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Prigozhineide

di Daniele Perra - 11/07/2023

Prigozhineide

Fonte: Daniele Perra

Ora che, con il rientro nei ranghi, la “Prigozhineide” può dichiararsi ufficialmente conclusa, vediamo di trarne brevemente le conclusioni.
Non c'è stato alcun tentativo di “colpo di Stato”. Seguo ormai da tempo l'operato di Prigozhin e del cosiddetto Gruppo Wagner (chi fosse interessato può vedere l'articolo “La dottrina Prighozin” pubblicato sul sito informatico di “Eurasia” o leggersi direttamente i suoi articoli dottrinali). Prigozhin è in primo luogo un imprenditore prestato alla guerra, ed in secondo luogo un nazionalista russo convinto. Allo stesso tempo gestire, una compagnia militare privata non è esattamente come gestire una fabbrica di materassi. E il Gruppo Wagner non è composto di ragazzini coscritti. In larga parte si tratta di ex militari (molti ufficiali “purgati” dall'esercito regolare) e mercenari di varia estrazione (con un discreto numero di ex detenuti, come ammesso dallo stesso Prigozhin). In qualità di “gestore” di questa organizzazione (che ha spesso operato a stretto contatto con il GRU, il servizio segreto militare russo), Prighozin ha  il dovere di tutelare gli interessi dei suoi “dipendenti”, anche di fronte al “potere reale e costituito”, onde evitare disordini reali o un reale ammutinamento. I canali Telegram del Gruppo Wagner, come noto, sono stati i più critici nei confronti della gestione dell'Operazione Militare Speciale da parte del Ministero della Difesa della Federazione russa. Negli ultimi mesi della battaglia di Bakhmut/Artemovsk, la critica era rivolta soprattutto al fatto che i rifornimenti (viveri, munizioni) arrivassero contati (per non dire saltuariamente). Al termine del battaglia, alla domanda se il Ministro della Difesa fosse arrivato a complimentarsi per l'importante vittoria, Prigozhin ha dichiarato che il Ministro della Difesa russo si trovava a Bakhmut da tempo. Subito dopo, ha affermato trattarsi del “futuro Ministro della Difesa” e non di quello attuale (Sergeij Shoigu). Da non sottovalutare il fatto che la vittoria di Bakhmut ha fatto acquisire al Gruppo ed a Prigozhin un cospicuo capitale militare e politico. Lo stesso Prigozhin ha ricordato come il “tritacarne” di Bakhmut ha di fatto limitato le capacità offensive ucraine. E non possiamo dargli completamente torto se consideriamo che i risultati della pseudo offensiva ucraina (ad oggi) sono piuttosto fallimentari, nonostante i tentativi di Kiev di proporsi come “difensore del fianco orientale della NATO”.
Ora, la presunta “marcia su Mosca” (sulla quale si sono spesi inutili fiumi di inchiostro), lungi dall'essere un “tentativo di colpo di Stato”, era semplicemente un “atto dimostrativo” (e magari pure una scommessa, un investimento “fallito” del capitale politico acquisito) che rientra(va) nella scontro aperto tra Prigozhin stesso e Shoigu. In alcun modo era diretto nei confronti di Putin. Va da sé che questo tipo di incomprensioni, mancanza o scarsa coordinazione all'interno delle forze militari russe e gruppi legati in qualche modo ad esse non è esattamente una novità. Le due guerre cecene (soprattutto la prima) lo hanno ampiamente dimostrato in passato.
Non è da escludere anche il fatto che Prigozhin pensasse di portare Putin dalla sua parte. Cosa che non è avvenuta, perché avrebbe significato una sostanziale ammissione dell'incapacità nella gestione del conflitto (almeno fino ad oggi). Questo ci porta ad un altro aspetto che in “Occidente” si stenta a comprendere (sia per ignoranza che per malafede): il ruolo di Putin. Il Presidente della Federazione russa, ormai da oltre due decenni (intervallati dalla presidenza Medvedev), più che essere il “monarca assoluto” con il quale viene spesso dipinto dalla nostra propaganda, svolge il ruolo di “arbitro” tra i diversi gruppi di influenza (portatori di interessi estremamente eterogenei e spesso in contrasto tra loro) e tra le diverse correnti politiche (nazionalisti, militaristi, liberali e così via) che operano dentro e fuori il Cremlino. In questo, più che l'assolutismo zarista post pietrino, il suo ruolo richiama maggiormente quello dei primi principi moscoviti (e, perché no, anche della Rus' di Kiev) che agivano bilanciando gli interessi delle varie fazioni rappresentate dai “boardi”.  Agendo da bilancia e decisore per la ridistribuzione dei poteri, Putin ha ottenuto dei risultati innegabili ed indubbiamente di rilievo. In particolare, nonostante le palesi contraddizioni interne che ancora permangono, è riuscito a ridurre il ruolo degli oligarchi ed a smantellare in parte le reti clientelari cleptomani allestite ai tempi di Boris El'cin; ha consolidato la presenza dell'industria militare russa sul mercato; ha puntato sul perfezionamento delle tecniche di estrazione delle risorse naturali e trasformato la Russia in una potenza agricola globale superando addirittura gli Stati Uniti nel ruolo di esportatore di grano.
Quando il Ministro degli Esteri ucraino Kuleba afferma che l'obiettivo è quello di rovesciare il “regime di Putin”, oltre ad evitare scientemente di ricordare le oggettive difficoltà del proposito, evita anche di ricordare che (potenzialmente) il post Putin, per l'“Occidente”, potrebbe essere assai peggiore di Putin stesso.