Persa la guerra, adesso il conto lo paga l’Europa
di Francesco Sylos Labini - 20/02/2025
Fonte: Il Fatto Quotidiano
Il Segretario della Difesa degli Usa, Pete Hegseth, ha delineato con estrema chiarezza le tre condizioni concrete concordate da Donald Trump e Vladimir Putin per avviare i negoziati sulla fine della guerra in Ucraina: nessuna adesione dell’Ucraina alla Nato, una richiesta avanzata dalla Russia sin dalla Conferenza di Monaco del 2007, quando Putin dichiarò esplicitamente che questa sarebbe stata una linea rossa invalicabile. Nessuna presenza di truppe americane in Ucraina. Nessuna applicazione dell’articolo 5 Nato e nessuna missione di pace di quest’ultima in Ucraina. Le ultime due condizioni appaiono scontate, considerando che la guerra è scoppiata proprio per impedire la presenza di forze Nato in territorio ucraino.
Tuttavia, l’elemento più significativo del discorso di Hegseth è stato il riconoscimento che “la posizione americana riflette la dura realtà della situazione sul campo di battaglia”. In altre parole, gli Usa e con essi la Nato, hanno perso la guerra per procura contro la Russia. Non si tratta di un “tradimento”, ma di un dato di fatto: la guerra è persa, e gli Stati Uniti stanno prendendo atto delle conseguenze. A giudicare dal dibattito italiano, a partire dall’infelice discorso del presidente Mattarella, che ha paragonato Putin a Hitler, si continua invece a credere che la guerra possa essere vinta deformando la realtà attraverso una narrazione di comodo: il bene contro il male, la democrazia contro l’autocrazia ecc. Ma se la verità è la prima vittima della guerra, alla fine riemerge e presenta il conto. E questa volta, quel conto sarà particolarmente salato per l’Europa.
La guerra è ancora in corso e si concluderà solo quando Stati Uniti e Russia raggiungeranno un accordo soddisfacente per entrambi. Attualmente, la Russia gode di un notevole vantaggio militare, mentre gli Usa possono far leva su un’intesa vantaggiosa per Mosca, legata alla nuova architettura di sicurezza europea, volta a prevenire future tensioni già visibili all’orizzonte: dall’Artico al Baltico, fino al Mar Nero. Se l’Ucraina è stata devastata e ha subito una distruzione impietosa, è però l’Europa a trovarsi nella posizione più fragile: politicamente sconfitta, nemmeno considerata un interlocutore rilevante al tavolo delle trattative. D’altronde, i leader europei continuano a fare l’unica cosa che hanno dimostrato di saper fare negli ultimi tre anni: sabotare ogni tentativo diplomatico. Per questo irrilevanti e dannosi, e un eventuale accordo di pace non potrà che essere deciso sopra le loro teste.
Il conto di questa guerra, tuttavia, non riguarda solo l’Europa, ma l’intero Occidente. L’immagine degli Stati Uniti è cambiata per sempre: da liberatore a grande disgregatore. Tuttavia, la debolezza dei paesi occidentali è ancora più profonda. Come ha dichiarato il Segretario generale della Nato, Mark Rutte: “La Russia ora produce in tre mesi le munizioni che l’intera Nato, nonostante sia venti volte più grande della Russia in termini economici, produce in un anno”. E questo nonostante il fatto che la spesa militare russa ammonti a circa 130 miliardi di dollari all’anno, ovvero dieci volte inferiore rispetto alla spesa complessiva di tutti i paesi Nato messi insieme. Se questi 1.300 miliardi di dollari annui destinati alla difesa dovranno essere ridotti, come afferma lo stesso Trump, è evidente che la débâcle industriale e organizzativa dei paesi della Nato diventerà un tema centrale del dibattito pubblico, una volta che verrà riconosciuta la sconfitta.
La soluzione, tuttavia, non potrà limitarsi a un semplice aumento dei finanziamenti all’industria bellica. Sarà necessario un cambiamento strutturale del sistema tecnologico, con un rinnovato investimento nella formazione e nella ricerca. Senza filiere intellettuali e produttive solide, e senza un radicale ripensamento del ruolo dello Stato nell’economia, sarà impossibile invertire la rotta e rispondere in modo efficace alle sfide future. Nell’immediato, a causa di un’inadeguata classe dirigente, l’Europa si avvia verso un periodo di marginalità politica, che si spera non segni l’inizio di un “secolo della grande umiliazione”. L’ultima a morire è la speranza: quella che l’opinione pubblica europea, anestetizzata da una stampa che ha finito per credere alla propria stessa propaganda, inizi finalmente a prendere coscienza della quantità di bugie che l’hanno investita. L’unica via percorribile è riconoscere la verità sulle cause e conseguenze della guerra e, partendo da questa consapevolezza, ridefinire il proprio ruolo nel nuovo mondo multipolare.