Privati della cognizione del dolore, non riusciremo a riprenderci la vita
di Claudio Risé - 01/06/2021
Fonte: La Verità
Qualcosa non torna in ciò che ci stiamo raccontando. I vaccini funzionano (come possono), morti e contagi diminuiscono, e va benissimo. Il governo è uscito dai surreali "tutti a casa" di questi due anni, con il loro carico di morti, rovine economiche e sanitarie, e nevrosi collettive. E la vita, infatti, sta riprendendo.
A livello più profondo però le cose non sono tutte così a posto, e nello studio dell'analista ciò si rivela. Il lutto non è stato del tutto elaborato; e quindi la fiducia, innanzitutto in se stessi e nella situazione attorno, non è ancora completamente ritornata. Molti morti (non solo il povero Gigi Proietti) non hanno ancora trovato la loro sepoltura; e non è solo una questione di carte e registri, come crede la burocrazia. Finché non si onorano pienamente i morti, non c'è vera pace per i vivi. Il lutto non è però solo questo. Per chi ha poi la mia età poi, il mondo attorno si è svuotato: dagli anziani maestri, ai più antichi compagni, a qualcuno più giovane rimasto intrappolato tra macchine respiratorie inutili e letti d'ospedale, senza cure e protocolli. Con la tremenda scoperta che se ti lasci cogliere impreparato e non organizzi tutto benissimo prima, sei perduto: alla faccia del welfare.
C'è però altro ancora, e più inquietante. Dopo più di un anno di prove e dolori veri e forti, nel corpo e nella psiche, scopriamo che gran parte dei rappresentanti di questa società non solo ha perso la "Cognizione del dolore" cui Carlo Emilio Gadda dedicò il suo tragico e irriverente capolavoro. Molti di questi che parlano ora in Parlamento, sui media, nelle piazze, sono persone che perlopiù del dolore non sanno proprio nulla; ma soprattutto nulla vogliono sapere. È una società che vive come se il dolore non ci fosse mai stato, fosse roba d'altri tempi, di cui è fastidioso e perfino inutile parlare, se non per chiedere che si faccia ciò che essi vogliono. Loro si appassionano soprattutto ai diritti, all'"odio" e alla lotta all'odio, al decreto Zan. Sono i cantori del prendere, ottenere, godere: diritti, soldi, fama, attenzione. A loro il perdere: la vita, il coniuge, i genitori, i figli, (non solo per il Covid, anche in una funivia) non interessa.
È la società acquisitiva, performativa, cui importa solo la "felicità", come se ce ne fosse una senza il dolore corrispondente. Tra l'altro è la società più anticristiana mai vista, quella dove il "chi vorrà salvare la propria vita la perderà" di Gesù, è uno scandalo, un segno di follia. Ma anche il taoista: "il nobile mette in palio la propria vita" non piace affatto; la trascendenza inquieta e il sacrificio fa orrore. È una società che fa come se il dolore non ci fosse mai stato e sia qualcosa da cui stare accuratamente alla larga e di cui è inutile perfino parlare. Una visione descritta con grande lucidità e chiarezza da uno dei più seguiti fra i filosofi viventi, il coreano di nascita (ora svizzero-tedesco) Byung-Chul Han in La società senza dolore (titolo originale: la società palliativa) Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite. Einaudi.
Tuttavia cancellare il dolore non si può, a meno di danni gravi, persistenti. Non si può ancora archiviare una vicenda che ha ucciso 3 milioni 500 mila persone nel mondo e 125 mila in Italia, rovinato intere economie, smascherato crudelmente il balbettio di incensati scienziati di fronte al più minuscolo degli organismi viventi (non si è neppure capito se autentico o predisposto da altri ambigui scienziati manipolatori della realtà). Mostrando così anche la finzione delle solidarietà internazionali, la miseria degli accordi, il sostanziale "si salvi chi può" cui ogni Stato si attiene, rivelando così le ipocrisie e gli egoismi dei palcoscenici internazionali. Il fatto è (racconta Han) che gli Stati della modernità postindustriale, hanno rimosso il dolore credendo di poterlo sostituire con la felicità e le "perfomance" brillanti: un tipico delirio da società in decadenza, già vissuto da tante altre prima della nostra. Così poi è arrivato il Covid, come in altre epoche il diluvio, o la siccità, o un'invasione. Quando ciò accade, non si può poi fare finta di niente: è necessario riconoscere la realtà sotto le vanità, le chiacchiere, l'ignoranza, il pressapochismo, gli interessi. Non si tratta di vendette personali. Diventa però indispensabile denunciare con franchezza gli errori, attraversare un rito collettivo di purificazione, senza il quale le coscienze e i pensieri non possono acquietarsi, e le doti e le risorse personali e collettive risvegliarsi. Perché così come c'è ed esiste il dolore, c'è anche la verità che deve anche essere detta, perché altrimenti la vita delle persone, così come quella delle società, non può ripartire davvero.
Senza il riconoscimento del dolore, e delle sue cause e ragioni, è impossibile riconoscere le differenze che animano la realtà. "Il mondo senza dolore è un inferno dell'Uguale in cui imperversa l'indifferenza", scrive Han. Sono le differenze (a partire da quella tra femminile e maschile) a generare la realtà: il resto è morte. Ciò non può durare a lungo, e non è privo di pericoli per le Istituzioni che non riconoscano francamente i rischi di queste società "palliative, che coprono e addormentano il dolore delle ferite e dei lutti". Come spiegò Nietzsche: "in una società anestetizzata occorrono stimoli sempre più forti perché si abbia il senso di essere vivi". In questo modo, come le cronache ci mostrano ogni giorno, si ricorre allora alla "droga, alla violenza e all'orrore" in cerca di stimolanti "che risveglino un'esperienza dell'Io". Oggi, racconta Han, anche "gli sport estremi e i comportamenti a rischio sono tentativi di sincerarsi della propria stessa esistenza".
La deriva ha anche però insospettati esiti politici, che il sistema anestetizzante spesso non mette in conto. È così, infatti, che: "la società palliativa paradossalmente, crea estremisti". Il fatto è che senza l'azione trasformatrice del dolore "nasce la barbarie". Da cui difendersi, dicendo la verità.
Riconoscimento degli errori, elaborazione dei lutti, affermazione delle verità pur se dolorose: sono tutti passaggi necessari per riprendere pienamente il controllo del piano di realtà. Gli anestetici non fanno altro che intossicare di più gli animi.