Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Prima di tutto vennero a prendere le statue: il totalitarismo del neo-progressismo, cane da guardia del capitalismo

Prima di tutto vennero a prendere le statue: il totalitarismo del neo-progressismo, cane da guardia del capitalismo

di Thomas Fazi - 11/06/2020

Prima di tutto vennero a prendere le statue: il totalitarismo del neo-progressismo, cane da guardia del capitalismo

Fonte: Thomas Fazi

«La neolingua del politicamente corretto rappresenta il più evidente punto di convergenza fra cultura liberale, cultura socialdemocratica e cultura delle sinistre radicali. Al tempo stesso, rappresenta il più clamoroso sintomo dell’egemonia culturale – del soft power – che gli Stati Uniti esercitano sull’intero mondo occidentale. Si tratta infatti di un fenomeno nato nell’ambiente accademico statunitense, nei dipartimenti umanistici che si occupano di teorie postcoloniali, gender theory, linguistica e affini e nei confronti del quale le élite mediatiche (americane prima ed europee poi) hanno svolto il ruolo di cassa di risonanza. Il politicamente corretto trova legittimazione scientifica nella svolta linguistica delle scienze sociali, alimentando la credenza secondo cui l’atto del denotare – le narrazioni – non rispecchia ma letteralmente crea la realtà. Questa tesi può anche essere definita come una distorta interpretazione del concetto gramsciano di egemonia, ma coglie un nodo reale: il potere performativo del linguaggio, se non crea né modifica le relazioni sociali, certamente ne influenza la percezione, ma soprattutto rende difficile la contestazione delle idee politicamente corrette, mettendo in atto un dispositivo che alcuni hanno definito spirale del silenzio: si esita a criticare i “regimi di verità” egemoni per paura di essere sanzionati socialmente e di essere categorizzati come fascisti, razzisti, sessisti, nazionalisti, populisti, conservatori ecc. La gender theory esprime la propria vocazione “ibridista” e il proprio orrore nei confronti di tutte le forme di appartenenza identitaria (nazionale, etnica, di genere ecc.) bollando come sessisti e razzisti tutti coloro che le accettano. Chi si oppone al liberalismo, nella misura in cui tale ideologia si proclama contraria a qualsiasi limitazione della libertà individuale da parte di comunità sociali e istituzioni politiche, è per definizione reazionario. Lo stesso capita a chi rivendica la sovranità nazionale del proprio paese: le élite politiche ed economiche che governano la società capitalista globalizzata rivendicano la superiorità delle idee cosmopolite e multiculturaliste nei confronti del rozzo localismo delle classi subalterne. I proletari che votano per Trump, per la Brexit, per la Lega e il M5S, e in generale per le forze politiche “sovraniste”, non sono lavoratori ma feccia reazionaria, “sdentati” (Hollande), “popolo demente” (Bifo). Vengono presentati come classi pericolose pronte a sostenere forze politiche neofasciste. Attraverso la neolingua politicamente corretta imposta dal liberalismo cosmopolita e autoritario si intravede l’immagine d’un futuro “liberato” dalle identità nazionali come da quelle di classe, genere ed etnia, un futuro postnazionale e postdemocratico che Antonio Negri e Michael Hardt rappresentano ed esaltano in Impero». ― Carlo Formenti, “Il socialismo è morto, viva il socialismo!”