Più Brics in un mondo multipolare. Scenari tra Europa e USA, Russia e Cina
di Carlos Pereyra Mele - 23/04/2025
Fonte: L'Adige
Pubblichiamo la lunga e dettagliata intervista realizzata da Federico Dal Cortivo a Carlos Pereyra Mele, analista argentino e direttore della testata Dossier Geopolitico, nonché membro del Centro di Studi Strategici sulla Sicurezza. La sua è una lettura dell’Europa e delle tensioni geopolitiche ed economiche globali di grande attualità da un punto di vista alternativo, quello dei Brics e della possibilità ormai concreta che ai blocchi tradizionali Est-Ovest si aggiunga, anche attraverso la crescita della potenza cinese e il crescente isolazionismo di Trump, un terzo polo che vada oltre la globalizzazione. La visione di Pereyra è singolare e a tratti provocatoria e paradossale, ma apre una finestra di sicuro interesse su un mondo che l’Europa e l’Italia devono abituarsi a conoscere.
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Sembra che gli Stati Uniti con l’arrivo di Trump abbiano lanciato un offensiva globale a tutto campo per cambiare le carte in tavola nella grande scacchiera geopolitica, che sta creando timori in molte cancellerie europee e non solo, in gioco l’assetto creato durante la “ guerra fredda”, le alleanze, i rapporti con Russia, Cina ed Europa.
“In linea di principio, sembrerebbe una sorta di “cambiare tutto purché nulla cambi”. Fondamentalmente si cerca di ristrutturare le alleanze e le istituzioni che sono state create dopo la vittoria degli Alleati contro l’Asse. Proprio quest’anno ricorre l’80° anniversario, una situazione che oggi è diversa e lontana da quella del maggio 1945. Per quanto riguarda i poteri e le capacità degli Stati nazionali essi si contendono un posto in competizione per il Nuovo Ordine Mondiale cercando inoltre di rifondare o eliminare le alleanze della Guerra Fredda e del periodo egemonico emerso dopo l’implosione sovietica, per crearne di nuove.
Ma tutto continua a ruotare intorno al sostegno dell’egemonia statunitense sul resto del mondo, una situazione complicata per Washington oggi, ma fondamentalmente anche per gli Stati europei, dato che non c’è alcun segno che la politica di Trump voglia cambiare la rotta per quanto riguarda la dottrina storica degli Stati Uniti in relazione all’Europa, che è sempre stata: “Essere in Europa, controllare la Germania e separare la Russia dall’Europa”.
Carlos Pereyra Mele, analista argentino e direttore della testata Dossier Geopolitico
Gli Stati Uniti che dopo la Seconda Guerra Mondiale erano diventati la più grande industria manifatturiera del mondo, ora con Trump cercano di recuperare questo privilegio. Ed ecco allora ritornare in auge i “dazi”, mai veramente del tutto scomparsi nel mondo, ma sicuramente messi in second’ordine nell’agenda globalista senza frontiere seguita alla scomparsa dell’Unione Sovietica. Secondo lei questa strada a cosa può condurre nel breve e medio periodo? Forse stiamo assistendo a un ritorno del concetto di nazione, economia reale a scapito di quella finanziaria?
l’egemonia americana, svolta o tramonto?
“Bisogna ricordare che la Seconda Guerra Mondiale ha trasformato gli USA nella Superpotenza egemone del mondo “occidentale”, che si era lasciata definitivamente alle spalle le conseguenze del crollo finanziario del 1929, creando un mondo a sua immagine e somiglianza con la – soft economy- e con il-soft power della propaganda basata su Hollywood – il famoso sogno americano, perché è stato l’unico Paese che non ha subito la distruzione del suo apparato industriale, che negli anni ’50 era soprattutto industriale. Esso rappresentava il 50% del PIL mondiale unito al dominio assoluto nella scienza e nella tecnologia trasferito al suo complesso produttivo e inoltre con il vantaggio di essere un continente, bio-oceanico con gigantesche risorse naturali. In campo finanziario ha poi beneficiato dell’uso discrezionale del dollaro come standard di scambio economico internazionale.
“Questa situazione è cambiata a partire dagli anni ’70 con le imprese transnazionali, le multinazionali e la Commissione Trilaterale. E’ l’esempio dei mutamenti che sarebbero avvenuti, con gruppi che negli anni ’80 hanno cambiato il loro profilo economico produttivo per concentrarsi sul controllo dei brevetti, sulla gestione finanziaria dei servizi, che portò alla delocalizzazione delle fabbriche in Occidente prima e in seguito, con la scomparsa dell’Unione Sovietica, alla delocalizzazione delle sue aziende in Occidente e successivamente in tutto il mondo e soprattutto in Asia.
“Ma oggi, 34 anni dopo la scomparsa dell’URSS e il decennio di egemonismo assoluto degli Stati Uniti (anni ’90), questo modello unilaterale è in crisi, in quanto diversi Paesi, soprattutto gli “Stati Civiltà” come Cina, Russia, India, Iran, principalmente, e potenze regionali di secondo ordine come Brasile, Sudafrica, Egitto, Turchia, Indonesia, hanno prima timidamente, ma poi con sempre più forza hanno evidenziato la loro contrarietà verso questo unilateralismo, e ciò a partire da circa 15 anni fa. Ecco perché lo strumento trovato dalla squadra di Donald Trump per riportare la situazione agli anni d’oro dell’egemonismo unilaterale sono oggi le “tariffe”, accusando il mondo che si sarebbe avvantaggiato facendo affari con USA, praticamente saccheggiando la sua economia. Ma oggi i Paesi che chiamano sprezzantemente “revisionisti” competono con loro in brevetti e scienza e tecnologia e hanno raggiunto una capacità industriale che sovrasta quella rimasta agli USA, ed è difficile per loro scegliere se stabilirsi negli USA o lasciare la Cina.
Donald Trump, presidente degli Stati Uniti: come finirà il suo esperimento geopolitico?
“È ancora troppo presto per dire come finirà l’esperimento trumpista e se alla fine avrà un moderato successo. Io ne dubito, ma possiamo già essere certi che se sarà un successo esso sarà moderato. Ma possiamo già essere sicuri nell’affermare che l’egemonismo unilateralista degli Stati Uniti sarà impossibile da ristabilire. E’ la guerra per procura che a mio parere ha installato l’atlantismo globalista finanziario occidentale in Europa orientale con un progetto di guerra sviluppato dal 2014, e che per me probabilmente finirà in un confronto quasi diretto tra la NATO e la Federazione Russa, nelle pianure ucraine”.
L’economia di pechino è già la risposta ai dazi
“Perché? Perché questa guerra ha dimostrato che solo le nazioni sovrane con significative capacità industriali, tecnologiche, sviluppate scientificamente e con risorse naturali, alimentari e finanziarie, possono avere successo e ottenere un posto di rilievo nel nuovo ordine mondiale che emergerà dopo una sconfitta della NATO europea, da cui gli Stati Uniti di Trump vogliono allontanarsi. Gli Usa vogliono fuggire il più rapidamente possibile da questo disastro e cercare di recuperare parte del denaro investito nella NATO e nel regime di Kiev dai vari governi statunitensi, puntando a trasformare ciò che resta dell’Ucraina in un territorio per delle multinazionali e recuperare i “prestiti” dati a Zelensky. Sì, siamo di fronte a una rinascita degli Stati-nazione, ma sovrani come ha ripetutamente affermato Putin fin dall’inizio di quella che definisce un’operazione militare speciale”.
La Cina è stata colpita in questi giorni da dazi del 104% e altri dovrebbero prendere di mira l’Europa. Le contromisure sono all’orizzonte, ma qual è la situazione in America Latina?
“Va notato che gli Stati Uniti hanno emanato dazi per oltre il 150%. Nonostante ciò hanno incontrato una dura risposta da parte della Cina che combatterà fino alla fine, probabilmente vincendo questa partita. Alcuni dati sulla prepotenza Usa nella cosiddetta “guerra commerciale” con la Cina: USA e Cina hanno 1416 milioni di abitanti, di cui gli USA 341 milioni. Delle 54 tecnologie all’avanguardia o critiche per lo sviluppo, la Cina ne domina 47. La Cina produce 15 volte più acciaio e 20 volte più cemento degli Stati Uniti. La Cina produce 3,5 volte più automobili degli Stati Uniti e ha una capacità di costruzione navale 200 volte maggiore degli Stati Uniti. La Cina produce il 50% dell’acciaio mondiale, il 60% dell’alluminio e il 50% dei prodotti chimici, Inoltre produce il 52% delle navi del mondo, il 60% delle auto elettriche e così via. L’elenco sarebbe infinito, per non parlare degli indicatori sull’istruzione universitaria e professionale.
“L’istruzione universitaria e la formazione professionale e la creazione di brevetti supera quella degli Stati Uniti. Può esserci qualche dubbio su quale siano l’economia reale e il PIL più grandi del mondo? Quello che gli Stati Uniti stanno cercando di fare in questo momento è di sconvolgere, di creare caos nelle catene di produzione globali della Cina, ma è improbabile che ci riescano. Né credo tenteranno una guerra. Ma Trump ha dovuto fare marcia indietro sui dazi alla Cina e li ha eliminati sul 35% delle esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti perché altrimenti distrugge la sua industria tecnologica”.
I BRICS sono in crescita grazie allo sviluppo della CIna di cui la Grande muraglia è il simbolo
“La nostra America Latina negli ultimi 20 anni si è legata molto più alla Cina come partner commerciale che agli Stati Uniti. E dopo le esternazioni e il disprezzo di Trump, grazie anche alle sue dichiarazioni scortesi come “Tutti i Paesi fanno la fila per venire a baciarmi il culo se vogliono negoziare” credo che le risposte saranno molteplici e diverse rispetto a ciò che Washington si aspetta, soprattutto in Sud America dove gli investimenti cinesi e gli accordi di libero scambio sono molto importanti. Il motore economico del Sud America, il Brasile, ha già avviato una serie di attività diplomatiche e di accordi con la Cina, con i diversi paesi del bacino Asia-Pacifico e la maggior parte della regione si muoverà in quella direzione, siano essi con governi di destra o di sinistra. L’unica nota stonata sarà sicuramente l’Argentina di Milei, che ha deciso di andare oltre la tradizione diplomatica argentina e di stare senza alcun beneficio con il trumpismo e il fondamentalismo sionista di Netanyahu”.
Quindi l’ordine unipolare sembra oramai entrato in fase terminale e nuove forze rivendicano un ruolo, a cominciare dai Brics che si stanno allargando. Che futuro vede nei prossimi anni per i rapporti internazionali?
“Siamo a un punto di svolta nella storia, poco compresa in Occidente, poiché l’educazione delle nostre società si è orientata prima verso un eurocentrismo culturale e poi verso la centralità della sfera anglosassone come creatrice della civiltà, il che ci ha impedito e impedisce a molti in Occidente di comprendere il cambiamento che si verifica ogni 100 o 150 anni, come ha affermato Xi Jinping, Ma anche i dati concreti stanno dimostrando questi cambiamenti. Il G7 dei Paesi più sviluppati, una volta dominante, è stato superato a fine 2024 dal PIL prodotto dai BRICS come percentuale del PIL globale prodotto. La curva ascendente dei BRICS allargati si separa dalla curva discendente del G7. Da qui l’importanza che ha acquisito il formato G20 e si osserva anche che nei vari vertici il G7 non riesce a imporre condizioni favorevoli ai suoi componenti. L’unipolarismo è già un ricordo del passato, irripetibile. Oggi potremmo parlare di un tripolarismo che porta al multipolarismo. Tripolarismo guidato da Stati Uniti, Cina e Russia e dai loro più stretti partner strategici. Siamo sicuramente di fronte a una nuova fase storica, e che non è altro che lo spostamento del potere da Occidente a Oriente”.
Crede che l’Europa possa ricoprire un ruolo di primo piano o sarà oscurata da nuove potenze emergenti e si ritroverà a dover seguire gli Stati Uniti?
“L’Europa è stata lasciata alla deriva dopo aver commesso due grandi suicidi che sono state le guerre mondiali del XX secolo, tanto che per alcuni storici e politologi sono state due guerre civili delle tribù europee. In seguito è stata alla mercé prima del mondo ridisegnato a Yalta e Potsdam controllato dalle superpotenze emerse, gli Stati Uniti in Occidente e l’URSS nell’area eurasiatica. Nel periodo dell’unipolarismo egemonico anglosassone l’Europa ha beneficiato dell’essere partner degli Stati Uniti e della sua globalizzazione degli anni ’90, ma sono sempre state sotto il controllo della potenza americana sia militarmente con la NATO che in ambito economico”.
L’Unione Europea è in cerca di un ruolo in un equilibrio che sta superando i blocchi tradizionali
“Sono stati gli USA a dare impulso all’Unione. Ed è per questo che dal 1945 l’Europa ha avuto poca sovranità decisionale nelle azioni di politica estera, dal momento che ha sempre agito come braccio esecutivo delle decisioni prese a Washington. Oggi gli europei conoscono sulla propria pelle la frase attribuita a Henry Kissinger: essere un avversario degli Stati Uniti è pericoloso, ma essere un partner è fatale. Inoltre oggi si capisce che l’Europa ha diverse debolezze: demografica, economica, la dipendenza dalle risorse strategiche ed energetiche, l’arretratezza tecnologica e scientifica, le popolazioni aggrappate a un nichilismo distruttivo, la perdita della spiritualità cristiana in quasi tutte le sue varianti e con classi dirigenti politiche create e amministrate dal potere neoliberale trionfante dagli anni ’80 in poi. E questo si riflette nella loro mancanza di unità d’azione per affrontare le sfide del XXI secolo”.
“L’esempio più patetico di questa mancanza di unità è stata la loro non reazione alla pandemia del 2020, che è stata presto dimenticata dagli europei, con i medici cubani e russi che aiutavano a salvare un sistema sanitario al collasso in Europa. Se gli europei non riprendono il controllo del proprio destino nella penisola europea dell’Asia, il loro destino sarà quello di essere un cortile di casa degli Stati Uniti, con alcuni stati che ne beneficeranno. Non tutti gli europei però, in quanto verrà utilizzato il vecchio dogma imperiale del divide et impera. Il rilancio come subcontinente civile non sta nell’armarsi fino ai denti come pretendono i burocrati di Bruxelles, anche perché gli acquisti di armi ad alta tecnologia saranno effettuati negli Stati Uniti, mentre nel contempo si tagliano i bilanci per lo sviluppo dei loro stati come nella sanità e nell’ istruzione, elementi fondamentali per avere risorse umane formate che favoriscano poi un decollo delle capacità industriali del continente. In caso contrario avranno uno stato sociale sempre più precario, a tutto vantaggio delle grandi corporazioni e dei gruppi finanziari in un’Europa in ritardo anche dal punto di vista tecnologico”.