di lancio per l’invasione della Siria, illustra il contesto regionale che guidò l’intervento USA-NATO in Libia. In sostanza, gli Stati Uniti attaccavano i pilastri della difesa nazionale dell’Iran nel vicino estero. Sapendo quanto Siria, Libano e Iraq siano cruciali per la strategia della difesa nazionale dell’Iran, ostacolando l’accerchiamento degli Stati Uniti e tenendone a bada gli alleati regionali, in particolare nel Golfo Persico, la destabilizzazione della regione era volta ad attirare gli iraniani in un costoso intervento regionale. Le forze iraniane diedero ampio aiuto a Siria e Iraq, anche militare diretto e indiretto, nella misura in cui, insieme a decenni di sanzioni economiche imposte all’Iran da Stati Uniti ed alleati occidentali, contribuivano alle cosiddette “proteste economiche” sostenute dagli Stati Uniti in Iran, nel tentativo di farvi leva. Gli Stati Uniti hanno truppe in diversi Stati del Golfo Persico tra cui Qatar e Bahrayn, in Iraq dall’invasione del 2003 e in Afghanistan ai confini orientali dell’Iran dal 2001. Ultimamente, gli Stati Uniti hanno occupato la Siria orientale e aiutano ampiamente i gruppi armati curdi in Siria e Iraq. Gli Stati Uniti forniscono anche sostegno politico e segreto ai terroristi baluci nel Pakistan sudoccidentale e nell’Afghanistan occidentale. È chiaro che gli Stati Uniti continuano a circondare ulteriormente l’Iran dal 2011 sia con proprie forze, sia con fantocci impegnati nei costosi conflitti ai confini dell’Iran.

Un’opposizione lasciata intenzionalmente “Senza nome”
Nonostante i sensazionali titoli occidentali che promuovevano e tentavano di perpetuare disordini in Iran, i media occidentali furono particolarmente attenti a non identificare i gruppi politici e armati scesi nelle strade. Proprio come in Libia e Siria, dove i “manifestanti pro-democrazia” alla fine si rivelavano estremisti di note organizzazioni terroristiche, molti dei protestanti in Iran avevano origine oscure. I manifestanti in Iran invocarono gruppi di opposizione e figure nominati nel documento della Brookings del 2009 dal titolo “Trovare i fantocci giusti“. Tra questi, il Mujahedin-e Khalq (MEK), designato terroristico dal dipartimento di Stato degli Stati Uniti, tolto nel 2012 con l’unico scopo di consentire agli Stati Uniti di finanziare e armare apertamente il gruppo. Includeva anche la figura dell’opposizione in esilio Reza Pahlavi, figlio del detestato Shah che risiede negli Stati Uniti. La maggior parte delle notizie pro-opposizione in Iran proveniva da media apertamente finanziati dagli Stati Uniti, come la versione in lingua farsi di Voice of America del dipartimento di Stato USA e il “Centro per i diritti umani in Iran” di New York. Affermare che le recenti “proteste” iraniane erano semplicemente espressioni “spontanee” di frustrazione iraniana e non semplicemente il passo successivo della cospirazione statunitense contro Teheran, è un’assurdità che i media occidentali hanno sempre più difficoltà a spacciare presso il pubblico globale.

Il ritorno degli investimenti di Washington
Tuttavia, i disordini, uniti agli sforzi degli Stati Uniti per circondare l’Iran, hanno perlomeno fatto pressione su Teheran, costringendolo ad investire più risorse interne mentre combatte molteplici conflitti con gli Stati Uniti nella regione. Il documento del 2009 della BrookingsQuale percorso per la Persia?” afferma esplicitamente che: “Mentre l’obiettivo finale è rimuovere il regime, lavorare con l’opposizione interna potrebbe anche essere una forma di pressione coercitiva sul regime iraniano, dando agli Stati Uniti una leva su altre questioni”. Continua affermando: “In teoria, gli Stati Uniti potrebbero creare una leva coercitiva minacciando il regime d’instabilità o addirittura rovesciarlo e, dopo, usare questa leva per strappare concessioni su altre questioni come il programma nucleare iraniano o il sostegno ai militanti in Iraq”. Tuttavia, ogni volta che gli Stati Uniti tentano di usare l’opposizione finanziata dall’estero e gruppi armati per destabilizzare l’Iran, specialmente se le alternative ai dominanti media occidentali crescono, tale tattica perde credibilità, sostenibilità e quindi fattibilità. Che le recenti proteste abbiano fatto il loro corso così rapidamente nonostante l’Iran sia oberato militarmente ed economicamente da anni dai conflitti in Siria, Iraq e Yemen, illustra quanto sia insostenibile tale opzione della politica estera per gli Stati Uniti, quando la si punta contro Stati formidabili come l’Iran. Una combinazione di preparazione nella guerra delle informazioni, forze di sicurezza ben preparate e contro-proteste ben organizzate da Teheran, smussava quest’ultima sovversione sostenuta dagli Stati Uniti. La chiara impotenza di Washington verso Teheran, unita ai tentativi di rovesciare il governo siriano ed affermare l’egemonia sull’Iraq, indebolisce ulteriormente l’illusa legittimità che gli Stati Uniti tentato da decenni di costruire attorno la loro politica egemonica ed illegittima. L’ingerenza sempre più sciatta e trasparente di Washington in Iran minerà gli sforzi di quest’anno, quando Washington si prepara a destabilizzare altre nazioni, dal Sud America all’Asia sud-orientale. E con gli Stati Uniti che accusano la Russia d’intromettersi nella politica interna, si porranno ovvie domande sul motivo per cui non è accettabile che Mosca “influenzi le elezioni statunitensi”, ma sia accettabile che gli Stati Uniti attraverso organizzazioni come National Endowment for Democracy (NED) e USAID non solo influenzino apertamente le elezioni nel mondo, ma dirigano apertamente interi partiti d’opposizione da Washington DC. Il ritorno dell’investimento di Washington sui suoi ampi e finora falliti tentativi di destabilizzare e rovesciare l’Iran è davvero discutibile. L’Iran, così come altre nazioni che potrebbero essere prese di mira dagli Stati Uniti, esamineranno semplicemente questo ultimo giro di proteste e saranno meglio preparati per la prossima volta. Man mano che sempre più persone sono consapevoli delle tattiche utilizzate dalla sovversione sostenuta dagli Stati Uniti, tali tattiche diverranno meno efficaci.

Gli Stati Uniti ancora perdono in Siria e Iraq
Nel frattempo, le proteste in Iran sembrano aver avuto scarso impatto sulla precaria posizione di Washington nella vicina Siria, mentre le forze siriane continuano ad avanzare su Idlib, e lotta per giustificare la propria presenza nella regione orientale del Paese. Se Idlib viene liberata, lascerà le forze di occupazione statunitensi e turche ai margini del conflitto e della legittimità internazionale. Una guerra irregolare contro le forze turche o statunitensi in Siria potrebbe trasformare le rispettive occupazioni in conflitti insostenibili e costosi. Sarà difficile distinguere tra forze irregolari siriane, russe o iraniane ed organizzazioni terroristiche che Turchia e Stati Uniti armano e finanziano mentre contemporaneamente dicono di combattere. Proprio come il ripetuto abuso delle proteste sostenute dagli Stati Uniti gli è costato uno strumento prezioso, una volta nel suo bagaglio dei trucchi geopolitici, l’uso del terrorismo contro Stati presi di mira sembra destinato a ritorcersi contro Washington. Come tutti gli imperi decadenti nella storia umana, gli Stati Uniti non potranno semplicemente “tornare a casa”. Ci vorranno molti anni di conflitti diretti e indiretti prima che gli Stati Uniti siano completamente sradicati dalla regione MENA. Tuttavia, lo spettacolare fallimento della sovversione sostenuta dagli Stati Uniti in Iran prima di Capodanno, potrebbe essere l’ulteriore prova del declino irreversibile dell’egemonia statunitense.Traduzione di Alessandro Lattanzio