Petrolio e dollaro: accoppiata (ancora) vincente?
di Sàntolo Cannavale - 14/01/2017
Fonte: Sàntolo Cannavale
Appare poco comprensibile l’atteggiamento ostile del Presidente Donald Trump nei riguardi del Messico, con riferimento, in particolare, agli investimenti delle case automobilistiche degli Stati Uniti operanti anche in quel Paese limitrofo. A mio sommesso avviso, la minaccia di Trump di applicare forti dazi sulle automobili prodotte ed importate dal Messico potrà generare in questo caso più danni che benefici per gli stessi Stati Uniti.
Giuseppe Brianza sul Fatto Quotidiano tratta un argomento molto importante che ritroveremo di frequente nei prossimi anni, durante l’inattesa, imprevista presidenza di Donald Trump negli Stati Uniti d’America.
Così esordisce Brianza: "Facciamo un salto indietro al 1975. Messi in condizioni critiche dalla guerra del Vietnam (finita nel 1971), gli Stati Uniti compiono un’operazione epocale: tolgono la garanzia sul dollaro (golden dollar, ndr), che equivaleva a 35 Us$ per ogni oncia d’oro. Le ragioni apparenti erano presto dette: per pagare i propri debiti il governo americano doveva stampare parecchi dollari di carta e c’era – e forte – il rischio che gli Stati sovrani corressero a convertire quella carta in oro. Tutto da condividere l’articolo in oggetto per quanto riguarda l’evoluzione di eventi che, in via parallela ed a partire dagli anni ’70 del secolo scorso, hanno riguardato dollaro e petrolio." ...
Va precisato che gli Stati uniti hanno attualmente un debito pubblico di circa 20.000 miliardi di dollari e noi italiani sappiamo bene cosa vuol dire avere una esposizione debitoria statale di tale dimensione: nel 2011 abbiamo saggiato un amaro passaggio economico e politico (dimissioni governo Berlusconi ed entrata in campo senza voto popolare del neo-senatore Monti) che ha portato alle stelle lo spread (differenza di tasso d’interesse sui Buoni del Tesoro Poliennali) tra BTP italiani e Bund tedeschi fino ai 700 punti percentuali.
In pratica, in quella fase storica, mentre il Bund tedesco rendeva il 2%, il BPT italiano rendeva il 9% (7% + 2%). E ciò come conseguenza, in quella particolare contingenza, della temporanea perdita di valore dei titoli di Stato italiani.
Rammento a me stesso che il debito pubblico italiano era pari a 1.900 miliardi di euro a dicembre 2011 ed è cresciuto progressivamente fino agli attuali 2.230 miliardi di euro. Attualmente il relativo apprezzamento internazionale (rating) è in fase "riflessiva"!
Va detto anche che del debito pubblico americano circa il 40 per cento è nelle mani di cinesi, giapponesi ed altri (governi ed investitori privati) ed il neo-Presidente Trump dovrà tenere ben conto di questa delicata emergenza finanziaria che, in casi di logoramento delle sue relazioni internazionali, potrebbe causare una forte ricaduta negativa sulla credibilità dell’”Azienda America” e sulla capacità del dollaro di essere punto di riferimento per le transazioni commerciali e finanziarie internazionali, cosa che oggi avviene abitualmente, senza destare preoccupazioni negli operatori circa la validità e solvibilità della moneta USA.
Appare poco comprensibile, d'altro canto, l’atteggiamento ostile del Presidente Donald Trump nei riguardi del Messico, con riferimento, in particolare, agli investimenti delle case automobilistiche degli Stati Uniti operanti anche in quel Paese limitrofo. A mio sommesso avviso, la minaccia di Trump di applicare forti dazi sulle automobili prodotte ed importate dal Messico potrà generare in questo caso più danni che benefici per gli stessi Stati Uniti.
La produzione di automobili in Messico distribuisce comunque reddito nel Paese sudamericano, invoglia gli stessi messicani ad acquistare automobili ed altri prodotti USA e crea le basi per un rapporto di dialogo costruttivo tra le due Nazioni con medesimi confini e grandi potenzialità.
Trump invece, a quanto si legge e si ascolta, intende erigere muri invalicabili, tra Usa e Messico, magari con costi a carico dello stesso governo messicano.
Il futuro darà ragione di queste scelte e spiegherà l'entità degli eventuali errori di partenza della nuova Amministrazione degli Stati Uniti che incideranno da subito sul valore di scambio del dollaro nei riguardi dello yen giapponese, del renminbi (o yuan) cinese e dell'euro, nel caso auspicabile di futura "esistenza in vita" e di rafforzamento dell'Unione Europea.