Prima del siero c’è il pensiero
di Marcello Veneziani - 11/04/2021
Fonte: Marcello Veneziani
Nonostante l’avvento del colore da quasi mezzo secolo, la tv e i media dividono l’umanità in bianco e nero; il video come i social premia chi dice bianco o nero, senza sfumature. Infatti la rappresentazione dominante sul vaccino è perentoria: il vaccino è la salvezza per i saggi e la dannazione per gli stolti. Dio vax e No vax, e in mezzo il vuoto. E ambedue abusano della credulità popolare per spargere cieco ottimismo e ottuso allarmismo. Ma il mondo è più vario, non si ferma nemmeno al grigio, cioè a metà tra i due estremi; ma è colorato, a volte colorito. Basta sentire i discorsi veri della gente per accorgersi che sono pochi i credenti e i miscredenti radicali, nel mezzo i più sono esitanti, mutevoli, diffidenti, guardinghi, circostanziati o rassegnati. Lo scetticismo si è fatto ipotetico e selettivo: va bene ma non AstraZeneca. Oltre la fede dei dio vax e la sfiducia dei no vax, prevale lo spirito critico e vigile.
La disputa sul vaccino è un test filosofico di prima importanza per capire come affrontiamo e valutiamo la vita. Non si tratta solo di una scelta tra adoratori e nemici della scienza o di un referendum tra apocalittici e integrati, oggi in versione renitenti o vaccinati. Ma di un ricco campionario di risposte e stati d’animo alla chiamata del vaccino che mostra finalmente qualcosa del nostro modo di concepire la vita, il corpo, la salute; una variegata filosofia pop.
Senza accorgercene, stiamo praticando scelte esistenziali che richiamano antiche correnti di pensiero: le nostre scelte e le opinioni annesse sono l’applicazione pratica di orientamenti classici come il razionalismo e il fatalismo, il casualismo, il probabilismo e il problematicismo, lo scetticismo e l’empirismo, fino agli estremi opposti del misticismo e del nichilismo. Brevi compendi di teoria e prassi filosofica rivivono nel dilemma sul flacone ed entrano inconsapevolmente nelle nostre vene e nelle nostre menti. E altre questioni di etica e filosofia morale si pongono nello stabilire se il vaccino sia più un diritto o sia più un dovere; se lo dobbiamo fare per ubbidire alla legge e ottemperare agli obblighi civici e sociosanitari o se possiamo essere obiettori di coscienza e chiamarci fuori. Altra questione di non poco conto é valutare i comportamenti: se salti la fila per vaccinarti sei un individualista liberale con intraprendenza privata nel nome del principio naturale di autoconservazione o sei un egoista amorale con un’indole furbetta e disonesta?
A occhi profani stiamo solo discutendo di cose pratiche e sanitarie, in realtà sono in gioco valori, priorità, modi di concepire la vita. Chi per esempio è critico verso i vaccini perché non vuole alterare il suo organismo con fattori estranei si può considerare uno stoico che vive secondo natura o un conservatore e perfino un reazionario che preferisce attenersi al corso naturale degli eventi anziché alla possibilità di modificarlo. E chi viceversa mostra fiducia nel vaccino e nella parola dei virologi preferisce la seconda natura artificiale e confida nei progressi della scienza, accettando di buon grado di sentirsi cavia e prototipo dell’umanità futura. Sarebbe istruttivo confrontare le posizioni di ciascuno sul vaccino e la propria scelta politica o ideologica, misurando il grado di coerenza o incoerenza tra le due posizioni.
La doppia risposta inglese, sia quella iniziale che scommetteva sull’immunità di gregge sia quella successiva che ha puntato sulla vaccinazione rapida e massiccia, rispecchia il pragmatismo britannico; mentre le resistenze maggiori avvengono nei paesi continentali a più alta densità filosofica, di derivazione idealistica, esistenzialista e metafisica. Viceversa, la vaccinazione a tappeto è stata praticata in paesi dove è alta la militarizzazione come forma mentis; in Cina, in Corea o, per motivi diversi, in Israele.
Il principio del vaccino rispecchia il noto detto l’uovo oggi e la gallina domani: procurati un piccolo danno e una piccola malattia oggi per non avere un grave danno e una seria malattia domani. È il significato stesso di farmaco, come ci insegnano medici e filosofi: vuol dire sia veleno che rimedio, cura. Il paradosso del vaccino è perseguire la guarigione pur non essendo malati, inoculandosi dosi nocive a fin di salute.
Chi pensa che il rifiuto del vaccino sia una forma di oscurantismo deve onestamente riconoscere che anche la posizione opposta nutre nel suo seno una visione vagamente religiosa, minatoria o superstiziosa: se non credi nel vaccino, il covid ti punirà. Gli ottimisti (o incoscienti) replicano: ma se non mi ha colpito per più di un anno, e se ha colpito il 6-8 per cento della gente, non può essere che io come gran parte della popolazione ne sia naturalmente immune, dotato di buoni anticorpi? Non sfidare gli dei, gli replica velatamente lo scientista.
Chi rifiuta il vaccino si affida spesso al fatalismo; ma al fatalismo si affida anche chi si fa iniettare la dose e si abbandona più che alla scienza, alla statistica: chi crede ai grandi numeri dice che il rischio è minimo e l’immunità invece è massima. C’è chi oppone ai grandi numeri astratti l’evidenza dei casi personali, conosciuti o di cui ha sentito, che smentiscono le rosee previsioni numeriche. È la diaspora filosofica sul bugiardino. E tu che fai? Io non mi affretto a vaccinarmi né mi rifiuto; pratico l’amor fati con realismo e relativismo, sarò duttile, non ho certezze in merito.
In ogni caso il vaccino richiede di assumere una posizione filosofica. Non sto dicendo di fare un simposio socratico per decidersi; dico che la decisione presa sarà l’adesione, anche inconsapevole, a una visione, a una filosofia di vita. Prima del siero c’è il pensiero.